Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4856 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4856 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 29577-2010 proposto da:
AZIENDA USL N. l MASSA CARRARA C.F. 00294690458, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BRENTA 2-A,
presso lo studio dell’avvocato STOPPANI ISABELLA
MARIA, che la rappresenta e difende unitamente agli
2013
3603

avvocati LIGUORI VINCENZINA RITA, PROSPERETTI GIULIO,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

DOMENICI

RICCARDO

C.F.

DMNRCR52P21L833D,

Data pubblicazione: 28/02/2014

k
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI
BETTOLO 22, presso lo studio dell’avvocato PENZAVALLI
GIANCARLO, che lo rappresenta e difende, giusta
delega in atti;

controricorrente

di GENOVA, depositata il 26/07/2010 R.G.N. 716/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/12/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato STOPPANI ISABELLA MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA ) che ha concluso per il
rigetto.

avverso la sentenza n. 523/2010 della CORTE D’APPELLO

R.G. n. 29577/10
Ud. 10.12.13
Azienda USL n. I di Massa Carrara c. Domenici

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 26.7.10 la Corte d’appello di Genova, in riforma della
pronuncia n. 178/07 del Tribunale di Massa, ha condannato l’Azienda USL n. 1 di
Massa Carrara a pagare al dr. Riccardo Domenici, psicologo, la somma di euro

28.823,21 (oltre accessori e spese di lite) a titolo di differenze retributive maturate
dal 5.7.02 al 2.6.03 per effetto d’un contratto di lavoro subordinato stipulato fra le
parti, così sostanzialmente qualificato dai giudici del gravame quello che era stato
concluso sotto forma di contratto per prestazione d’opera libero-professionale.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’Azienda USL n. 1 di Massa Carrara
affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378
c.p.c.
Il dr. Riccardo Domenici resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. – Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
2094, 2299 c.c. e 113 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere l’impugnata
sentenza trascurato l’assenza, nel caso di specie, di assoggettamento a potere
disciplinare e, invece, erroneamente valorizzato il fatto che il dr. Domenici
svolgesse attività lavorativa identica a quella espletata dagli altri psicologi di ruolo.
Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione nella parte in cui i giudici
di merito hanno dato importanza, ai fini della subordinazione, alle specifiche
direttive impartite al dr. Domenici dal Dipartimento di Salute Mentale, miranti — in
realtà – ad un necessario ed imprescindibile inserimento funzionale della sua
prestazione lavorativa nella struttura organizzativa del committente; del pari
ininfluente è la circostanza che oggetto della prestazione pattuita in contratto fosse
tutta la gamma delle prestazioni di pertinenza della struttura, dovendosi avere
riguardo non al tipo di mansioni dedotte in contratto, ma a quelle poi effettivamente
espletate; quanto all’assoggettamento del dr. Domenici ad ordini di servizio e ad un
orario minimo di 36 ore settimanali, con retribuzione fissa, si tratta di circostanze
non dettagliatamente allegate con esempi concreti e comunque non provate e non

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decisive, essendo compatibili anche con ipotesi di lavoro autonomo prestato in
maniera coordinata.
Con il terzo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 2126
c.c. e art. 36 d.lgs. n. 165/01 nella parte in cui l’impugnata sentenza ha ritenuto di

poter accogliere la domanda di pagamento delle retribuzioni maturate in base ad un
contratto nullo (come quello intercorso fra le parti) applicando d’ufficio l’art. 2126
c.c. e trascurando che ex art. 36 d.lgs. n. 165/01 al lavoratore illegittimamente
assunto spetta soltanto il risarcimento dei danni e non già il regime di cui alla
menzionata disciplina codicistica.
Con il quarto motivo ci si duole, ancora, di errata applicazione degli artt. 2126 c.c.
e art. 36 d.lgs. n. 165/01 per avere i giudici d’appello fatto applicazione automatica
ed integrale del CCNL comparto sanità pubblica con riferimento ad un’attività
svolta a tempo pieno, senza tenere conto del fatto che la prestazione del dr.
Domenici non è stata prestata in via esclusiva, come evincibile dal rilievo che egli è
stato tenuto ad un orario di sole 36 ore settimanali, che gli ha consentito di svolgere
altrove, nel tempo residuo, la propria attività libero professionale.

2.1. – Il primo e il secondo motivo — da esaminarsi congiuntamente perché
connessi — sono infondati.
Quanto al fatto che il controricorrente svolgesse attività lavorativa identica a
quella espletata dagli altri psicologi di ruolo, si tratta di circostanza che
correttamente è stata valutata dalla gravata pronuncia come indice non sufficiente,
ma comunque significativo insieme con gli altri che, secondo costante
giurisprudenza di questa S.C., sono sintomatici della subordinazione, fra cui mette
conto ricordare l’oggetto della prestazione, cioè la messa a disposizione di mere
energie lavorative (obbligazione di mezzi) o il risultato d’una attività organizzata,
con conseguente ripartizione del rischio; l’eterodirezione delle modalità, anche di
tempo e di luogo, della prestazione; l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione
produttiva e/o gerarchica dell’impresa; la sottoposizione al potere disciplinare
dell’imprenditore o di suoi preposti; utilizzo di strumenti e materiali di lavoro propri
o forniti dal datore di lavoro; l’obbligo di osservare un determinato orario di lavoro
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e/o un certo numero di presenze o di turni; la continuità della collaborazione;
l’obbligo di giustificare le assenze; le modalità fisse del compenso; il luogo della
prestazione.
Nel caso di specie l’impugnata sentenza ha in sostanza motivatamente ravvisato

tutti gli indici sintomatici di cui sopra, fatta eccezione per l’assoggettamento
all’altrui potere disciplinare.
Ma se è vero che l’assoggettamento all’altrui potere disciplinare implica di per sé
subordinazione, non è però vera l’affermazione reciproca, vale a dire che in
mancanza di tale assoggettamento si sia sempre in presenza di rapporto di lavoro
autonomo.
Dei sopra descritti indici sintomatici la gravata pronuncia ha poi correttamente
fornito una lettura d’insieme, nel rispetto del principio secondo cui, in tema di prova
per presunzioni, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi
presuntivi per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in
grado di fornire una valida prova presuntiva.
Non è, invece, consentita l’operazione contraria, vale a dire quella d’un
apprezzamento atomistico, parcellizzato, di un indizio per volta.
In altre parole, costituisce violazione di legge il negare valore indiziario agli
elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche — in ipotesi singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove
valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre
vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (giurisprudenza
costante: v. Cass. 6.6.12 n. 9108; Cass. S.U. 11.1.08 n. 584; Cass. 15.1.07 n. 722;
Cass. 13.10.05 n. 19894; Cass. 18.9.03 n. 13819).
Nel caso di specie la sentenza impugnata si è correttamente attenuta a tale
insegnamento, valutando gli indizi muniti di idoneità presuntiva sia singolarmente
sia unitariamente nel loro complesso, pervenendo — infine – ad una soluzione
immune da censure logico-giuridiche e conforme alla giurisprudenza di questa
Corte Suprema.

2.2. – Il terzo motivo è infondato.
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Invero, l’art. 36 d.lgs. n. 165/01 (il cui attuale comma 5° così recita: “In ogni
caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego
di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la
costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche

amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore
interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di
lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo
di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili,
qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in
violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi
dell’articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di
valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo
30 luglio 1999, n. 286.”) mira unicamente ad impedire l’instaurarsi in forma
surrettizia di rapporti di pubblico impiego a tempo indeterminato, ma non incide sul
diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente, ex art. 36 Cost., in favore di chi
sia stato assunto a tempo determinato da una pubblica amministrazione (come
avvenuto nel caso di specie).
Ciò detto, per costante insegnamento di questa Corte Suprema – al quale va data
continuità — un rapporto di lavoro subordinato sorto con un ente pubblico non
economico per i fini istituzionali dello stesso, nullo perché non assistito da un
regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra pur
sempre sotto la sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c., con conseguente diritto del
lavoratore al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo
in cui abbia avuto materiale esecuzione (cfr. Cass. 3.2.12 n. 1639; Cass. 17.10.05 n.
20009; Cass. 20.5.08 n. 12749; Cass. 3.7.03 n. 10551; Cass. 14.6.99 n. 5895).
A tale consolidato principio si è attenuta l’impugnata sentenza, che — quindi — non
merita censura, nemmeno per quanto concerne l’applicazione dell’art. 2126 c.c., che
deve avvenire anche d’ufficio (in forza del noto principio iura novit curia) in base
alle allegazioni di fatto operate dalle parti.

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2.3. — Anche il quarto motivo è da disattendersi, considerato che sollecita un
nuovo esame dei conteggi in base ad una asserita non esclusività della prestazione
del controricorrente senza però chiarire dove e come tale esclusività sia stata

Né l’asserita non esclusività può automaticamente desumersi dall’orario di 36 ore
settimanali, giacché l’orario previsto dal CCNL per il comparto sanità pubblica è
stabilito in misura esattamente coincidente a quello pattuito nel contratto intercorso
fra le odierne parti.

3.1. – In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.

P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di
legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, in data 10.12.13.

contestata.

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