Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4850 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2020, (ud. 02/12/2019, dep. 24/02/2020), n.4850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14792/2017 R.G. proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del Curatore,

rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dagli

avv.ti Marco Miccinesi, Francesco Pistolesi, con domicilio eletto

presso lo studio dell’avv. Marcello Clarich, in Roma, viale Liegi,

n. 32;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 777/1/17 della Commissione Tributaria

regionale della Toscana depositata il 22 marzo 2017;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 dicembre 2019

dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo

il rigetto del ricorso;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Francesco Pistolesi;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. Maria Laura

Cherubini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate, secondo quanto emerge dalla sentenza in epigafe indicata, proponeva appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Firenze che aveva accolto il ricorso della società (OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, avverso l’avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2011, con il quale si recuperavano a tassazione IRES, IRAP e I.V.A., sul presupposto che la contribuente fosse società non operativa, in quanto costituita e gestita al mero fine di assicurare ai soci il godimento dei beni aziendali, rappresentati da aeromobili, immobili e partecipazioni in altre società.

La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello dell’Amministrazione finanziaria, confermando l’atto impositivo.

I giudici d’appello, in particolare, osservavano che, nel caso di specie, lo stato di dissesto, che aveva poi comportato l’ammissione, nel 2011, della società contribuente alla procedura di concordato preventivo, era stato cagionato dai soci amministratori, che avevano attinto a loro piacimento dalle risorse finanziarie della stessa società e delle società partecipate, essendo emersa la prova di atti di distrazione del patrimonio sociale, effettuati tra il 2009 ed il 2011 incluso, che avevano portato all’esecuzione della misura cautelare personale degli arresti domiciliari a carico di uno dei soci ed al rinvio a giudizio di entrambi i soci per il reato di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 216, n. 1 e art. 223, comma 1.

Ricordavano, inoltre, che la procedura di attivazione del concordato preventivo aveva avuto inizio solo a seguito della conclusione della verifica da parte dell’Ufficio, che aveva contestato il carattere non operativo della società, e che, pertanto doveva considerarsi non opponibile all’Amministrazione finanziaria la causa di esclusione che la società contribuente, tramite i soci, aveva artatamente concorso a creare, dovendosi fare applicazione del principio generale di antielusione immanente nel nostro ordinamento, che consentiva alla stessa Amministrazione di disconoscere sia le operazioni e gli atti mirati a ottenere benefici fiscali contrastanti con la ratio delle norme che disciplinavano i tributi, sia le cause di esclusione da discipline di “disfavore” che i contribuenti avevano concorso a creare.

La Curatela del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a cinque motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente censura la decisione impugnata per violazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-ter.

La L. n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), art. 1, comma 128, ha innovato la disciplina sulle “società di comodo”, prevedendo una serie di cause di esclusione, ossia di circostanze fattuali in presenza delle quali il “test di operatività” non può essere legittimamente effettuato; in particolare, è stato previsto che la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, “non si applica (…) alle società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo” e, in attuazione di quanto stabilito dal comma 4-ter (“con provvedimento dell’Agenzia delle entrate possono essere individuate determinate situazioni oggettive, in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni del presente articolo, senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello”), l’Agenzia delle entrate, con provvedimento del Direttore n. 23681 del 2008, ha stabilito che la determinazione presuntiva del reddito d’impresa non può essere applicata alle “società in concordato preventivo (anche) con riferimento ai periodi di imposta precedenti all’inizio delle predette procedure, i cui termini di presentazione delle dichiarazioni dei redditi scadono successivamente all’inizio delle procedure medesime”.

Evidenzia che il concordato preventivo si era aperto in forza del decreto del Tribunale di Firenze del 27 giugno 2012 e a quella data non erano ancora scaduti i termini per la presentazione della dichiarazione fiscale relativa all’anno precedente, per cui la società non poteva essere soggetta al “test di operatività” con riferimento al periodo d’imposta 2011; i giudici regionali avevano, tuttavia, ritenuto che la causa di esclusione non potesse operare per effetto di circostanze fattuali non previste dalla norma.

Ad avviso della ricorrente, le presunte condotte illecite che, secondo i giudici di merito, sarebbero state poste in essere dai soci, anche con lo “schermo” della società, potrebbero rilevare sul piano fiscale, ai fini di un accertamento volto a recuperare eventuale materia imponibile sottratta a tassazione, ma non si prestano a legittimare di per sè un accertamento fondato sulla L. n. 724 del 1994, art. 30, emesso in difetto dei relativi presupposti.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Commissione regionale omesso di pronunciarsi sulle eccezioni di merito che erano state ritualmente riproposte in sede di gravame; nessuna disamina era stata infatti effettuata sulla concreta operatività della società o sulla esistenza di situazioni oggettive suscettibili di impedire il conseguimento di ricavi e del reddito “minimi”.

3. Con il terzo motivo censura la sentenza per violazione, sotto un ulteriore profilo, della L. n. 724 del 1994, art. 30 e lamenta che i giudici regionali hanno ritenuto legittima la predeterminazione presuntiva del reddito sulla base di condotte in nessun modo ascrivibili alla società, essendosi limitati ad esaminare circostanze relative alle condotte riferibili ai soci, ed hanno, invece, omesso di operare una valutazione in concreto dell’attività svolta dalla contribuente, sebbene dettagliatamente documentata.

Invoca, inoltre, il giudicato esterno derivante dal passaggio in giudicato della pronuncia della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 942/29/14 (avverso la quale è stato proposto dall’Ufficio ricorso per cassazione dichiarato inammissibile con sentenza di questa Corte n. 3852 del 2016) che, con riferimento agli anni d’imposta dal 2007 al 2010, ha accertato la natura di società operativa della contribuente in ragione dell’effettivo svolgimento di attività imprenditoriale.

Secondo la ricorrente, tale decisione esplica efficacia preclusiva di giudicato nell’odierno giudizio, stante l’evidente comunanza dei presupposti oggettivi e soggettivi, non essendo a ciò di ostacolo il fatto che la decisione definitiva si sia formata in relazione ad annualità diversa, e richiama la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13916 del 16 giugno 2006, secondo cui deve escludersi che il giudicato esaurisca i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio in esito al quale si è formato, dovendosi anzi ammettere una potenziale capacità espansiva in altro giudizio, seppure con limitato riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente.

4. Con il quarto motivo denuncia omesso esame su fatti decisivi per il giudizio che hanno formato oggetto di discussione tra le parti, per avere i giudici d’appello omesso di prendere in considerazione le circostanze fattuali allegate dalla società volte a documentare le attività imprenditoriali dalla stessa svolte a partire dall’anno 2007 nei settori della gestione, quale holding, di partecipazioni societarie, della sublocazione di aeromobili e della compravendita immobiliare, nonchè le circostanze che avevano reso oggettivamente impossibile il conseguimento di ricavi in linea con i parametri del “test di operatività”, circostanze tutte decisive che avrebbero potuto condurre ad una diversa pronuncia.

5. Con il quinto motivo denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’eccezione, riproposta in via subordinata in appello, volta ad ottenere l’annullamento, quanto meno, della pretesa impositiva ai fini I.V.A. e ribadisce che il credito I.V.A. utilizzato in compensazione non incontra alcun ostacolo nella L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4.

6. L’eccezione di giudicato esterno va disattesa.

6.1. Questa Corte, in tema di efficacia del giudicato esterno per diverse annualità di imposta, in fattispecie diversa, ha precisato che “la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo a diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità” (Cass. n. 6953 del 2015; Cass. n. 4832 del 2015).

6.2. Con riguardo alle società di comodo, in particolare, questa Corte ha precisato che lo “status” di società non operativa risultante dall’applicazione dei parametri previsti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, non è permanente, ma va accertato anno per anno, ben potendo una società essere non operativa in un determinato esercizio sociale ed operativa in quello successivo (Cass. n. 20702 del 1^ ottobre 2014; Cass. n. 12829 del 22 maggio 2017).

Nel caso concreto, l’accertamento contenuto nella pronuncia n. 942/29/14 della Commissione regionale della Toscana è stato effettuato con riferimento agli anni d’imposta dal 2007 al 2010 e non può, di conseguenza, spiegare alcun effetto con riguardo all’anno 2011 oggetto di accertamento con l’atto impositivo impugnato in questa sede.

7. Il secondo ed il quinto motivo, con i quali si lamenta un error in procedendo, sono infondati.

Infatti, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass. n. 29191 del 6/12/2017; Cass. n. 20718 del 13/8/2018).

Il rigetto da parte della Comissione regionale dell’appello proposto dalla contribuente, sul presupposto che lo stato di dissesto è dipeso dal comportamento dei soci amministratori, che avevano attinto dal patrimonio sociale disponendo delle relative risorse finanziarie, lascia ritenere che i giudici di appello abbiano implicitamente ritenuto non operativa la società.

Avendo i giudici regionali fondato il proprio convincimento sulla circostanza che la società costituisse mero “schermo” dietro il quale operavano i soci nella gestione e nel godimento dei beni sociali, risulta evidente che l’accertamento compiuto impone di ritenere implicitamente respinta anche la domanda subordinata di recupero dell’I.V.A., reiterata in sede di appello.

8. Il terzo ed il quarto motivo, strettamente connessi, vanno esaminati preliminarmente, perchè dalla decisione sulla concreta operatività imprenditoriale della società contribuente dipende l’applicabilità della normativa prevista in materia di società di comodo e, quindi, l’opponibilità all’Amministrazione finanziaria della deroga a tale normativa introdotta dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, secondo periodo, come modificato dalla L. n. 244 del 2007 (legge finanziaria del 2008), art. 1, comma 128, e sono fondati.

8.1. Occorre premettere che la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, ha introdotto una presunzione legale relativa in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati in conto economico è inferiore ai ricavi presunti, calcolati applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”).

Poichè la L. n. 724 del 1994, art. 30, individua la società “non operativa” esclusivamente sulla base del criterio quantitativo del test, indipendentemente dalle intenzioni e dal comportamento dei soci, lo stesso art. 30, comma 4-bis, prevede la possibilità di presentare istanza di interpello, al fine di chiedere la disapplicazione delle disposizioni antielusive, in presenza di situazioni oggettive, ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore, che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui all’art. 30 cit., comma 1 (Cass. n. 9852 del 20 aprile 2018).

Questa Corte ha già chiarito che attraverso tale disciplina si intende disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi – quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci – da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (cosiddette società senza impresa, o di mero godimento, dunque “di comodo”); ” il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio” (Cass., sez. 5, n. 21358 del 21 ottobre 2015).

La normativa si limita quindi a stabilire una semplice presunzione superabile con la prova contraria, spettando al contribuente dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e specifiche, indipendenti dalla sua volontà, che hanno reso impossibile il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto.

Il fallimento del cd. “test di operatività” istituisce, quindi, una presunzione iuris tantum di inoperatività, che è onere della parte contribuente vincere mediante prova contraria esplicativa dell’anomalia reddituale (Cass. n. 6195 del 10 marzo 2017; Cass. n. 9461 del 18/4/2018).

8.2. La Commissione regionale, con la decisione impugnata, ha accolto l’appello dell’Ufficio affermando l’inopponibilità all’Amministrazione finanziaria della causa di esclusione invocata dalla contribuente, in presenza della quale non poteva essere legittimamente effettuato il cd. “test di operatività” previsto dalla L. n. 724 del 1994, art. 30 e motivando, al riguardo, che la situazione di dissesto che aveva condotto la società a chiedere l’attivazione della procedura di concordato preventivo era stata “artatamente” creata dai soci amministratori, che avevano distratto le risorse finanziarie delle partecipate e della (OMISSIS) stessa.

Ha, quindi, implicitamente desunto la natura di società di comodo della contribuente dalle attività distrattive dei soci, affermando che la società non rappresentava “un autonomo centro decisionale, bensì un mero schermo” dei soci stessi.

Nella sentenza i giudici di appello hanno del tutto pretermesso di verificare, sulla base degli atti di causa, se la società contribuente svolgesse in concreto attività imprenditoriale e, quindi, potesse considerarsi operativa e se la stessa avesse fornito prova della esistenza, nell’anno di riferimento, di oggettive situazioni che avevano impedito il conseguimento di ricavi in linea con i parametri del test di operatività.

La ricorrente, sul punto, ha dedotto in ricorso che sin dal primo grado di giudizio ed anche in appello aveva evidenziato che: a) oltre a disporre di un rilevante patrimonio immobiliare (direttamente o per il tramite delle numerose partecipate) aveva un’esposizione debitoria nei confronti di istituti bancari che lasciava presumere che il sistema di credito percepiva la società come un vero e proprio operatore economico in grado di remunerare i finanziamenti erogati; b) i rapporti di finanziamento intrattenuti con le società partecipate integravano esercizio dell’attività di holding; c) svolgeva attività di assistenza finanziaria e di ricerca dei mezzi finanziari per le sue partecipate, rilasciando in loro favore garanzie fideiussorie; d) aveva subito gli effetti della crisi della società Baldassini Tognozzi Pontello s.p.a., che era “l’unico appaltatore dei progetti di sviluppo immobiliare delle aree di proprietà delle società partecipate da (OMISSIS)” e questa era stata la principale ragione che aveva impedito il superamento del test di operatività; e) con riguardo all’attività di sublocazione di aeromobili, non aveva stipulato contratti soltanto con società riferibili ai soci e quelli con i soci erano sempre stati conclusi a titolo oneroso.

I giudici di merito, a fronte della prospettazione dei fatti descritti dalla società contribuente per dimostrare che la stessa aveva esercitato attività economica e della contrapposta ricostruzione offerta dall’Ufficio finanziario, finalizzata a dimostrare che la società non era operativa, non hanno proceduto ad una adeguata valutazione delle circostanze di fatto addotte dalla ricorrente, pur trattandosi di elementi decisivi per accertare lo svolgimento in concreto, da parte della ricorrente, di una vera e propria attività d’impresa e l’esistenza di condizioni oggettive suscettibili di impedire il raggiungimento dei ricavi minimi richiesti per superare il test di operatività, ma ha recepito acriticamente le circostanze evidenziate dall’Ufficio nell’avviso di accertamento, fondando il proprio convincimento esclusivamente sulla condotta distrattiva dei soci contestata dall’Ufficio.

La Commissione regionale è, quindi, incorsa nei vizi dedotti con i mezzi in esame.

9. L’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso consentono di ritenere assorbito il primo motivo.

10. In conclusione, devono essere rigettati il secondo ed il quinto motivo, vanno accolti il terzo ed il quarto motivo, con assorbimento del primo; la sentenza deve quindi essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, perchè proceda a nuovo esame, oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo, rigetta il secondo ed il quinto motivo e dichiara assorbito il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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