Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4850 del 24/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 24/02/2017, (ud. 14/02/2017, dep.24/02/2017),  n. 4850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10531/2013 proposto da:

V.D. (OMISSIS), M.V. (OMISSIS), M.A.

(OMISSIS), V.S. (OMISSIS), V.G. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo

studio dell’avvocato DANIELE MANCA BUTI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCESCO FERRARA giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.M.R., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della

Suprema Corte di Cassazione, e rappresentata e difesa dall’Avvocato

VINCENZO GUELI in virtù di procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.E., MI.RO.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 394/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 02/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per

l’inammissibilità o in subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza depositata il 29 gennaio 2009, il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, dichiarava il difetto di legittimazione attiva degli attori M.V., M.A., V.D., V.S., V.G. e Mi.Ro. in ordine alle domande proposte nei confronti di M.M.R. e P.E. per non avere fornito la prova della loro qualità di eredi di M.N., deceduto senza discendenti a (OMISSIS).

2. – M.V., M.A., V.D., V.S. e V.G. proponevano appello deducendo tre articolati motivi.

M.M.R., costituitasi in giudizio, contestava la fondatezza dell’appello, del quale chiedeva il rigetto.

Mi.Ro. rimaneva contumace.

Alla prima udienza del 30 giugno 2010 il procuratore di parte appellante chiedeva un nuovo termine per notificare l’atto di appello a P.E., essendo la stessa risultata sconosciuta all’indirizzo rilevato dai documenti processuali.

La corte assegnava termine per la notificazione sino al 30 settembre 2010 e rinviava alla successiva udienza del 19 gennaio 2011.

A detta udienza, il procuratore degli appellanti insisteva nell’istanza depositata in cancelleria in data 30 settembre 2010 di assegnazione di un nuovo termine per la notificazione degli atti introduttivi a P.E., mentre la controparte costituita eccepiva l’estinzione, l’inammissibilità e/o l’improcedibilità dell’appello.

Con ordinanza del 10 febbraio 2011, la corte d’appello rigettava la richiesta di concessione di un nuovo termine e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni.

Con sentenza pronunciata in data 22 marzo 2012, la Corte d’appello di Catania ha dichiarato inammissibile l’appello proposto, rigettando le domande avanzate ex art. 96 c.p.c., da M.M.R..

3. – Contro la sentenza della corte d’appello, M.V., M.A., V.D., V.S. e V.G. propongono ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo.

M.M.R. resiste con controricorso, mentre Mi.Ro., pur regolarmente intimata, non ha svolto difese in questa fase.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente rileva la Corte che il ricorso non risulta essere stato notificato nei confronti della litisconsorte P.E. che pur aveva preso parte al precedente giudizio di merito.

E’ bensì vero che nella specie si versa, come già affermato dal giudice di appello, senza che sul punto siano state mosse contestazioni, in un caso di litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, per cui sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, a cui il ricorso non è stato in precedenza notificato.

Senonchè, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13della Convenzione Europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 cod. proc. civ., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).

In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima, facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.

2. – Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 291 e 331 c.p.c.. Secondo i ricorrenti, la corte d’appello ha errato, sia nel considerare come inesistente la prima notifica dell’impugnazione nei confronti di P.E., effettuata presso la residenza risultante dagli atti di causa dove erano stati notificati gli atti di primo grado con esito positivo, sia nel considerare di avere concesso il termine per una nuova notifica dell’atto di appello alla P., come termine dato ai sensi dell’art. 331 c.p.c., anzichè ai sensi dell’art. 291 c.p.c..

A tal fine, si deduce che l’art. 331 c.p.c., si applicherebbe nell’ipotesi in cui la sentenza, pronunciata tra più parti in una causa inscindibile, sia stata impugnata solo nei confronti di alcune di esse, mentre – nella fattispecie – l’appello era stato proposto nei confronti di tutte le parti, come emergerebbe dal testo letterale dell’atto di appello e in particolare dalla vocatio in jus.

3. – Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

La notificazione dell’atto di impugnazione è inesistente, con conseguente insanabilità “ex tunc”, soltanto allorchè la relativa abnormità sia tale da non consentirne in alcun modo l’inserimento nello sviluppo del processo, sicchè, ove il vizio attenga alla fase della consegna, è inesistente la notificazione fatta a soggetto o in luogo totalmente estranei al destinatario, mentre è nulla, e suscettibile di sanatoria, quella effettuata in luogo o a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano – in base ad una valutazione “ex ante” avente ad oggetto l’astratto raggiungimento dello scopo nonostante il vizio della notificazione – un qualche riferimento con il destinatario (Cass. 30 maggio 2014, n. 12301, Rv. 631130).

Nel caso di specie, la notifica dell’atto di appello, secondo parte ricorrente, non poteva essere considerata inesistente in quanto effettuata presso il medesimo indirizzo ((OMISSIS)) ove era stato notificato l’atto di citazione in primo grado nei confronti di P.E..

Ritiene il Collegio che la doglianza non possa avere seguito.

In tal senso occorre prendere le mosse da quanto recentemente statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di distinzione tra notifica nulla e notifica inesistente.

In tal senso Cass. 20/07/2016, n. 14916 ha precisato che l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

Nel caso di specie l’iniziale notifica effettuata nei confronti della P. deve reputarsi come meramente tentata, in quanto, come si ricava dalla sentenza di appello, l’atto è ritornato al mittente con l’indicazione che la destinataria risultava sconosciuta all’indirizzo, sicchè, anche alla luce di quanto affermato dalla recente decisione delle Sezioni Unite, non può che confermarsi la valutazione della stessa in termini di inesistenza, in quanto sostanzialmente omessa.

Una volta addivenuti a tale conclusione, risulta vieppiù confermata la correttezza della decisione della Corte distrettuale, che appare adottata in conformità con quanto sostenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 14124/2010, che ha appunto affermato il principio secondo cui, nel caso di cause inscindibili, qualora l’impugnazione risulti proposta nei confronti di tutti i legittimati passivi, nel senso che l’appellante (o il ricorrente) li abbia correttamente individuati e indicati come destinatari dell’impugnazione medesima, ma poi, in relazione ad uno o ad alcuni di essi, la notificazione sia rimasta comunque inefficace (omessa o inesistente), o non ne venga dimostrato il perfezionamento – come nella fattispecie di notifica a mezzo posta, in caso di mancata produzione dell’avviso di ricevimento (dimostrazione che, nel caso di giudizio di cassazione, è possibile fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione di cui al primo comma della citata disposizione, ovvero fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione di cui al primo comma della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis c.p.c.) – deve trovare applicazione l’art. 331 c.p.c., in ossequio al principio del giusto processo in ordine alla regolare costituzione del contraddittorio ex art. 111 c.p.c., da ritenersi prevalente, di regola, rispetto al principio della ragionevole durata del processo, e pertanto il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio, e non può dichiarare inammissibile l’impugnazione. Ne discende che correttamente la Corte etnea ha assegnato un termine per l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., termine che non risulta essere stato rispettato, dovendosi pertanto necessariamente pervenire alla declaratoria di inammissibilità del gravame.

Nel caso di specie, come accertato dal giudice d’appello, a fronte del termine assegnato alla parte all’udienza del 30 giugno 2010 per il rinnovo della notifica, il certificato di residenza risulta essere stato rilasciato soltanto il 10 agosto 2010 mentre l’atto veniva presentato all’ufficiale giudiziario solo in data 25 settembre 2010, cinque giorni prima della scadenza, a fronte del lungo termine concesso per consentire le indagini anagrafiche e per rimediare agli eventuali errori del procedimento di notifica, e senza che l’atto abbia in alcun modo raggiunto la destinataria, non avendo la parte nemmeno allegato o provato le circostanze che giustificavano la richiesta di concessione di una proroga del termine, la cui natura perentoria era peraltro preclusiva della stessa proroga richiesta.

4. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla invece a disporre per le spese per le parti che non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento le spese del giudizio che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2017

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