Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4849 del 24/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 24/02/2017, (ud. 14/02/2017, dep.24/02/2017),  n. 4849

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9123-2012 proposto da:

S.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PARIOLI 87, presso lo studio dell’avvocato ALDO SEMINAROTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AUGUSTO BALDASSARI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

RUGGERO FAURO 43, presso lo studio dell’avvocato UGO PETRONIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO PINZA in

virtù di procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

R.P., (OMISSIS), BA.PA. (OMISSIS);

– intimati –

e contro

FLLI C. DI C.V. E C SNC 02208060406,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 262,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO OLIVA, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

CE.LO., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LAURENTINA, 456, presso lo studio dell’avvocato MARIO ZUFFA, che lo

rappresenta e difende in sostituzione dell’avvocato PIER UGO

MALTONI, in virtù di procura con firma autenticata da notaio

dell'(OMISSIS);

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 451/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 28/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Aldo Seminaroti per il ricorrente, l’Avvocato Ugo

Petronio per il B., l’Avvocato Antonio Testa, per delega

dell’Avvocato Oliva per la F.LLi C. e l’Avvocato Mario Zotta

per il Ce.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e dei ricorsi incidentali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.P. e S.P. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Forlì la F.lli C. S.n.c. di C.V. & C., B.R. e Ba.Pa. quali titolari delle omonime imprese individuali, nonchè il geom. Ce.Lo., quale progettista e direttore dei lavori, affinchè fosse accertata la responsabilità dei convenuti, e fossero condannati in solido, ovvero per quanto di ragione, al risarcimento dei danni nonchè all’eliminazione dei vizi e dei difetti rilevati nella costruzione di proprietà degli attori ubicata in (OMISSIS) ed adibita a civile abitazione; in via alternativa chiedevano accertarsi la riduzione del corrispettivo dovuto, con la condanna dei convenuti alla restituzione delle somme pagate in eccedenza.

Deducevano che in data 27/3/1995 R.P. aveva sottoscritto con il Consorzio C.A.R.E.A., anche per conto del coniuge S.P., un contratto di appalto per la realizzazione della detta abitazione, e che il Consorzio aveva affidato l’esecuzione dei lavori alla consorziata F.lli C. s.n.c. I lavori di rifinitura erano stati poi affidati dai committenti alla ditta di B.R., mentre la posa della pavimentazione interna ed esterna (esclusi i pavimenti in legno) il montaggio dei bagni e la realizzazione dello scivolo di accesso all’autorimessa erano stati affidati all’impresa di B.P., mentre il progettista ed il direttore dei lavori era il geom. Ce.Lo..

Tuttavia a causa della negligente esecuzione dei lavori e dell’inosservanza delle regole dell’arte, il fabbricato presentava numerosi vizi e difetti che giustificavano l’accoglimento delle suddette richieste.

All’esito del giudizio di primo grado, espletato un ATP, e richiesti chiarimenti all’ausiliario d’ufficio, il Tribunale adito con la sentenza n. 401 del 19 aprile 2005 accoglieva in parte la domanda, in quanto, pur condividendo le conclusioni del CTU (con la sola esclusione della maggiorazione del 4% dei costi di ripristino in relazione al decorso del tempo tra la data del deposito della relazione peritale e quella dei chiarimenti), ravvisava la responsabilità, a diverso titolo ed in relazione a distinte poste risarcitorie, delle varie imprese esecutrici dei lavori, ritenendo tuttavia che quanto dovuto da Ba.Pa. si fosse estinto per compensazione con il credito dell’appaltatore non ancora soddisfatto, e che era stato fatto valere in via riconvenzionale.

Inoltre escluse la responsabilità del direttore dei lavori, e per l’effetto accolse la domanda riconvenzionale con la quale quest’ultimo chiedeva il saldo delle proprie competenze professionali.

A seguito di appello avanzato dal S., nonchè di appello incidentale delle tre imprese appaltatrici, la Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 451 del 28/03/2011, in parziale accoglimento del gravame del S., dichiarava il Ce. corresponsabile dei danni subiti, condannandolo a pagare la complessiva somma di Euro 64.523,82, di cui 13.715,73 in solido con la F.lli C. e B.R., oltre interessi sulle somme devalutate al gennaio 1998 a annualmente rivalutate sino alla data di pubblicazione della sentenza, ed interessi legali sino al saldo.

Rigettava nel resto l’appello principale e gli appelli incidentali, compensando le spese del doppio grado per un terzo nei rapporti tra il S. ed il Ce., ponendo la residua parte a carico del secondo, mentre compensava integralmente tra le altre parti le spese del giudizio di appello.

In relazione all’appello principale, la Corte distrettuale disattendeva la deduzione secondo cui il contratto professionale intercorso con il Ce. fosse affetto da nullità, poichè, in ragione del titolo professionale del convenuto, questo non poteva procedere alla progettazione ed alla direzione di lavori concernenti un fabbricato in cemento armato ed adibito a civile abitazione.

Infatti, rilevava che, sebbene l’eventuale nullità del contratto non avrebbe consentito al committente di poter agire per il risarcimento dei danni, avendo egli stesso concorso a provocare i danni, in ragione della violazione delle norme di ordine pubblico che non poteva essere ignorata, tuttavia riteneva che la deduzione fosse priva di fondamento. Infatti, era emerso che il progetto per le opere strutturali e la relativa direzione dei lavori era stato predisposto, su specifico incarico dei committenti, dall’arch. Ca.Ca., che aveva infatti redatto un vero e proprio progetto, fornendo in sede di collaudo tutte le necessarie delucidazioni.

Tuttavia, se andava confermata la spettanza delle competenze in favore del Ce. per l’attività svolta, era comunque ravvisabile la sua concorrente responsabilità nell’accaduto, non potendo avere efficacia esimente, come invece opinato dal Tribunale, la circostanza che il convenuto avesse convocato le parti ed i loro tecnici al fine di verificare i difetti emersi e lamentati dai committenti.

Il direttore dei lavori ha, infatti, secondo la costante giurisprudenza, il compito di verificare la corretta esecuzione dei lavori da parte dell’impresa appaltatrice, sicchè era sua cura dover riscontrare se le lavorazioni avvenissero conformemente alle prescrizioni progettuali ed alle regole dell’arte costruttiva.

Inoltre non poteva esimere da responsabilità il Ce., la circostanza che il progetto e la direzione dei lavori relativi all’isolamento termico ed all’impianto di riscaldamento fossero stati affidati ad altro professionista, in quanto anche la redazione del progetto per tali opere non implicava che il progettista dell’opus, il direttore dei lavori e l’appaltatore, ognuno per quanto di sua competenza, fossero esentati dal verificare e risolvere eventuali problemi posti dalla presenza di ponti termici, che avevano poi in massima parte cagionato i vizi dedotti in citazione.

Pur ravvisando quindi la concorrente responsabilità del Ce., passando alla determinazione dell’ammontare del danno confermava la decisione del Tribunale di escludere la maggiorazione del 4% in relazione al tempo trascorso tra la data del deposito della relazione peritale e quella del deposito dei chiarimenti, evidenziando la brevità del lasso temporale nonchè la circostanza che non vi era prova dell’aumento dei costi, non potendosi a tal fine dare rilievo alla svalutazione secondo indici generali Istat, che non riflette il diverso andamento delle variazioni dei costi del settore edile.

La sentenza di appello disattendeva altresì la domanda risarcitoria avanzata dal S. in relazione al danno biologico ed esistenziale, in quanto era stata prodotta solo una consulenza di parte che riportava essenzialmente le preoccupazioni della parte così come manifestate al consulente, e che non dimostrava la situazione clinica dell’attore in epoca anteriore ai fatti di causa, sicchè non vi era prova del nesso di casualità.

Era altresì disatteso il motivo di appello principale con il quale il S. si doleva dell’intervenuta compensazione tra il suo credito risarcitorio ed il credito contrattuale vantato dal Ba., rilevando i giudici di appello che emergeva la prova che le somme richieste da quest’ultimo trovassero giustificazione proprio nei lavori oggetto di causa.

L’appello incidentale della F.lli C. era parimenti rigettato, poichè, oltre a non emergere la prova che la società fosse stata ridotta al rango di nudus minister per le ingerenze della committente, trascurava, quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva, che la domanda era stata formulata anche ai sensi dell’art. 1669 c.c., ed era quindi legata alla materiale esecuzione delle opere da cui erano derivati i danni lamentati in citazione.

Inoltre il contratto di appalto concluso con il Consorzio prevedeva esplicitamente che i lavori fossero affidati ad una impresa consorziata, la quale avrebbe assunto tutti gli oneri e le responsabilità derivanti dal contratto, e che proprio in attuazione di tale previsione, l’appellante incidentale era stata incaricata dell’esecuzione del contratto, giusta lettera di assegnazione del 20/4/1995, rispondendo quindi a titolo sia contrattuale che extracontrattuale.

Analogamente andava disatteso il motivo di appello incidentale con il quale si contestava invece la legittimazione attiva del S., in guanto non sottoscrittore del contratto di appalto, evidenziandosi che questi era pacificamente proprietario dell’opus e che aveva fatto valere anche la responsabilità chiaramente di natura extracontrattuale di cui all’art. 1669 c.c.

Infine non meritavano seguito le critiche alla sentenza di primo grado nella parte in cui aveva sposato le conclusioni del CTU, che andavano invece condivise attesa la loro precisione e puntualità.

Parimenti infondato è stato ritenuto l’appello incidentale di B.R. che si risolvevano, in parte, in una critica alle viceversa puntuali e esaurienti indagini del CTU, che invece la Corte distrettuale riteneva di sposare appieno, ed in altra parte, nella deduzione, rimasta però priva di riscontro probatorio, circa il fatto che il ruolo dell’impresa fosse del tutto privo di autonomia a causa delle costanti ingerenze della committenza.

Infine è stato disatteso anche l’appello incidentale del Ba. attesa la sua assoluta genericità, essendosi la parte limitata a richiamare le difese del precedente grado di giudizio, senza esporre alcuna specifica critica alla sentenza del Tribunale.

Per la cassazione di tale sentenza S.P. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.

La F.lli C. di F. e C. s.n.c. ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato a tre motivi. Ce.Lo. ha resistito con controricorso proponendo ricorso incidentale sulla base di cinque motivi.

B.R. ha resistito con controricorso.

R.P. e B.P. non hanno svolto difese in questa fase. S.P. ha presentato controricorso per resistere ai ricorsi incidentali.

Tutte le parti costituitesi in sede di legittimità hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale, articolato in tre punti, il S. intende contestare la correttezza della decisione gravata nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso la nullità dell’incarico professionale conferito al Ce., in relazione al disposto di cui al R.D. n. 274 del 1929, art. 16.

Con il primo punto si denunzia in particolare l’omessa ed apparente motivazione della sentenza in relazione alla mancata dichiarazione di nullità, in quanto, sebbene il S. avesse richiesto con l’atto di appello che fosse accertata la nullità ai sensi della citata norma, attesa la qualifica professionale di geometra del Ce., e l’impossibilità quindi di poter provvedere alla progettazione ed alla direzione dei lavori del manufatto oggetto di causa, che aveva strutture in cemento armato, era destinato ad abitazione ed era escluso che avesse limitate dimensioni, la decisione impugnata si è pronunziata sulla impossibilità di poter avanzare una richiesta risarcitoria, in caso di nullità dell’incarico, senza però fornire risposta alla deduzione di invalidità del contratto.

Il secondo punto invece lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 274 del 1929, art. 16 sottolineandosi come, proprio alla luce delle dimensioni e delle caratteristiche dell’opus oggetto di causa, era da escludersi che il Ce. potesse ricoprire l’incarico affidatogli.

Il terzo punto deduce invece l’insufficiente motivazione circa la mancata dichiarazione di nullità, richiamando le affermazioni della Corte distrettuale circa l’impossibilità per il committente di poter richiedere i danni al professionista il cui incarico sia stato conferito in violazione del cennato art. 16, avendo il giudice del merito trascurato di valutare che la semplice accettazione del progetto non poteva coinvolgere la responsabilità del committente il quale era privo delle competenze specifiche per avvedersi degli errori progettuali ed esecutivi commessi dalle imprese appaltatrici e non rilevati dal direttore dei lavori.

Nel caso di specie i vizi presenti nel fabbricato non avrebbero potuto essere individuati dal S. il quale ben poteva quindi addurli successivamente ai fini della richiesta risarcitoria.

Ad avviso del Collegio, le deduzioni che investono direttamente la motivazione della sentenza impugnata sono prive di fondamento.

Ed, invero quanto alla pretesa carenza di motivazione, il ricorrente non sembra aver colto l’effettivo percorso seguito dalla Corte di merito per disattendere la deduzione di nullità dell’incarico professionale conferito al Ce..

In realtà, dopo aver richiamato il principio affermato da Cass. n. 5136/2007, secondo cui il committente, in quanto partecipe, per effetto del volontario conferimento dell’incarico, della violazione delle norme di ordine pubblico concernente l’esercizio delle professioni intellettuali protette, non può poi dolersi delle conseguenze dannose derivanti dal compimento di attività illecite, cui scientemente, o quanto meno incautamente ha dato causa (in senso conforme si veda da ultimo anche Cass. n. 12996/2016), argomento che avrebbe appunto giustificato il rigetto della domanda risarcitoria (diverso discorso andrebbe fatto invece per quanto attiene alla decisione in merito alla domanda riconvenzionale del Ce. di pagamento del saldo delle proprie spettanze professionali), la Corte di merito non si è attestata su tale rilievo, ma ha compiuto una verifica in concreto dei fatti di causa, ritenendo di poter escludere in ogni caso la nullità.

A tal fine ha rilevato che, pur dovendosi dare atto dell’astratta applicabilità dell’art. 16, tuttavia nella fattispecie i committenti avevano conferito un separato incarico all’arch. Ca.Ca., professionista quindi munito dei requisiti professionali richiesti per l’espletamento di incarico avente ad oggetto costruzioni in cemento armato, il quale non si era limitato alla esecuzione dei soli calcoli strutturali, ma aveva elaborato un vero e proprio progetto corredato di disegni esecutivi, curando anche la successiva direzione dei lavori, per la parte delle opere aventi carattere strutturale, come confermato anche dal verbale di collaudo del 7 febbraio 1997.

Trattasi di motivazione connotata da logicità e coerenza e che fornisce giustificazione delle ragioni per le quali deve ritenersi esclusa la nullità. Quanto invece al terzo punto del motivo in esame, deve rilevarsi che l’impossibilità per il committente di potersi avvedere delle carenze progettuali involge chiaramente il profilo dei vizi dell’opera, e non anche la causa di nullità invocata dal ricorrente principale, la quale invece investe unicamente il riscontro in capo al professionista incaricato delle competenze che la legge prescrive per la specificità dell’opus commesso, e non anche la corretta e diligente attività di progettazione e successiva verifica della corretta realizzazione dell’opera, nella diversa veste di direttore dei lavori.

Quanto al secondo punto, effettivamente deve segnalarsi l’esistenza di una costante giurisprudenza di questa Corte che depone per l’impossibilità, sanzionata con la nullità del contratto d’opera intellettuale eventualmente concluso, per il geometra di svolgere attività di progettazione o di direzione di lavori per opere in cemento armato (cfr. da ultimo Cass.. 5871/2016, secondo cui è nullo il contratto di affidamento della direzione dei lavori di costruzioni civili ad un geometra, ove la progettazione richieda l’esecuzione, anche parziale, dei calcoli in cemento armato, attività demandata agli ingegneri, attese le limitate competenze attribuite ai geometri del R.D. n. 274 del 1929, art. 16; conff. Cass. n. 17028/2006; Cass. n. 6402/2011).

Tuttavia, si rileva che nel caso in esame il giudice di merito, con un accertamento in fatto, in questa sede non sindacabile, ha affermato che l’arch. Ca., oltre ad avere predisposto un autonomo progetto per le parti in cemento armato della costruzione, ha svolta una altrettanto autonoma attività di direzione dei lavori, il che esclude quindi che la soluzione alla quale è pervenuta la Corte distrettuale contrasti con le norme invocate da parte ricorrente.

2. Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., per il mancato riconoscimento della maggiorazione del 4% sui costi di ripristino per la reintegrazione dei danni patrimoniali.

Rileva il ricorrente che la CTU dell’ing. L. era stata depositata in data 16/12/2002 e che la relazione di chiarimenti recava la data del 15/12/2003, ed in quest’ultima, in relazione alla determinazione dei costi per il ripristino, l’ausiliare d’ufficio riteneva che gli stessi andassero rivalutati, in funzione dell’incremento dei prezzi avvenuto rispetto al primo deposito, in una misura percentuale del 4%.

A contrario la sentenza impugnata ha negato tale maggiorazione, osservando, conformemente a quanto dedotto dal Tribunale, che al di là del breve intervallo di tempo tra le due relazioni, non poteva condividersi l’assunto del CTU in quanto era assente il riferimento indispensabile alla variazione pubblicata dei prezzi nello specifico settore, evidenziando altresì come ben diverso rispetto a quanto indicato dal CTU, era l’indice di svalutazione per lo stesso periodo.

Deduce il ricorrente che la Corte di merito avrebbe violato l’art. 1223 c.c., in quanto non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni del proprio dissenso rispetto al consulente d’ufficio, trascurando altresì il notorio, rappresentato dal notevole incremento del tasso di inflazione in concomitanza con l’introduzione della moneta unica europea.

Co il secondo punto del motivo si lamenta poi l’insufficiente e contraddittoria motivazione sempre in merito al mancato riconoscimento della maggiorazione, richiamandosi le suesposte considerazioni in ordine al decorso del tempo ed all’incidenza del fenomeno inflattivo.

Il motivo già nella sua formulazione evidenzia come in realtà ad essere contestata non sia l’applicazione della norma di diritto, quanto la valutazione in fatto compiuta dal giudice del merito, il quale è pervenuto al rigetto della richiesta de qua ritenendo, anche in dissenso con le affermazioni del CTU, ritenute prive di adeguato supporto documentale, che mancasse la prova di un’effettiva variazione dei prezzi del settore, variazione che giustificasse quindi la necessità di aggiornare la stima compiuta appena un anno prima.

Trattasi all’evidenza di un accertamento in fatto e che investe la verifica circa l’avvenuta dimostrazione dell’incidenza del tempo sul costo degli interventi di ripristino, e che in quanto tale non appare suscettibile di sindacato in questa sede, ponendo peraltro la parte come parametro di riferimento quello della svalutazione monetaria che, come correttamente sottolineato nella sentenza gravata, segue percorsi e sviluppi non coincidenti con quelli dei vari settori commerciali ed imprenditoriali (si pensi alle significative divergenze che connotano la svalutazione monetaria rispetto all’andamento del mercato immobiliare, e che nel campo delle stime immobiliari non consente di procedere all’adeguamento del valore degli immobili con il ricorso agli indici di svalutazione predisposti dall’Istat).

L’erroneità della decisione si sarebbe quindi potuta ravvisare solo laddove fosse stato negato l’aggiornamento dei costi, pur in presenza di una oggettiva e riscontrata variazione dei prezzi degli interventi nel settore edile, ma non anche laddove si richiami genericamente l’effetto inflattivo generato dall’introduzione dell’Euro ovvero l’andamento della svalutazione, che, come detto, non necessariamente si riverbera anche sui costi di determinati beni o prestazioni.

3. 11 terzo motivo di ricorso, articolato in due punti, al primo punto, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Cost., riguardo al mancato riconoscimento del danno biologico patito dal S. in conseguenza della lesione del diritto di proprietà.

Dopo avere rammentato la fondamentale importanza del diritto de quo, la cui tutela è consacrata a livello costituzionale, nonchè in numerose fonti del diritto internazionale, si deduce che il mancato riconoscimento del danno biologico scaturente dalla violazione del diritto in esame, viola i principi generali dell’ordinamento e le norme invocate.

Peraltro la prova dell’esistenza del danno emergeva chiaramente dalla perizia di parte versata in atti.

La sentenza sarebbe poi, e siamo al secondo punto del motivo, connotata da una motivazione del tutto insufficiente, in quanto non terrebbe conto delle evidenze oggettive emergenti dalla perizia del dott. M., la quale permetteva di evincere i gravi disagi fisici e psichici patiti dall’attore, che avevano inciso anche sulla permanenza del rapporto coniugale, dissoltosi proprio in conseguenza delle vicende oggetto di causa.

La presenza dei danni era poi non oggetto di contestazione ad opera delle controparti, sicchè la sentenza non poteva eluderne il risarcimento, negando altresì l’esperimento della consulenza tecnica d’ufficio, volta a determinarne con precisione l’entità.

Il quarto motivo di ricorso, articolato a sua volta in due punti, lamenta nel primo, in relazione alla lesione del diritto di proprietà, la violazione dell’art. 42 Cost. e delle norme di diritto internazionale, già richiamate nell’illustrazione del precedente motivo, il mancato riconoscimento del danno esistenziale, così come configurato dall’elaborazione giurisprudenziale.

Il secondo punto invece denunzia, sempre in merito al mancato risarcimento del danno esistenziale, l’insufficienza della motivazione della Corte di merito.

Infine il quinto motivo, relativamente al mancato ristoro dei danni non patrimoniali, lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 6 e 13 della CEDU e dell’art. 47 della Carta di Nizza, in quanto è stata negata la valenza di prova alla perizia psicologica versata in atti, senza però dare seguito alla richiesta di nomina di un CTU, posto che solo tale strumento avrebbe permesso alla parte di offrire la prova dei danni subiti.

I motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati e devono essere del pari rigettati.

Il complessivo sviluppo delle critiche mosse da parte ricorrente risulta in larga misura legato ad una concezione del danno non patrimoniale che appare chiaramente sconfessata dall’autorevole arresto delle sezioni unite, di cui alla cd. sentenze di S. Martino del novembre del 2008.

I principi espressi in tale occasione nella sentenza n. 26972/2008, ai fini che qui interessano possono essere così compendiati:

Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo, come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale.

Pertanto non è ammissibile nel nostro ordinamento l’autonoma categoria di “danno esistenziale”, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel “danno esistenziale” si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all’art. 2059 c.c..

Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.: (a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorchè privo di rilevanza costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); (c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice.

– L’art. 2059 c.c. non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all’art. 2043 c.c., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 c.c.: e cioè la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.

Da tali principi, dai quali non risulta essersi discostata la successiva giurisprudenza di questa Corte, emerge che non ha giustificazione la distinta invocazione del danno biologico e del danno esistenziale da parte del ricorrente, trattandosi di richieste che attengono nel loro unitario disegno al ristoro del danno non patrimoniale patito in conseguenza dei fatti di causa.

Ancora, la riconducibilità del danno non patrimoniale, secondo la suddetta lettura costituzionalmente orientata, alla sola lesione di diritti della persona affermati come inviolabili a livello costituzionale, induce altresì a dubitare che la lesione del diritto di proprietà possa giustificare da sola una richiesta risarcitoria ex art. 2059 c.c. (mancando altresì la dimostrazione, rispetto alla maggior parte dei precedenti invocati a sostegno della propria tesi dal ricorrente, che il bene pregiudicato dall’altrui condotta illecita fosse effettivamente adibito ad abitazione del soggetto leso).

Ma dirimente appare soprattutto la corretta individuazione delle ragioni che hanno indotto il giudice di merito a disattendere la richiesta risarcitoria, che vanno individuate nella mancata dimostrazione del nesso di causalità tra la condotta e dei convenuti ed il pregiudizio lamentato.

In tal senso depone il rilievo secondo cui la perizia di parte si fondava essenzialmente quanto alla riconduzione dei disagi patiti alle vicende dell’appalto, alle affermazioni dello stesso ricorrente, mancando tuttavia qualsivoglia prova circa il fatto che il quadro clinico rilevato dal perito di parte trovasse il suo antefatto causale nella vicenda controversa.

La soluzione raggiunta dalle Sezioni Unite depone chiaramente per l’esclusione della possibilità di attribuire al danno non patrimoniale una qualificazione in termini di danno in re ipsa, essendosi incontrovertibilmente ribadita la necessità che il danneggiato offra la prova dell’esistenza del nesso di causalità tra i pregiudizi non patrimoniali allegati e la condotta contra ius dell’asserito danneggiante, non potendosi in alcun modo avallare un ragionamento fondato sull’applicazione della regola del post hoc, propter hoc.

In tal senso, oltre a doversi richiamare il costante orientamento di questa Corte per il quale (cfr. Cass. 25 gennaio 2012 n. 1028) l’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (conf. ex multis Cass. 23 febbraio 2006 n. 4009, secondo cui la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico; Cass. 5 aprile 2005 n. 7086; Cass. 16 maggio 2003 n. 7637; Cass. 23 luglio 2003 n. 11453), si rileva che la sentenza impugnata è immune anche dalle critiche che investono la correttezza del percorso motivazionale seguito.

Ed, invero, appare palese, dalla lettura degli stralci della consulenza di parte prodotta in sede di merito, così come trascritti in ricorso, che il perito, quanto all’individuazione del nesso causale, si è limitato a riportare unicamente quelle che erano le personali considerazioni del periziato, fornendo un quadro clinico del S. alla data della visita. Correttamente la Corte distrettuale ha invece rimarcato che per l’accertamento del nesso di causalità sarebbe stato necessario invece offrire la prova di quale fosse la condizione clinica, sotto il profilo soprattutto delle condizioni di salute psichica del ricorrente in epoca anteriore al verificarsi dei fatti di causa, poichè solo tale prova, che il S. non ha fornito nè si è offerto di fornire mediante l’articolazione di specifici mezzi istruttori, avrebbe permesso di apprezzare l’effettiva incidenza della condotta illecita dei convenuti sulle condizioni personali dell’attore.

Nè infine tali rilievi appaiono suscettibili di essere superati alla luce del richiamo al principio di non contestazione, posto che l’argomento speso nel motivo di ricorso risulta evidentemente privo del carattere di specificità, avendo la parte fatto generico richiamo allo stesso, senza peraltro individuare, tenuto conto della formulazione dell’art. 115 c.p.c. applicabile ratione temporis (e quindi nella versione anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 69 del 2009) in quali atti e con quali modalità si sia venuta a formare la non contestazione in merito alla sussistenza del danno lamentato.

Il ricorso principale deve pertanto essere disatteso.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la F.lli C. s.n.c. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2602, 2603, 2615, 1669 e 2043 c.c. laddove il giudice di merito ha rigettato l’eccezione di carenza di legittimazione passiva.

Si deduce che il contratto dì appalto era stato concluso dalla committente con un Consorzio di imprese avente rilevanza esterna, e quindi con un autonomo soggetto di imputazione di diritti ed obblighi, ivi inclusi tra i secondi quelli scaturenti da fattispecie di responsabilità aquiliana.

L’autonomia del consorzio comporta pertanto che lo stesso debba rispondere dei danni cagionati all’attività di una delle imprese consorziate alla quale sia stata affidata l’esecuzione dei lavori d’appalto, con esclusione della responsabilità di quest’ultima.

Il secondo motivo denunzia poi la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c.. in quanto la conclusione della Corte distrettuale avrebbe esteso la responsabilità scaturente dalla non corretta esecuzione del contratto alla ricorrente incidentale, che però non era stata parte del contratto d’appalto.

I due motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la connessione delle questioni coinvolte, sono infondati.

Ed, invero i motivi difettano evidentemente del requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

A tal fine si rileva che la sentenza impugnata per fondare la responsabilità dell’odierna ricorrente incidentale, in quanto impresa consorziata alla quale era stata affidata la materiale esecuzione dei lavori di cui al contratto d’appalto intercorso tra il consorzio e la R., oltre a fare richiamo alla espressa previsione del contratto de quo, che consentiva al consorzio di assegnare l’appalto ad una delle imprese consorziate che avrebbe assunto, in conseguenza dell’esecuzione dei lavori, tutti gli obblighi, oneri e diritti del contratto d’appalto, ha richiamato, al fine di completare il meccanismo di subentro della società negli obblighi derivanti dal contratto, la lettera di assegnazione del 20 aprile 1995, ritenuta evidentemente idonea ad assicurare il subentro e l’assunzione degli obblighi de quibus, senza che però la parte si sia peritata di riportarne il contenuto in ricorso nè di indicare da chi sia stata prodotta, in quale fase processuale e la sede ove sia possibile reperirla.

Trattasi di carenza che inficia la stessa ammissibilità del motivo in quanto formulato non conformemente a quanto richiesto dalle norme di rito.

In ogni caso le censure appaiono infondate.

Ed, infatti, quanto alla violazione dell’art. 1372 c.c., la deduzione non si confronta con l’effettivo contenuto della decisione la quale, lungi dall’affermare la sola responsabilità contrattuale della F.lli C., ha ritenuto che indipendentemente da questa, fosse comunque ravvisabile la responsabilità extracontrattuale dell’impresa esecutrice dei lavori ai sensi dell’art. 1669 c.c., il che esclude l’idoneità del secondo motivo, ove anche fondato, a determinare un esito diverso della controversia. Quanto invece al primo motivo, non ignora il Collegio che secondo la giurisprudenza della Corte, il consorzio con attività esterna è responsabile nei confronti dei terzi dei danni a questi ultimi causati dalle imprese consorziate nello svolgimento di attività costituenti adempimento di un contratto stipulato direttamente dal consorzio (così Cass. n. 18235/2008, richiamata dalla difesa della ricorrente incidentale, cui in senso conforme, Cass. n. 10956/1996), ma trattasi di affermazione che al più implica che il danneggiato possa chiamare a rispondere del danno subito, ed in solido con l’autore materiale, anche il consorzio.

Nella fattispecie però il danneggiato non ha inteso avvalersi di tale facoltà avendo indirizzato le proprie richieste risarcitorie nei soli confronti della società che ha materialmente eseguito le opere, e che è come tale tenuta a rispondere dei danni ex art. 1669 c.c., sicchè l’eventuale corresponsabilità del consorzio è priva di giuridica rilevanza ai fini della correttezza della decisione in esame.

5. Il terzo motivo del ricorso incidentale della società convenuta lamenta invece l’insufficiente motivazione della sentenza gravata circa un punto decisivo della controversia, ed in particolare in merito alle contestazioni all’operato del CTU ed ai metodi da questi seguiti.

Si deduce in particolare che la decisione non avrebbe adeguatamente preso in considerazione le osservazioni critiche sviluppate nel motivo di appello incidentale, il cui contenuto trascrive in ricorso.

La sentenza della Corte d’Appello, sebbene in riferimento all’accertamento della responsabilità del Ce., ma con argomentazioni alle quali ha fatto richiamo nell’esaminare il profilo della responsabilità della F.lli C., ha ritenuto che la CTU ed i successivi chiarimenti avessero puntualmente individuato i difetti di costruzione rilevandone la causa ed i costi per il ripristino, ravvisando la profondità e l’adeguatezza della motivazione delle conclusioni del perito d’ufficio.

A tal proposito non può che rilevarsi del pari la carenza del requisito di specificità del motivo di ricorso nella parte in cui, pur denunziandosi il vizio di motivazione della sentenza per avere recepito e fatte proprie le conclusioni del CTU, che, a dire della parte, non avrebbero fornito risposta ai rilievi tecnici formulati nel corso del giudizio, risulta del tutto omessa la riproduzione del contenuto della CTU.

Giova a tal fine richiamare quanto affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 16368/2014) a mente della quale, in relazione a controversie assoggettate, come quella in esame, alla previgente lettera dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione.

Ed, invero, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 1815/2015), il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive.

Dalla sola lettura del motivo di ricorso emerge che sicuramente il CTU ha esaminato tutti i profili dedotti dalla parte, che in realtà manifesta la propria insoddisfazione per le risposte fornite, impedendo tuttavia di compiere, per la segnalata carenza nella formulazione del mezzo di impugnazione, il controllo, sebbene mediato in ragione del rinvio alle conclusioni dell’ausiliario, circa la logicità della motivazione della decisione gravata.

Pertanto, poichè non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 10222/2009), il che vale a maggior ragione laddove come nel caso in esame, la parte si limiti a riprodurre i rilievi critici a suo tempo formulati, senza permettere di verificare se e quale risposta sia stata data dalla perizia d’ufficio alla quale abbia fatto rinvio il giudice di merito.

6. Con il primo motivo del ricorso incidentale di Ce.Lo. si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ed il travisamento dei fatti in relazione all’affermazione di corresponsabilità del direttore dei lavori.

Si deduce che il ricorrente incidentale era stato incaricato esclusivamente della redazione del progetto architettonico e della direzione dei lavori delle relative opere, sicchè non poteva essere chiamato a rispondere dei vizi del progetto relativo all’isolamento termico, che, unitamente alla direzione dei relativi lavori, era stato affidato a diverso professionista, al quale solo competeva avvedersi delle problematiche relative alla presenza di cd. ponti termici, ai quali andava ascritta la causa preponderante dei danni lamentati dal committente.

Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte d’Appello ha affermato la responsabilità del Ce. per problematiche che non potevano essere ascritte alla sua specifica competenza professionale ed al ruolo svolto nell’esecuzione dei lavori e nell’attività di direzione.

Il terzo motivo denunzia la contraddittorietà, illogicità ed insufficienza della motivazione, sempre in relazione all’attribuzione di responsabilità al Ce., nonostante la diversa distribuzione dei ruoli tra i tre professionisti incaricati dell’attività di progettazione e direzione dei lavori.

L’eliminazione dei ponti termici, funzionale ad evitare la formazione di umidità, condensa e muffe, atteneva all’isolamento termico, compito del quale era stato officiato il P.I. Cortini, sicchè degli eventuali errori od omissioni di quest’ultimo, non poteva essere chiamato a risponderne il ricorrente incidentale.

Il quarto motivo denunzia il travisamento dei fatti e delle risultanze della consulenza tecnica, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione, nella parte in cui la sentenza gravata ha ritenuto che la responsabilità del Ce. discenderebbe dalla stessa consulenza tecnica, che invece non reca in alcuna parte l’affetniazione della responsabilità in oggetto.

Il quinto motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., nonchè la motivazione insufficiente, laddove la sentenza impugnata, nell’individuare in concreto il dovere di diligenza che incombe sul direttore dei lavori ha di fatto trasformato quella che deve concretarsi in una presenza in cantiere non necessariamente giornaliera, in una attività connotata da quotidiana assistenza, imponendo al direttore una costante e continuativa vigilanza sulle attività dell’appaltatore, imponendosi l’obbligo di compiere delle tempestive campionature, tradendo in tal modo quella che è la funzione del direttore dei lavori che è di alta sorveglianza, e non di minuta assistenza alle lavorazioni meramente esecutive.

I motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati e vanno pertanto rigettati.

In primo luogo deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale sollevata dal S. nel controricorso in risposta al ricorso incidentale, sul presupposto che, essendo il Ce. coobbligato solidale con la F.lli C., ed avendo quest’ultima corrisposto integralmente al ricorrente principale la somma a questi riconosciuta dalla sentenza gravata, non vi sarebbe un interesse alla coltivazione del ricorso incidentale.

A tal fine è stato invocato il precedente di questa Corte n. 2192/2009, che ad avviso del Collegio non è però conferente.

Va in primo luogo evidenziato che il Ce. è stato riconosciuto in sentenza corresponsabile, oltre che con la società intimata anche con l’impresa del B., e per importi diversi, sicchè, anche a voler ravvisare l’effetto estintivo nel pagamento effettuato dalla prima, residuerebbe comunque un interesse a coltivare il ricorso incidentale relativamente alla solidarietà con la seconda impresa.

Ancora, il ricorrente principale afferma l’intervenuto pagamento da parte della F.lli C., senza però indicare, in violazione del principio di specificità, da quale atto ritualmente prodotto nei precedenti gradi di giudizio, emerga la prova di tale circostanza.

Infine, a differenza dell’ipotesi esaminata nel precedente invocato dal S., il pagamento avvenuto nella fattispecie non risulta spontaneo, come nel caso a suo tempo vagliato da questa Corte, ma è frutto della provvisoria esecutorietà della sentenza di merito, sicchè, avendo la F.lli C. a sua volta proposto ricorso incidentale in punto di responsabilità, al detto pagamento non può ricondursi l’efficacia estintiva dell’obbligazione solidale, idonea a privare di interesse il corresponsabile alla proposizione del mezzo di impugnazione.

Tornando al merito dei motivi, gli stessi mirano surrettiziamente ad una non consentita rivalutazione dei fatti di causa, attività questa non permessa in sede di legittimità.

Nè la sentenza appare censurabile sotto il profilo della carenza motivazionale, avendo la stessa, con congrua ed esauriente motivazione, chiarito le ragioni in base alle quali andava comunque ravvisata la corresponsabilità del Ce. per i danni dedotti in citazione.

La Corte distrettuale dopo avere richiamato i pacifici principi, più volte affermati da questa Corte, in punto di obblighi facenti capo al direttore dei lavori, in eventuale concorso con quelli incombenti sul progettista e sull’appaltatore, ha motivatamente dissentito dalle conclusioni del CTU che aveva invece escluso la responsabilità del Ce., osservando, con precipuo riferimento ai danni scaturenti dall’erronea considerazione dei ponti termici, sebbene il progetto dell’impianto di riscaldamento e dell’isolamento termico fossero stati predisposti da altro tecnico, il controricorrente, ancorchè nei limiti delle proprie attribuzioni, e quindi anche nella più limitata veste di direttore dei lavori delle opere architettoniche, avesse l’obbligo di verificare la rispondenza del progetto predisposto da altri alle regole dell’arte, di segnalare le incongruenze che si ponevano ed a suggerire, anche nella fase realizzativi, tutti gli accorgimenti volti a prevenire l’insorgenza dei danni poi manifestatisi.

Il riferimento alla necessità di partire dalle superfici esterne per assicurare l’eliminazione dei ponti termici, anche nella prospettazione del ricorrente incidentale secondo cui la sua attività era limitata alla direzione delle sole parti architettoniche, evoca chiaramente il suo coinvolgimento nella vicenda causativa del danno subito dal S., in quanto avrebbe dovuto verificare se la progettazione compiuta dall’altro tecnico incaricato poneva dei problemi in relazione alla diversa progettazione delle parti esterne.

L’affermazione del coinvolgimento del Ce., per il ruolo specificamente svolto, costituisce pertanto un apprezzamento in fatto, adeguatamente motivato che si conforma alla costante giurisprudenza di questa Corte in punto di responsabilità del direttore dei lavori, in questo caso in concorso con quella degli altri soggetti coinvolti nella realizzazione dell’opus, e che pone la decisione gravata al di fuori del sindacato consentito a questa Corte.

Tali conclusioni espressamente riferite ai danni derivanti dalla mancata eliminazione dei ponti termici, valgono a maggior ragione per le ulteriori cause dei danni, così come descritte alla pag. 14 della sentenza impugnata, e che investono direttamente problemi di corretta esecuzione delle lavorazioni affidate all’impresa appaltatrice, e che pacificamente rientrano tra quelle sottoposte alla verifica del Ce., quale responsabile della progettazione architettonica e della relativa direzione.

7. Il ricorso principale ed i ricorsi incidentali devono pertanto essere integralmente rigettati.

8. Quanto alle spese del presente giudizio, attesa la reciproca soccombenza, si ritiene che sussistano i presupposti per l’integrale compensazione tra il ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali. Le spese invece seguono la soccombenza nei rapporti tra il S. ed il B., ed a tanto si provvede come da dispositivo che segue.

Nulla a disporre nei confronti delle parti intimate che non hanno svolto difese in questa fase.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed i ricorsi incidentali;

compensa le spese del giudizio di legittimità tra il ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali;

condanna S.P. al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore di B.R., spese che liquida in Euro, 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 245 febbraio 2017

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