Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4848 del 24/02/2017

Cassazione civile, sez. II, 24/02/2017, (ud. 07/02/2017, dep.24/02/2017),  n. 4848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

L.M., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dagli Avvocati Ugo Patroni Griffi e Giovanna

Ciccarella, con domicilio eletto in Roma, piazza Barberini, n. 12;

– ricorrente –

contro

L.A., in proprio e quale erede di L.G.,

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avvocati Giuseppe Tucci e Silvia Maggio, con

domicilio eletto nello studio dell’Avvocato Carlo Cipriani in Roma,

via Federico Confalonieri, n. 1;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari n.

128/2012 in data 9 febbraio 2012;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7

febbraio 2017 dal Consigliere Alberto Giusti;

uditi gli Avvocati Giovanna Ciccarella e Giuseppe Tucci;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 21 aprile 2000, L.M., qualificatosi erede universale di La.Ma., deceduta il (OMISSIS), in forza di testamento pubblico del 25 maggio 1993 accettato in data 6 settembre 1999, convenne in giudizio L.G. e L.A. esercitando un’azione di petitio hereditatis per sentire dichiarare la inopponibilità nei suoi confronti della donazione di alcuni beni immobili in (OMISSIS), già appartenenti all’asse successorio della de cuius, che il primo (suo zio) aveva disposto in data 29 marzo 2000 in favore della seconda (sua cugina) sull’assunto che essi fossero pervenuti per successione a esso donante, con la conseguente cancellazione delle trascrizioni pregiudizievoli afferenti tali beni nonchè il rilascio di alcuni immobili pure occupati, meglio indicati in citazione.

Si costituirono i due convenuti ed eccepirono la perfetta regolarità della donazione contestata ex adverso, poichè i beni in questione erano pervenuti a L.G. in forza di un testamento olografo della de cuius (datato 1 luglio 1993) di epoca posteriore a quello pubblico vantato dall’attore, e quindi prevalente.

L.G. chiese riconvenzionalmente il riconoscimento della sua qualità ereditaria fondata sul detto testamento olografo e la consequenziale condanna di suo nipote M. al rilascio di un certo immobile appartenente a tale compendio pervenutogli per successione, sito in (OMISSIS).

Dopo avere escluso, con ordinanza del 14 agosto 2002, la necessità di procedere ad attività istruttoria, il Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Manfredonia, con sentenza in data 29 settembre 2005, accoglieva la domanda dell’attore, rilevando che i convenuti – i quali avevano l’onere di dare fondamento alla propria prospettazione dimostrando l’autenticità del testamento olografo – non avevano prodotto il testamento olografo in originale, nè avevano chiesto di acquisirlo presso il notaio che l’aveva pubblicato a suo tempo e che doveva ancora conservarlo quale depositario ex lege, sicchè il loro assunto era restato sfornito di prova.

2. – La Corte d’appello di Bari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 9 febbraio 2012, ha accolto l’appello proposto da G. e L.A. e, per l’effetto, ha dichiarato L.G. erede per successione testamentaria di La.Ma., dichiarando opponibile a L.M. la donazione effettuata in data 29 marzo 2000 da L.G. e beneficio di L.A..

2.1. – A tale conclusione la Corte d’appello è pervenuta sulla premessa che, a fronte del disconoscimento dell’autenticità del testamento olografo effettuato da L.M., correttamente L.G., nel formulare istanza di verificazione di tale atto, aveva chiesto che la verificazione avesse luogo con il meccanismo che lo stesso Tribunale avrebbe dovuto decidere in concreto, senza doversi spingere a chiedere praeter legem, rispetto all’art. 216 c.p.c., anche la emissione di un ordine di esibizione del documento, che, poichè rivolta ad un notaio per un documento privato messo a repertorio dopo averlo ricevuto, si sarebbe risolta in una richiesta contra legem.

In particolare, la Corte d’appello ha rilevato:

che la parte convenuta, nel costituirsi, a legittimazione dei suoi diritti ereditari aveva prodotto il verbale di pubblicazione del testamento olografo datato 1 luglio 1993, redatto dal notaio G.G. di (OMISSIS) in data 10 agosto 1999 con allegata fotocopia della scheda testamentaria, oltre all’atto di successiva accettazione da parte di L.G.;

che L.M. aveva opposto (all’udienza del 5 luglio 2000) il disconoscimento di tale documento;

che L.M. non aveva disconosciuto la conformità del verbale notarile in quanto tale rispetto all’atto donde era stata ricavata la trascrizione, per il risolutivo motivo che nessuno poteva seriamente immaginare che il notaio si fosse messo a falsificare il suo stesso verbale e la fotocopiatura del testamento consegnatogli per la pubblicazione; e in ogni caso, trattandosi di atto pubblico a fede privilegiata, la sua invalidazione avrebbe dovuto seguire la ben diversa via dell’impugnazione per falso; che il disconoscimento aveva investito, piuttosto, l’autenticità del testamento olografo pubblicato, e cioè l’autenticità della scrittura come di pugno della testatrice e la sottoscrizione;

che nella stessa udienza del 5 luglio 2000 la controparte insisteva nell’avvalersi del documento (cioè del testamento richiamato nel verbale notarile); di conseguenza, formulava istanza di verificazione di tale atto, per un verso indicando alcuni documenti di comparazione di provenienza di L.M., per altro verso chiedendo al giudice di “adottare ogni altro provvedimento per l’istanza di verificazione articolata”;

che nel seguito processuale, articolatosi in due udienze istruttorie, il Tribunale assegnava alle parti termine ex art. 184 c.p.c. per deposito di memorie e documenti (ordinanza 4 gennaio 2002); alla successiva udienza del 7 giugno 2002 la parte attrice L.M. rilevava che controparte convenuta non aveva provveduto ad assolvere all’onere di depositare l’originale del testamento olografo del quale essa stessa aveva chiesto la verificazione nè, per altro verso, aveva chiesto di emanare ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. al notaio depositario di tale atto; la parte convenuta replicava affermando di non poter recuperare il testamento in questione dal notaio stante il divieto di legge, valevole per quest’ultimo, di consegnare e far uscire dallo studio atti messi a repertorio, e di non avere chiesto l’esibizione ex art. 210 c.p.c. perchè neppure questo sarebbe stato legalmente consentito.

Dopo avere rilevato che la perizia grafologica è stata legittimamente disposta in appello per stabilire l’autenticità o meno del testamento datato 1 luglio 1993, la Corte d’appello ha ritenuto il testamento olografo autografo.

La Corte d’appello ha considerato l’esito della disposta c.t.u., dalla quale è risultato, anche alla luce dei chiarimenti resi, che “la sottoscrizione in calce al testamento è sicuramente attribuibile alla signora La.Ma.” e che “nel testamento in esame” è “intervenuta principalmente la mano scrivente della signora La.Ma., sia nel testo che nella sottoscrizione”.

Ed ha motivato la conclusione nel senso della autografia del testamento in esame rilevando:

che la diversa grandezza delle lettere della sottoscrizione rispetto alle lettere del testo nulla prova in ordine alla diversità di mano, essendo stata la funzionalità grafica sostanzialmente identica;

che nulla – desumibile dall’elaborato peritale del c.t.u. – autorizza a sospettare che l’intero testo dell’atto sia stato redatto sia stato redatto da “una mano diversa, ma parimenti senile”, e cioè sia totalmente di mano non di La.Ma.;

che i dismorfismi e la non buona uniformità degli spazi ancor meno portano argomento all’inautenticità del testo, per la risolutiva ragione che non vi sono scritture comparative estese (cioè diverse dalla sola firma) di provenienza della La., che documentino che costei, invece, usasse redigere testi in modo più regolare e morfologicamente corretto;

che il punto “a cerchietto” sulla “i” di “mio” trova sufficiente spiegazione nella constatazione svolta dalla difesa appellante, circa la comparazione con analogo stilema presente nella parola ” Ma.” scritta dalla La. innanzi a un notaio pochi mesi dopo il testamento del 1 luglio 1993;

che la correzione della lettera “c” nella prima parola “Lascio”, infine, anche se fosse stata operata non dalla stessa La., ma da altro soggetto, è completamente irrilevante nell’economia del testo, non rappresentando neppure quel mi-nimum semantico definibile “parola”.

Stante la piena validità del testamento olografo, la Corte di Bari ha sottolineato la incompatibilità, ai sensi dell’art. 682 c.c., della nomina di L.M. quale erede universale della de cuius La.Ma., disposta dal testamento pubblico del 25 maggio 1993, con la posteriore disposizione del testamento olografo del 1 luglio 1993. Dal riconosciuto acquisto per successione ereditaria da parte di L.G. la Corte d’appello ha fatto derivare la conseguenza della piena validità giuridica, e quindi della opponibilità a L.M., della donazione disposta dal primo a beneficio della nipote L.A. con atto del 29 marzo 2000.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello L.M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 14 gennaio 2013, sulla base di sette motivi.

L’intimata L.A., in proprio e quale erede di L.G., ha resistito con controricorso.

La controricorrente ha depositato una memoria illustrativa in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente denuncia nullità della sentenza e/o del procedimento, per violazione degli artt. 214, 216 e 217 c.p.c., ove occorra, dell’art. 2719 c.c., dell’art. 210 c.p.c. nonchè della L. n. 89 del 1913, art. 66 e della L. n. 340 del 2000, art. 66 dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 184 c.p.c. (nel testo introdotto con la L. 26 novembre 1990, n. 353). Il ricorrente deduce che, effettuato il disconoscimento, da parte di L.M., dell’autenticità della scrittura e della sottoscrizione del documento prodotto in fotocopia, la parte che voleva avvalersi del medesimo documento, e cioè L.G., ne doveva produrre l’originale e ne doveva chiedere la verificazione. Il ricorrente sottolinea che il disconoscimento dell’autenticità della scrittura e della sottoscrizione del documento prodotto in fotocopia non produce solo l’effetto di contestare l’esistenza dell’originale, ma preclude, in radice, l’utilizzabilità della scrittura, salvo che ne sia prodotto l’originale, ne sia chiesta la verificazione e questa abbia esito positivo. Il ricorrente precisa che non v’era alcuna prova in giudizio nè del fatto che il testamento si trovasse presso lo studio del notaio G. nè del fatto che il notaio G. non intendesse porlo nella disponibilità del presunto erede designato e neppure, a ben vedere, del fatto che un originale di quel testamento fosse mai esistito o esistesse ancora al momento del disconoscimento o dopo. D’altra parte, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, i notai possono e debbono consegnare gli originali dei documenti presso di sè depositati su ordine dell’autorità giudiziaria. La richiesta di ordine di esibizione non sarebbe stata nella specie nè inutile nè inammissibile. La relativa richiesta avrebbe dovuto essere inserita nelle memorie concesse dal giudice istruttore nei termini perentori previsti dall’art. 184 c.p.c.:

cosa che i convenuti non hanno fatto, reputandola inutile ed erronea, come chiarito nel verbale di udienza del 7 giugno 2002, ed incorrendo, così, volutamente e consapevolmente, nella preclusione istruttoria prevista dall’art. 184 c.p.c.. Avrebbe pertanto errato la Corte d’appello ad ammettere la verificazione, mediante consulenza tecnica d’ufficio, di un documento mai ritualmente acquisito al processo e comunque non più acquisibile, e non avrebbe dovuto ordinare la c.t.u. grafologica presso lo studio del notaio depositario.

Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 608 c.c.. Avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere che fosse per i convenuti impossibile, materialmente e giuridicamente, produrre in giudizio l’originale del testamento olografo, giustificando la mancata produzione in causa dell’originale di detto documento nella disciplina di cui all’art. 608 c.c..

Con il terzo motivo (nullità della sentenza o del procedimento, per violazione degli artt. 214, 216 e 217 c.p.c., dell’art. 2719 c.c., dell’art. 210 c.p.c. e dell’art. 184c.p.c., nonchè dell’art. 345 c.p.c.; violazione dell’obbligo generale di buona fede processuale e del conseguente divieto di andare contra factum proprium, nonchè dell’art. 111 Cost.) ci si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto che l’istanza di esibizione potesse comunque essere proposta, come avvenuto, per la prima volta in appello, senza incorrere nel divieto di cui all’art. 345 c.p.c.. Ad avviso del ricorrente, nel giudizio di appello, l’istanza di esibizione di documenti, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., è sottoposta agli stessi limiti di ammissibilità previsti dall’art. 345 c.p.c., comma 3, con riferimento alla produzione documentale. E consentire – come nella specie avvenuto – a una parte incorsa in decadenza istruttoria di porre riparo al proprio errore in totale spregio delle cadenze processuali perentoriamente previste dal codice di rito, significa porre l’altra in condizione svantaggiata, avendo quest’ultima esercitato il proprio diritto di difesa nel corso del primo grado senza mai far conto sulla presenza in causa dell’originale del testamento olografo invocato dai convenuti.

1.1. – I motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 15 giugno 2005, n. 12307, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, hanno statuito che la parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo.

La piana applicazione di tale principio – costantemente applicato anche dalla giurisprudenza successiva (Cass., Sez. 2, 4 febbraio 2016, n. 2239; Cass., Sez. II, 4 gennaio 2017, n. 109) – comporta, ad un tempo, l’inapplicabilità delle norme sul procedimento di verificazione di scrittura privata e l’inversione dell’onere della prova, traslato dalla parte che fa valere il testamento olografo a quella che ne disconosce l’autenticità.

Esaminando una fattispecie analoga – in cui si sosteneva che il procedimento di verificazione di scrittura privata non poteva svolgersi che sul documento originale, la cui mancata produzione ad opera della parte onerata era stata illegittima supplita dalla Corte territoriale, che aveva dato facoltà al c.t.u. nominato di accedere allo studio del notaio depositario del testamento, così di fatto sanando, secondo la doglianza anche in quel caso prospettata, la decadenza in cui era incorsa la parte – la Corte ha già riconosciuto che l’applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite ha l’effetto di neutralizzare tutte le censure svolte dalla parte ricorrente (Cass., Sez. 6-2, 4 marzo 2016, n. 4322).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha correttamente accertato – alla luce dell’univoco significato del verbale di causa dell’udienza del 5 luglio 2000 svoltasi dinanzi al Tribunale ordinario di Foggia, sezione distaccata di Manfredonia – che L.M. non ha disconosciuto la conformità del verbale notarile in quanto tale (ossia del verbale di pubblicazione e deposito del testamento olografo per notaio G.G. in data 10 agosto 1999) rispetto all’atto donde era stata ricavata la trascrizione, ma ha disconosciuto – come si legge nel detto verbale di udienza – “nella scrittura e nella sottoscrizione, ad ogni effetto di legge e comunque ex art. 214 cod. proc. civ., la scrittura privata del seguente tenore: “Lascio tutti i miei beni a mio fratello G.. (OMISSIS) L..

Sennonchè, L.M. – a fronte della produzione in giudizio, da parte di G. e L.A., unitamente all’atto della loro costituzione in giudizio di primo grado, del verbale notarile di pubblicazione del testamento olografo (verbale contenente, oltre alla trascrizione della scheda, cioè la riproduzione esatta e fedele di essa, anche la descrizione delle caratteristiche grafiche dell’originale, fatta dello stesso pubblico autore della trascrizione: cfr. Cass., Sez. 2, 18 maggio 1963, n. 1285) con allegata la fotocopia della scheda testamentaria – avrebbe dovuto, anzichè limitarsi a semplicemente disconoscere l’autenticità del testamento olografo pubblicato (e cioè l’autenticità della scrittura come di pugno della testatrice e la sottoscrizione), proporre egli stesso, proprio secondo il ricordato arresto delle Sezioni Unite, un’azione di accertamento negativo della provenienza della scrittura.

Non avendolo fatto, cadono tutte le censure articolate dal ricorrente, che – nel denunciare che il giudice del merito non avrebbe potuto ammettere la verificazione, ordinando la c.t.u. grafologica presso lo studio del notaio depositario – muovono dalla premessa che i convenuti, per potere utilizzare il testamento olografo, avrebbero dovuto, non solo chiedere la verificazione dell’olografo (come avvenuto nella specie, nella stessa citata udienza del 5 luglio 2000), ma anche produrre in giudizio l’originale del testamento olografo o richiedere tempestivamente l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c..

3. – Con il quarto motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio), il ricorrente censura che la Corte d’appello – pur ammettendo espressamente che la consulenza si era svolta con una certa dose di presuntività e pur ammettendo che scontava limiti oggettivi, non essendovi scritture comparative ma solo firme, e pur dando atto che il c.t.u. aveva espresso perplessità in relazione ad alcuni elementi grafici aggiunti da una mano estranea – abbia finito con il ritenere provata l’olografia, senza dare conto del perchè e soprattutto senza indicare le ragioni per cui i numerosi rilievi sollevati da L.M. potevano essere superati.

Il quinto motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 602 c.c.. Il ricorrente ricorda che la validità del testamento olografo esige, ai sensi dell’art. 602 c.c., l’autografia non solo della sottoscrizione, ma anche della data e del testo del documento, ad escludere l’olografia essendo sufficiente ogni intervento di terzi, indipendentemente dal tipo e dall’entità. Nella specie la c.t.u. non ha accertato l’autenticità della data (sulla quale ha taciuto del tutto); inoltre, il c.t.u. ha accertato: disomogenietà e incoerenze, nel testo; disomogeneità e incoerenze tra testo e firma; disomogeneità e incoerenze tra testo e firme di comparazione; correzioni introdotte da una mano giovane e tonica. E poichè il c.t.u. è arrivato a concludere che nel testamento in verifica la mano di La.Ma. poteva ravvisarsi “essenzialmente” (e quindi, non esclusivamente), a fronte di tutto ciò la Corte di merito non avrebbe dovuto ritenere raggiunta la prova dell’olografia e avrebbe dovuto rigettare l’appello.

Con il sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.; nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.) il ricorrente deduce che il c.t.u. avrebbe sostanzialmente glissato sulle ragioni delle numerose dissonanze pure riscontrate e anzi avrebbe adombrato come spiegazione il degrado della scrittura dovuto all’età. Ma una simile tesi, sposata in pieno dalla sentenza impugnata, sarebbe, ad avviso del ricorrente, insostenibile. Il testo dovrebbe essere stato redatto trentacinque giorni dopo la firma del testamento pubblico in favore di L.M., ma lo stesso c.t.u. non ravvisa alcuna coerenza tra la predetta firma e il testo del presunto olografo. E siccome trentacinque giorni sono pochi, la disomogeneità non potrebbe certo spiegarsi con il degrado della scrittura dovuto al procedere dell’età, ma potrebbe invece ben più credibilmente spiegarsi con l’intervento, pesante, di una mano diversa. Se sulla scorta della c.t.u. la sentenza impugnata ha ritenuto di poter ricondurre le innumerevoli disomogeneità riscontrate nella scheda in verifica al degrado della scrittura dovuto all’età, allora essa avrebbe violato il disposto dell’art. 2729 c.c. ma anche il divieto di praesumere de praesumpto.

3.1. – Anche l’esame di queste censure resta assorbito dall’applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 12307 del 2015.

Poichè, infatti, l’attore L.M. non ha proposto domanda di accertamento negativo della provenienza del testamento olografo, il testamento olografo conserva tutta la sua “intrinseca forza dimostrativa”, sicchè perdono di rilevanza le censure mosse dal ricorrente circa la conclusione di genuinità e olografia del testamento cui il giudice del merito è pervenuto in esito al procedimento di verificazione in via incidentale avviato su istanza dei convenuti.

3. – Il settimo motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) lamenta che la Corte d’appello non abbia ammesso la richiesta istruttoria sui rapporti burrascosi tra La.Ma. e suo fratello G., che dettero luogo a un ricorso per interdizione nel marzo 1997 dell’uno in danno dell’altra proprio perchè G. aveva saputo che la sorella aveva testato in favore del nipote M., cui seguì anche una “cacciata” della anziana donna dalla casa comune.

3.1. – Il motivo è infondato, perchè la richiesta istruttoria è stata respinta sulla base di una motivata valutazione della ininfluenza dei capitoli di priva rispetto all’esito della decisione, evidenziandosi come l’unico thema decidendum verte sull’autenticità del testamento, rispetto al quale sono estranee le vicende personali intercorse tra Ma. e L.G..

4. – Il ricorso è rigettato.

Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 8.200, di cui Euro 8.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2017

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