Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4843 del 24/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 24/02/2017, (ud. 12/07/2016, dep.24/02/2017),  n. 4843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 25175/11) proposto da:

IMMOBILIARE DIORAMA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv.to Giorgio Salussoglia del foro di

Torino e dall’Avv.to Antonio Grieco del foro di Roma ed

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

via Piemonte n. 39;

– ricorrente –

contro

RUI s.p.a., (successore a titolo universale della MIGOR s.r.l.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa dall’Avv.to Mario Menghini del foro di Roma, in virtù di

procura speciale apposta a margine del controricorso, ed

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Vittoria

Colonna n. 32;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.to

Emanuele Balbo di Vinadio del foro di Torino e dall’Avv.to Massimo

Luconi del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta in

calce alla copia del ricorso notificato, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’ultimo in Roma, via Boezio n. 6;

– controricorrente –

e contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv.to Alessandra Giovetti del foro di

Torino in virtù di procura speciale rilasciata con procura notarile

del dott. Giandomenico Bonito di Torino rep. n. 32388 del

01.07.2016, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv.to Luciano Alberini in Roma, viale Carso n. 77;

– interveniente (controricorrente) –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 728 depositata

il 17 maggio 2011 e notificata in data 04.07.2011;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12

luglio 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Antonio Grieco, per parte ricorrente, e Luciano

Alberini (con delega dell’Avv.to Alessandra Giovetti), per parte

resistente-interveniente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto

del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale

condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E’ impugnata la sentenza della Corte d’appello di Torino depositata il 17 maggio 2011 e notificata il 4 luglio 2011, di parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino che aveva definito quattro giudizi riuniti, aventi ad oggetto l’esecuzione del contratto di compravendita a rogito notaio B. del (OMISSIS) con cui Migor s.r.l. aveva ceduto a Immobiliare Diorama s.r.l., per l’importo complessivo di 22 miliardi e 983 milioni di Lire, appezzamenti di terreno in aree ex industriali del Comune di Torino, comprese nel Programma di Riqualificazione Urbana (PRIU) di cui alla convenzione urbanistica 15 settembre 1999. Oggetto di controversia era il pagamento della quarta ed ultima tranche del prezzo, pari a 3 miliardi di Lire, garantita da fideiussione bancaria stipulata con la Banca Monte dei Paschi di Siena.

L’opponente Diorama aveva eccepito l’inadempimento di Migor agli obblighi indicati nell’art. 4, punto 2, del rogito, e proposto domanda di risarcimento danni successivamente rinunciata. L’opposta Migor, a sua volta, aveva domandato il maggior danno ex art. 1224 c.c. sulla somma portata dall’ingiunzione di pagamento e il rimborso dei costi sostenuti per la richiesta del permesso di costruire.

Il Tribunale, richiamati gli esiti della CTU, le prove orali e il provvedimento cautelare – pronunciato ante causam e poi confermato – con il quale era stato inibito il pagamento della fideiussione bancaria, revocava i decreti ingiuntivi ottenuti dalla Migor nei confronti di Immobiliare Diorama s.r.l. e di Banca Monte dei Paschi di Siena, previo accertamento dell’inadempimento di Migor e della conseguente inesigibilità del credito azionato, anche in riferimento alla garanzia fideiussoria.

Il Tribunale condannava Migor (e per essa il successore universale RUI s.p.a.) a dare esecuzione al contratto, e cioè ad eseguire le opere di bonifica ambientale e di demolizione in superficie e nel sottosuolo, secondo quanto indicato dal CTU; condannava Immobiliare Diorama a pagare a Migor l’importo di Euro 184.681,24, oltre interessi legali, per gli scavi e le opere fatte eseguire da Migor e l’importo di Euro 19.975,74, oltre interessi legali, a titolo di rimborso di oneri concessori relativi al permesso di costruire rilasciato in data 22 marzo 2004, riguardante la UMI 4 (unità minima di intervento), e rigettava le ulteriori domande.

La società RUI – successore di Migor – proponeva appello per la riforma della sentenza, la Immobiliare Diorama resisteva e proponeva appello incidentale. Rimaneva contumace Banca Monte di Paschi di Siena.

La Corte d’appello di Torino accoglieva parzialmente entrambi i gravami.

Quanto all’appello principale, la Corte territoriale condivideva l’affermazione del Tribunale – peraltro non censurata dalle parti – secondo cui il saldo del prezzo della compravendita era sospensivamente condizionato alla “effettiva edificabilità dei terreni”, secondo quanto previsto al punto 4.2. del contratto di compravendita (il pagamento sarebbe avvenuto “al verificarsi della possibilità di concreto usufruimento edilizio dei terreni in oggetto sulla base di provvedimenti edilizi idonei ed efficaci ed in forza delle concessioni rilasciate alla Migor srl”.). L’adempimento di Migor era stato dedotto dalle parti come condizione sospensiva dell’efficacia in parte qua del contratto e della esigibilità del saldo, sicchè l’avveramento della condizione rappresentava il fatto costitutivo della domanda di pagamento del saldo. L’onere della prova gravava dunque su Migor, mentre il mancato avveramento della condizione poteva e doveva essere rilevato d’ufficio, trattandosi appunto di fatto costitutivo della pretesa. Inoltre, occorreva accertare se l’evento condizionante l’esigibilità del saldo del prezzo si era verificato nella sua oggettività, al di fuori del giudizio di comparazione tra le obbligazioni dedotte nel contratto, e senza che potesse rilevare un eventuale adempimento parziale.

La Corte d’appello riteneva, sulla base della sentenza di primo grado e degli accertamenti svolti dal CTU, che la condizione non si fosse avverata, in quanto Migor non aveva effettuato le opere di preurbanizzazione – previste nel contratto attraverso il richiamo espresso all’art. 4 del PRIU – come emergeva dalla lettera 21 maggio 2004 del direttore dei lavori (ing. A.), dalle dichiarazioni testimoniali dallo stesso rese e dagli accertamenti del CTU, mentre le critiche rivolte alla CTU non risultavano decisive.

La Corte territoriale riteneva infondata anche la censura (terzo motivo di appello) secondo cui il Tribunale aveva acriticamente aderito al provvedimento cautelare, evidenziando, da un lato, che la decisione del Tribunale era basata anche sugli elementi acquisiti nel corso del giudizio (prove e CTU), e, dall’altro lato, che l’interpretazione della complessa regolamentazione contrattuale compiuta dal giudice della cautela, seppure in fase di cognizione sommaria, era stata recepita dal Tribunale in quanto convincente.

Ciò che invece era mancato – e di qui l’accoglimento del terzo motivo dell’appello principale – era la valutazione del comportamento della società acquirente, la quale aveva iniziato a costruire sull’UMI 2B prima del verificarsi della condizione cui era collegata l’esigibilità del saldo, ed aveva successivamente proseguito anche sull’UMI 4B, dimostrando di ritenere verificata la condizione e, comunque, rendendo impossibile sia la sua verificazione sia la stessa prestazione posta a carico di Migor.

Il fatto che Immobiliare Diorama avesse ritirato sin dal 2003 il permesso di costruire relativo all’area UMI 2 ed iniziato i lavori era stato dedotto da Migor già in comparsa di risposta, ai fini della dimostrazione della esigibilità del saldo. In corso di causa la circostanza era stata appurata dal CTU, il quale aveva altresì accertato che l’edificazione nella zona UMI 2B era stata completata, e che nel 2007 Immobiliare Diorama aveva chiesto di essere autorizzata ad eseguire i lavori preparatori all’apertura del cantiere sull’area UMI 4B.

Secondo la Corte d’appello, tale circostanza aveva concretato un comportamento inequivoco e concludente di rinuncia, da parte di Immobiliare Diorama, ad avvalersi della condizione: nell’iniziare l’edificazione, la predetta società aveva dimostrato di non essere interessata a conseguire la situazione di fatto e di diritto contrattualmente prevista, tenendo un comportamento incompatibile con le previsioni contrattuali, giacchè con l’edificazione non sarebbe stato più possibile realizzare le opere di preurbanizzazione, le quali costituivano un antecedente in termini sia fattuali sia giuridici. La società acquirente, del resto, aveva un interesse contrario al verificarsi della condizione, poichè ciò comportava la inesigibilità del saldo del prezzo in una situazione in cui non vi era un interesse concreto all’adempimento da parte di Migor dell’obbligazione dedotta in condizione. Ne conseguiva che doveva ritenersi la condizione avverata ai sensi dell’art. 1359 c.c., e ciò era avvenuto prima della notifica del decreto ingiuntivo.

L’accoglimento del terzo motivo di appello comportava il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da Immobiliare Diorama, con assorbimento dei motivi dal quarto al settimo, e del nono motivo di appello, con il quale era censurato il rigetto della domanda di pagamento della garanzia fideiussoria.

La Corte d’appello riconosceva a RUI spa il maggior danno ex art. 1224 c.c., sulla somma portata dal decreto ingiuntivo, con medesima decorrenza degli interessi legali, nella misura pari al differenziale tra il tasso degli interessi legali e quello dei titoli di Stato di durata non superiore a 12 mesi.

Era accolto parzialmente anche l’appello incidentale di Immobiliare Diorama.

La Corte territoriale riduceva (da Euro 184.681,24 ad Euro 117.888,34) la somma riconosciuta dal Tribunale a Migor per ulteriori opere effettuate, espungendo quelle che rientravano nei lavori di preurbanizzazione, contrattualmente a carico di Migor, e riteneva non dovuto l’importo di Euro 19.975,74, riconosciuto dal Tribunale a Migor a titolo di spese (somme versate al Comune di Torino) per il rilascio del permesso 10/c/2004, poichè era emerso che la richiesta e il ritiro del permesso erano stati fatti nell’interesse esclusivo di Migor.

Le spese del doppio grado tra Rui e Immobiliare Diorama erano compensate per 1/10 e poste per la restante parte a carico della società Diorama. Le spese del grado di appello tra RUI e Banca Monte dei Paschi di Siena erano compensate, in considerazione della contumacia della Banca, a carico della quale erano poste le spese del primo grado di giudizio, attesa la soccombenza.

Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso Immobiliare Diorama srl, sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso Rui spa, che propone ricorso incidentale sulla base di tre motivi.

Banca Monte dei Paschi di Siena spa si è costituita con controricorso adesivo al ricorso principale.

Immobiliare Diorama ha depositato controricorso per resistere a ricorso incidentale.

In prossimità della pubblica udienza la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

All’udienza del 22 marzo 2016 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per non essere pervenuto al difensore della RUI s.p.a. l’avviso di udienza.

Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. ha depositato atto di intervento/comparsa di costituzione il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. (già RUI s.p.a.).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., nullità della sentenza per violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale. Si contesta, nell’ordine, che il gravame proposto dalla RUI s.p.a. fosse interamente inammissibile, in quanto la Corte d’appello aveva rilevato che mancava una specifica censura su una parte della decisione del Tribunale – l’accertamento del mancato avveramento della condizione sospensiva – che era idonea a sorreggere il decisum; che il nono motivo avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile e non assorbito nell’accoglimento del terzo motivo. Il motivo è privo di pregio.

Con la prima censura la ricorrente evoca un’insanabile contraddizione tra motivazione (fondata sul difetto di specificità ai sensi dell’art. 342 c.p.c.) e dispositivo (che è di parziale accoglimento, ma che, invero, si sarebbe dovuto ritenere inammissibile tutto l’atto di appello principale).

Occorre osservare che l’inammissibilità dell’impugnazione per violazione dell’art. 342 c.p.c. consegue solo allorchè il vizio investa l’intero contenuto dell’atto, mentre, ove sia possibile individuare uno o più motivi o, comunque, profili autonomi di doglianza delle sentenza gravata, sufficientemente identificati nei loro elementi essenziali, è legittimo scrutinare questi ultimi nel merito, resecandoli dalle ragioni dell’impugnazione altrimenti viziate da genericità (in tale prospettiva, cfr. Cass. n. 15071 del 2012).

Dalla giurisprudenza della Corte di legittimità relativa alla necessaria specificità dei motivi di impugnazione richiesta dall’art. 342 c.p.c. (nella formulazione antecedente alla riforma del 2012, applicabile ratione temporis) emerge inequivocabile che, quando i motivi di impugnazione vengano formulati mediante l’utilizzo di atti processuali del primo grado di giudizio, ciò che rileva, ai fini di ritenere l’ammissibilità dei motivi e, quindi, dell’appello, è l’esistenza della sicura riferibilità dei motivi alle argomentazioni della sentenza impugnata. Infatti, la Corte ha escluso che il grado di specificità dei motivi possa essere stabilito in via generale ed assoluta, ma ha ritenuto necessario che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico- giuridico delle prime (Cass. 19 febbraio 2009 n. 4068).

L’art. 342 c.p.c., richiedendo la specificità dei motivi, implica esclusivamente che la manifestazione volitiva dell’appellante deve permettere di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le specifiche critiche indirizzate alla motivazione che le sostiene, non certo che debbano essere adoperati formule o schemi particolari nella esposizione dei motivi e delle domande dell’atto di appello, che restano affidati alla capacità espressiva del difensore (Cass. n. 7769 del 2003). In altri termini, è necessario e sufficiente che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con un grado di specificità tale da permettere di individuare gli errori ascritti alla sentenza impugnata ed il requisito deve essere inteso in senso meno rigoroso quando risulti la volontà dell’appellante di impugnare in toto la sentenza del primo giudice (Cass. n. 3712 del 1983).

Nel quadro di questi principi va osservato che la sentenza impugnata – dopo avere sintetizzato gli argomenti sviluppati dal giudice di prime cure – ha indicato che l’appellante, tra l’altro, aveva censurato la decisione del primo giudice “per avere omesso qualsivoglia analisi e/o valutazione in merito al contenuto ed ai limiti delle obbligazioni delle parti, al fine di valutare correttamente il loro adempimento (…) rinviando integralmente ed acriticamente alla motivazione del provvedimento cautelare”. Nell’atto di appello l’attuale controricorrente aveva espressamente dedotto che il c.t.u. aveva ritenuto “l’inadempimento di RUI unicamente con riferimento all’UMI 4B, concretatosi nella necessità di effettuare opere integrative di scavo”, contestando, in riferimento alla realizzazione delle opere di bonifica ambientale, valutate dal primo giudice, l’incidenza sul saldo del prezzo della compravendita, in particolare che il “profilo della bonifica ambientale (…) non esauriva – però – le obbligazioni della MIGOR” (v. pag. 28 della sentenza impugnata).

In considerazione del contenuto del motivo risulta chiaro che il giudice del gravame – confermato che la effettiva edificabilità dei terreni oggetto della compravendita, secondo la previsione contenuta nel contratto (v. art. 2 dell’atto (OMISSIS)), rappresentava una condizione sospensiva per il pagamento del saldo – ha ritenuto che trattandosi di condizione in senso tecnico, il suo avveramento o meno costituiva questione diversa da quella dell’adempimento od inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto (v. pag. 9 della sentenza impugnata), con la conseguenza che l’intero elaborato peritale conduceva a ritenere non verificata detta condizione. Infatti, non era, evidentemente, necessaria un specifica doglianza per ogni singola affermazione della c.t.u., così come sostiene la ricorrente, che non permette di cogliere il nucleo fondante del motivo di gravame e della sentenza qui impugnata. Invero, ciò che è certo è che l’impugnazione aveva riguardato anche l’aspetto oggettivo della domanda ed il risultato dell’accertamento del c.t.u. in punto di determinazione della spettanza o meno del saldo del prezzo del terreno compravenduto, con modalità tali da far ritenere sicuramente soddisfatto il requisito della specificità dei motivi dell’appello, sì da impegnare il giudice di appello alla verifica della sussistenza o meno delle circostanze cui era subordinato il versamento del residuo prezzo e sulle quali il primo giudice aveva fondato la decisione.

Peraltro, avendo l’appellante chiesto al giudice di secondo grado, in riforma della sentenza impugnata, di “respingere l’opposizione” al decreto ingiuntivo dalla stessa ottenuto, il gravame, implicitamente, non poteva non investire la domanda avente ad oggetto il pagamento del residuo prezzo.

Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 166. 167, 183 e 345 c.p.c., art. 1362 c.c. e ss., artt. 1353, 1358, 1359, 1375 e 2697 c.c., nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione.

Si contesta che la presentazione della DIA da parte di Immobiliare Diorama potesse concretare un comportamento inequivoco e concludente della volontà di rinunciare ad avvalersi della condizione non verificata, e cioè della bonifica ambientale dell’intera area, nonostante che la questione dell’avveramento della condizione – anche sotto il profilo dell’art. 1359 c.c. – fosse già stata valutata dalla Corte d’appello con la declaratoria di inammissibilità del primo motivo di gravame. La ricorrente evidenzia inoltre che, in mancanza di formalizzazione dell’eccezione, la rinuncia non poteva essere rilevata d’ufficio; che si trattava di condizione sospensiva bilaterale, come tale non rinunciabile da una sola parte; che, infine, la parte interessata al verificarsi della condizione era l’opposta Rui che, in caso di mancato avveramento, non avrebbe percepito il saldo del prezzo.

Anche il secondo motivo non è fondato.

Ed invero, per quanto riguarda la censura relativa alla declaratoria di inammissibilità del primo motivo di appello, con ricadute sull’accertamento relativo alla condizione sospensiva, non possono che essere ribadite le osservazioni già esposte con riferimento alla prima doglianza.

Quanto, invece, all’altra censura, riguardante la mancata formalizzazione di eccezione relativamente alla rinuncia alla condizione sospensiva di realizzazione dei lavori di bonifica ambientale, prevista contrattualmente quale avvenimento futuro ed incerto dalla cui realizzazione sarebbe dipeso l’obbligo di corrispondere il saldo del prezzo, si rileva in primo luogo come sia stato ritenuto da questa Corte che “il mancato avveramento della condizione sospensiva, concretando non un’eccezione in senso proprio ma una semplice difesa volta a contestare la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte” (Cass. n. 2214 del 2002).

Consegue dal principio sopra affermato che correttamente i giudici d’appello hanno esaminato analiticamente le risultanze processuali sul punto (v. pag. 28-29 della sentenza impugnata), rilevando a conclusione ex actis che “in relazione agli accertamenti compiuti dal c.t.u. detta condizione non risulta essersi verificata avuto, in particolare, riguardo all’obbligazione assunta da MIGOR, dedotta in condizione e correttamente ricostruita (…) che l’ambito dei lavori di demolizione in sottosuolo non poteva essere ristretto a quelli conseguenti alla bonifica ambientale da materiali inquinanti, posto che l’art. 4 PRIU, espressamente richiamato nel contratto di compravendita, prevedeva quale opera di preurbanizzazione anche la demolizione e l’asporto delle fondazioni ubicate nel sottosuolo, sicuramente esistenti vista anche la preesistenza di fabbricati industriali” (cfr pagg. 29 e 30 della sentenza impugnata); circostanze confermate anche dai testi A., B. e D.D., per cui i giudici del merito ne hanno (giustamente) tratto il convincimento, sempre in applicazione del principio di correttezza e di buona fede, che la MIGOR fosse venuta meno al suo obbligo di attivarsi per la bonifica, ma ciò nonostante la IMMOBILIARE DIORAMA aveva avviato i lavori di edificazione sull’UMI 2B all’inizio del 2004, prima del venire in essere dei presupposti per l’esigibilità del saldo del prezzo, realizzando poi successivamente anche l’UMI 4B. Di qui la legittimità dell’affermazione del diritto della venditrice alla percezione del saldo del prezzo per avere la società acquirente, realizzando in concreto l’attività edificatoria prima della esecuzione della bonifica ambientale prevista in contratto, posto in essere una condotta incompatibile con la volontà di avvalersi della medesima condizione, per cui erano venute meno le ragioni che giustificavano la rinuncia della venditrice a percepire il saldo del prezzo e cioè l’esigenza per l’acquirente di acquisire le autorizzazioni necessarie per la edificazione degli immobili pur in assenza di una complessiva bonifica ambientale (pure concordata).

La Corte di merito ha, dunque, bene individuato il nodo gordiano della decisione nello stabilire se la condizione sia stata posta nell’interesse esclusivo del promissario acquirente o di entrambe le parti, perchè una volta stabilito che la condizione era nell’esclusivo interesse del promissario acquirente, la questione in discussione andava risolta nell’accertare se l’attore/opponente ne avesse richiesto l’adempimento ovvero, pur di addivenire al trasferimento della proprietà, vi avesse rinunciato. Ed invero, una volta stabilito che la clausola era stata posta nell’interesse esclusivo del promissario acquirente, costui aveva facoltà di rinunciarvi e tale rinuncia, quando si tratta di condizione apposta a un contratto traslativo o costitutivo di diritti reali immobiliari, non deve necessariamente risultare da atto scritto, ma può essere desunta anche da facta concludentia (Cass. n. 14938 del 2008 e già Cass. n. 5757 del 1989). Per contro, una volta stabilito che la parte venditrice non aveva altro interesse se non quello di svincolare una parte del prezzo, il cui versamento era legato all’avverarsi della condizione, l’indagine andava spostata sul punto se il promissario acquirente, pur di addivenire al trasferimento dell’immobile, vi avesse o meno rinunziato (Cass. n. 8685 del 1999). La risposta a tale quesito era implicitamente desumibile dall’essersi la condizione di esigibilità verificata in data anteriore alla notifica all’acquirente del decreto ingiuntivo poi opposto (09.02.2004), per avere la stessa Immobiliare Diorama denunciato l’inizio dei lavori il 24.12.2003, quando l’avveramento della condizione era ormai divenuto impossibile, posto che nel contratto di compravendita era prevista quale opera di preurbanizzazione anche la demolizione e l’asporto delle fondazioni ubicate nel sottosuolo (sicuramente esistenti vista anche la preesistenza di fabbricati industriali), per cui la Corte di merito ha confermato la sentenza del giudice di prime cure, che ha verificato che la condizione era posta nel solo interesse della società acquirente, e quindi rinunciabile dalla sola DIORAMA, come in effetti era avvenuto per facta concludentia. A tale convincimento essa è pervenuta muovendo dal rilievo che la condotta dell’acquirente di procedere alla edificazione del suolo prima che venisse realizzata la bonifica ambientale posta a carico della venditrice, nella sua integralità, fosse incompatibile con la volontà di pretenderne tardivamente la esecuzione.

Si tratta di considerazioni ineccepibili, avendo la decisione impugnata dato conto, con argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico e come tali non sindacabili in sede di legittimità, dell’esistenza di un concreto interesse della promissaria acquirente al trasferimento del fondo su cui aveva edificato; il che porta ad escludere in radice la validità dell’assunto della ricorrente, secondo cui la condizione della bonifica ambientale sarebbe stata apposta nell’interesse di entrambe le parti contraenti. Non sussistono, di conseguenza, i vizi denunciati dalla ricorrente, essendo al contrario evidente che quest’ultima, attraverso la formale prospettazione di violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e di vizi motivazionali, censura sostanzialmente il giudizio espresso dal giudice di appello circa il carattere unilaterale della condizione e intende ottenere al riguardo una nuova valutazione di merito, inammissibile in questa sede.

Nè ricorre la dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dovendosi rilevare, sotto il primo profilo, che la Corte di Appello ha posto a fondamento della decisione le prove documentali e testimoniali ritualmente acquisite e, sotto il secondo, che il giudice distrettuale non ha rilevato d’ufficio il carattere unilaterale della condizione apposta nel contratto del (OMISSIS), ma si è pronunciato sullo specifico motivo di gravame con cui l’appellante rimproverava al Tribunale di non aver considerato che la predetta condizione era stata prevista nell’esclusivo interesse della promissaria acquirente, e che quest’ultima vi aveva rinunciato (v. terzo motivo dell’atto di appello).

Con il terzo motivo è dedotto violazione e falsa applicazione (come sopra), e si contesta che la Corte d’appello abbia ritenuto operativa la fictio di avveramento di cui all’art. 1359 c.c. nonostante la mancata formulazione della relativa eccezione con riferimento specifico all’impedimento che si era determinato alla realizzazione delle opere di bonifica con l’inizio dell’edificazione da parte di Immobiliare Diorama, mentre la questione era stata posta da Rui con riferimento al mancato pagamento degli oneri concessori.

Il motivo va disatteso, osservandosi che la ratio decidendi della sentenza gravata poggia – per quanto sopra esposto – sull’affermazione della Corte di merito che la condizione era stata posta nell’interesse esclusivo della promissaria acquirente, che si era avvalsa della facoltà di rinunciarvi per facta concludentia. Tale statuizione non implica, quindi, alcun errore nell’interpretazione o nell’applicazione dell’art. 1359 c.c., ma poggia sull’implicito duplice accertamento di fatto che l’avveramento della condizione sospensiva cui è subordinata la nascita di una determinata pretesa di pagamento integra un elemento costitutivo della pretesa medesima e, pertanto, la deduzione della mancata verificazione non costituisce una eccezione in senso proprio, bensì fatto costitutivo del diritto del creditore, rilevabile d’ufficio dal giudice.

Con la conseguenza che la censura va giudicata inammissibile perchè la ricorrente non deduce alcuna circostanza (dalla medesima prospettata al giudice di merito e da quest’ultimo trascurata) idonea, se valutata, a sovvertire il suddetto duplice accertamento di fatto.

Con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 1224 c.c., comma 2, e art. 2697 c.c., nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, contestandosi il riconoscimento del maggior danno da ritardo nel pagamento a favore della controparte, nonostante la mancanza di prova sul punto.

Anche il quarto motivo è inammissibile.

La corte territoriale ha affermato che nella specie ricorre l’ipotesi della finzione di avveramento della condizione sospensiva, ai sensi dell’art. 1359 c.c., con decorrenza dal 24.12.2003, per essere la data in cui la promissaria acquirente aveva dato inizio ai lavori di edificazione, comportamento integrante una rinuncia all’adempimento del promittente venditore quanto alla concordata bonifica ambientale (v. pag. 35 della sentenza impugnata), epoca in cui era da ritenere esigibile il saldo del prezzo preteso dalla creditrice e quindi la corresponsione degli interessi riconosciuti in monitorio, in quanto doveva essere respinta l’opposizione. Inoltre ha aggiunto che comunque spettavano gli interessi nella misura del tasso superiore a quello legale per essere stati i valori relativi al rendimento medio anno dei titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi, quale forma più comune e prudente di investimento del denaro, dal 1991 al 2008 più redditizi, precisando che la decorrenza doveva coincidere con quella degli interessi, dall’8.10.2003, come riconosciuti in monitorio, che costituiva il presupposto della stessa domanda (v. pag. 40 della decisione). Sicchè ricorre nella specie una doppia ratio decidendi.

Rispetto a tale duplicità di rationes, l’impugnazione è stata avanzata con riguardo soltanto ad una delle argomentazioni svolte, la prima, onde il motivo deve ritenersi inammissibile. Al riguardo deve, invero, richiamarsi quanto in più pronunzie affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (ex multis in particolare Cass. SS.UU. n. 7931 del 2013).

Orbene la seconda ratio decidendi (ossia riconoscimento degli interessi in sede monitoria) non risulta avversata dalla censura.

Resta da esaminare il ricorso incidentale. A tal fine, va osservato che i tre motivi di censura (con i quali la RUI deduce: la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, contestando la ritenuta inammissibilità dei primi due motivi dell’appello principale; la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss., nonchè vizio di motivazione per avere la Corte d’appello ritenuto che l’evento dedotto in condizione per l’esigibilità del saldo del prezzo fosse la bonifica integrale dell’area, mentre in realtà l’evento era costituito dalla edificabilità dell’area, in forza di provvedimento edilizi idonei ed efficaci, e, in ogni caso, per non avere considerato che le bonifiche di competenza della società venditrice riguardavano unicamente la riqualificazione urbana dei siti, e che il Comune di Torino non aveva sollevato contestazioni quanto all’esecuzione delle bonifiche in senso stretto; la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1181, 1183, 1218, 1241, 1256 e 1460 c.c., nonchè vizio di motivazione, contestando che la Corte d’appello abbia ritenuto sussistente l’inadempimento della società venditrice prescindendo dall’indagine in ordine alla imputabilità ovvero colpevolezza del comportamento, senza considerare se la prestazione fosse possibile o non, e senza valutare il comportamento delle parti alla luce del principio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto) si fondano sulla considerazione preliminare dell’accoglimento del ricorso principale (v. pag. 133 del controricorso), per cui rimangono assorbiti dal rigetto di quello proposto in principalità.

In definitiva, va respinto il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato, e le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono il principio della soccombenza.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2017

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