Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4842 del 23/02/2021

Cassazione civile sez. II, 23/02/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 23/02/2021), n.4842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio (da remoto) – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7635/2019 proposto da:

M.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato PASQUALE DI

FRANCIA, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

POZZUOLI (NA), VIA ALFONSO ARTIACO 7;

– ricorrente –

contro

Z.M.L., e C.B., rappresentati e difesi

dall’Avvocato GIANFRANCA BURZA ed elettivamente domiciliati presso

il suo studio in TERMOLI (CB), VIA XXIV MAGGIO 21/23;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 149/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI pubblicata il

7.01.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.S. otteneva decreto ingiuntivo n. 1776/2014, con il quale il Giudice di Pace di Napoli ingiungeva a Z.M.L. il pagamento della somma di Euro 2.452,96 a titolo di corrispettivo per lavori di ristrutturazione dei balconi del proprio appartamento.

Avverso detto decreto ingiuntivo proponeva opposizione la Z. sostenendo di aver già pagato il dovuto versando le somme richieste all’amministratore del Condominio, avv. C.B..

Il C. interveniva nel giudizio in corso sostenendo di aver ricevuto tali somme e di averle versate all’appaltatore come da ricevute di pagamento sottoscritte dal M..

Si costituiva in giudizio il M., il quale deduceva che le quietanze liberatorie prodotte dal C. riguardassero lavori di rifacimento dei balconi che il Condominio aveva chiesto di realizzare, mentre gli importi di cui al decreto ingiuntivo si riferivano al rifacimento di parti di balconi di pertinenza esclusivamente privata. Del resto, il contratto d’appalto concluso tra la ditta M. e la Z. prevedeva all’art. 10 che i pagamenti sarebbero stati effettuati alla scadenza con assegno bancario non trasferibile intestato alla ditta. Il M. chiedeva la sospensione del processo, in attesa che il Tribunale di Napoli si pronunciasse sul giudizio di querela di falso promosso dal M. avverso le scritture del 2.7.2008 e dell’8.4.2009 ( M. avrebbe autorizzato l’amministratore a incassare per suo conto e in sua vece gli importi corrispondenti ai contratti di appalto stipulati con i singoli condomini), giudizio nelle more definito con sentenza n. 9642/2016, emessa dal Tribunale di Napoli, che dichiarava la falsità di entrambe le scritture.

Con sentenza n. 26330/2016 il Giudice di Pace di Napoli accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo opposto, ritenendo che l’opposto avesse accettato senza alcuna riserva il pagamento dei lavori ai balconi attraverso l’amministratore del Condominio, così manifestando la volontà di non avvalersi della clausola n. 10 dell’iniziale accordo contrattuale, intervenuto con la Z., per cui l’obbligazione si doveva ritenere estinta.

Avverso detta sentenza proponeva appello M.S. deducendo: a) errore di diritto avendo il Giudice di Pace deciso in base alle scritture del 2.7.2008 e dell’8.4.2009, dichiarate false dal Tribunale di Napoli; b) erronea motivazione avendo il Giudice di Pace ritenuto liberatorio il pagamento effettuato nelle mani dell’amministratore del Condominio in violazione delle previsioni contrattuali. Chiedeva la riforma della sentenza appellata e il rigetto dell’opposizione.

Si costituivano Z.M.L. e C.B., che contestavano la domanda dell’appellante deducendo che le scritture private già citate fossero irrilevanti ai fini della decisione, che si basava su altri documenti (ulteriori ricevute di pagamento e certificato di regolare esecuzione dei lavori sottoscritto dal D.L.); che la sentenza del Tribunale di Napoli non era passata in giudicato. Chiedevano il rigetto dell’appello, con vittoria di spese e condanna ex art. 96 c.p.c.

Con sentenza n. 149/2019, depositata in data 7.1.2019, il Tribunale di Napoli rigettava l’appello, ritenendo che la falsità delle scritture in questione fosse irrilevante ai fini del giudizio non avendo il Giudice di Pace tenuto conto delle medesime nella decisione. Infatti, il Giudice di Pace aveva ritenuto che le ricevute di pagamento inerenti le somme versate al C. e sottoscritte dal M. (mai impugnate), corrispondenti a quanto liquidato dal D.L., costituissero prova sufficiente del pagamento ricevuto dall’appaltatore. Si precisava che erano stati stipulati due contratti di appalto: uno dal Condominio, per il rifacimento di parti comuni (la facciata) e l’altro, stipulato dai singoli condomini, relativo al rifacimento di parti di proprietà esclusiva (i balconi). Non vi era quindi possibilità di confusione, dato che tutte le ricevute si riferivano ai balconi. Sul secondo motivo osservava che la questione della sussistenza o meno di un affidamento incolpevole del debitore per aver effettuato il pagamento nelle mani dell’amministratore anzichè del creditore non si poneva in quanto, ai sensi dell’art. 1188 c.c., comma 2, il pagamento fatto a chi non era legittimato a riceverlo, libera il debitore, se il creditore lo ratifica o se ne ha approfittato. Nella specie il creditore ne aveva approfittato ricevendo quanto dovutogli.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione M.S. sulla base di due motivi. Resistono Z.M.L. e C.B. con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Pregiudizialmente va rilevato che (nella specie) la sanzione della inammissibilità del ricorso in appello sfugga alla previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., prevista per le ipotesi di c.d. “doppia conforme”. Ciò, in quanto diversa è la ratio decidendi sottesa alle due sentenze: per il Giudice di Pace il pagamento eseguito dalla Z. all’avv. C. aveva efficacia liberatoria, postulandosi una tacita accettazione dell’invalsa modalità di pagamento a mani dell’amministratore del Condominio; per il Tribunale, il C. non era legittimato a ricevere il pagamento destinato al M., il quale, approfittando del pagamento aveva assunto un contegno idoneo a integrare la fattispecie liberatoria di cui all’art. 1188 c.c., comma 2.

Orbene, va ritenuto in particolare che, nella ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. 20944 del 2019).

2. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l'”Omesso esame di un fatto decisivo ai fini della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, là dove aveva dedotto che le quietanze fossero riferibili alle lavorazioni eseguite sui balconi, ma di committenza condominiale, mentre la Z. e l’avv. C. obiettavano che fossero riferibili ai lavori oggetto di separato contratto, stipulato con singoli condomini e posto alla base del decreto ingiuntivo opposto. Il Tribunale, in base alla sola considerazione per cui nelle quietanze vi fosse riferimento ai “lavori dei balconi”, perveniva a ritenere che le quietanze si riferissero alle opere oggetto di contrattazione privata; ma ometteva di considerare un fatto decisivo ai fini della decisione, ovvero che l’appaltatore avesse eseguito opere di ristrutturazione dei balconi sia su commissione dell’amministrazione condominiale che dei singoli condomini, con la conseguenza che il riferimento operato nelle quietanze ai “lavori dei balconi” non esplicasse alcuna efficacia dirimente nel percorso ermeneutico che il Giudice era chiamato a svolgere. Il ricorrente sottolinea che sulla questione si fosse registrata la discussione delle parti nei due gradi di giudizio e indica le contestazioni del M. in seguito alla produzione delle quietanze di pagamento, ribadite in conclusionale e nell’atto di appello.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Va posto in rilievo che costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).

A seguito della riforma del 2012 è scomparso pertanto, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, rimanendo il controllo circa la esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e la coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata. Detto controllo concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014).

2.3. – Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente (nella specie) avrebbe dunque dovuto anche specificamente e contestualmente indicare con precisione, oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non v’è idonea e spcifica indicazione.

Va dunque specificato che: “a) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 19881 del 2014).

2.4. – Piuttosto, va altresì rilevato che, così come articolate, le censure si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte; così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Ma, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008); dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

3. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per errore di percezione sul contenuto oggettivo della prova. Violazione dell’art. 115 c.p.c.”. La decisione è censurata nella parte in cui il Giudice reputava che le dichiarazioni di quietanza prodotte dall’avv. C. fornissero la prova che il M. avesse ricevuto e dunque approfittato del pagamento che la Z. aveva eseguito nelle mani del C.. Da nessuna delle quietanze risulta la posizione debitoria della Z., nè che l’avv. C., nella propria qualità di solvens, agisse spendendo il nome della debitrice. Il Giudice di secondo grado sarebbe incorso in un errore di percezione, in violazione dell’art. 115 c.p.c., che implicitamente fa divieto di fondare la decisione su prove immaginarie; e pertanto al di fuori dell’attività di valutazione delle prove, insindacabile in sede di legittimità, poichè “altro è ricostruire il valore probatorio di un atto o fatto, altro è individuarne il contenuto oggettivo” (Cass. n. 9356 2017).

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, nella fattispecie non si tratta di decisione in cui si afferma l’esistenza di un dato che in realtà non esiste (o viceversa). E’ del tutto evidente, infatti, che non vi sia alcun errore di percezione, che cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova. Laddove, l’errore prospettato dal ricorrente non sarebbe quello percettivo, ma un mero errore di valutazione delle prove, come tale insindacabile in sede di legittimità.

Trattasi all’evidenza di una valutazione di fatto che (in quanto congruamente motivata e coerente al contesto del quadro probatorio acquisito) è censurabile in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (sempre, peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Infatti, l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013).

4. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

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