Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4841 del 01/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4841 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: ABETE LUIGI

ORDINANZA
sul ricorso n. 13606 – 2016 R.G. proposto da:
AGENZIA delle ENTRATE – c.f. 06363391001 – in persona del direttore

pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i

cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia per legge.
RICORRENTE
contro
SACCOMANDI s.a.s. di Saccomandi Umberto, in liquidazione –

c.f./p.i.v.a.

00997240676 – in persona del liquidatore e legale rappresentante Umberto
Saccomandi, nonché SACCOMANDI UMBERTO – c.f. SCCMRT53B23F9420 – in
proprio, rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce al controricorso
dall’avvocato Pietro Referza ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via L.
Greppi, n. 77, presso lo studio dell’avvocato Antonio Ruggero Bianchi.
CONTRORICORRENTI
avverso la sentenza n. 1319 dell’1.12.2015 della corte d’appello de L’Aquila,

Data pubblicazione: 01/03/2018

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 novembre 2017 dal
consigliere dott. Luigi Abete,
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO
L’ “Agenzia delle Entrate” di Teramo notificava

in data

11.1.2013 alla

“Ecosys” s.r.l. (poi “Saccomandi” s.r.l. e poi “Saccomandi s.a.s. di Saccomandi

sanzione amministrativa di euro 140.544,00.
Con processo verbale del 28.5.2008 si era contestato alla società ingiunta di
aver nel corso dell’anno 2003 conferito, ai fini della gestione tecnica ed
amministrativa del cantiere in Roma, alla via Ventotene, n. 32, incarico
professionale all’ingegner Michele Navach, dipendente del Ministero della Difesa,
in assenza della prescritta autorizzazione dell’amministrazione pubblica di
appartenenza in violazione dell’art. 53, 9° co., del dec. Igs. n. 165/2001 e di non
aver comunicato all’amministrazione pubblica di appartenenza i compensi erogati
all’incaricato in violazione dell’art. 53, 11° co., del medesimo dec. Igs..
Con ricorso depositato in data 11.2.2013 la “Saccomandi” s.r.l. ed il suo
legale rappresentante, Umberto Saccomandi, in proprio, proponevano
opposizione al tribunale di Teramo.
Deducevano il proprio difetto di colpevolezza.
Chiedevano tra l’altro l’annullamento dell’ordinanza – ingiunzione.
Si costituiva l’ “Agenzia delle Entrate”.
Instava per il rigetto dell’avversa opposizione.
Con sentenza n. 802/2014 il giudice adito rigettava l’opposizione.
Interponevano appello la “Saccomandi” s.r.l. ed Umberto Saccomandi.
Resisteva l’Agenzia delle Entrate.

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Umberto”), quale obbligata in solido, ordinanza – ingiunzione di pagamento della

Con sentenza n. 1319 dell’1.12.2015 la corte d’appello de L’Aquila accoglieva
il gravame, annullava l’ordinanza – ingiunzione e condannava l’appellata alle
spese del doppio grado con distrazione in favore dei difensori anticipatari di parte
appellante.
Evidenziava la corte di merito che l’errore sullo status di pubblico dipendente

in cui era sorto e si era svolto il rapporto professionale nonché la condotta tenuta
dal professionista incaricato erano tali da giustificare in capo alla “Saccomandi”
s.r.l. il legittimo affidamento sulla qualifica di privato professionista
dell’ingegnere.
Evidenziava quindi che a fronte di siffatte circostanze oggettive alla società
appellante non poteva rimproverarsi “l’omissione di specifiche indagini volte ad
accertare la sussistenza di un concomitante rapporto di pubblico impiego in capo
al professionista” (così sentenza d’appello, pag. 6).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’ “Agenzia delle Entrate”; ne ha
chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con vittoria di spese.
La “Saccomandi s.a.s. di Saccomandi Umberto” nonché Umberto Saccomandi,
in proprio, hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi
inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di
legittimità da distrarsi in favore del difensore anticipatario.
La ricorrente ha depositato memoria.
Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 3 della legge
n. 689/1981 e dell’art. 53 dec. Igs. n. 165/2001 in relazione all’art. 360, 1° co.,
n. 3, cod. proc. civ..
Deduce che l’esimente della buona fede ricorre quando l’errore è inevitabile
mercé l’uso della normale diligenza; che in particolare la “Saccomandi” “aveva il
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dell’ingegner Michele Navach doveva reputarsi incolpevole; che invero il contesto

dovere di adottare le misure minime di cautela per la verifica della sussistenza o
meno dello status di dipendente pubblico dei soggetto cui affidava l’incarico,
senza limitarsi al riscontro di situazioni di fatto esterne (…), tanto più che la
prestazione doveva essere svolta in un ambito territoriale diverso da quello ove
risiede l’incaricato” (così ricorso, pag. 5).

conoscitive necessarie “a superare lo stato di colpevole ignoranza” (così ricorso,

pag. 6) né, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, ai fini della
configurazione di un obbligo siffatto deve reputarsi indispensabile una espressa
prefigurazione di legge.

Il ricorso è destituito di fondamento.
Si osserva innanzitutto che il principio posto dall’art. 3 della legge n.
689/1981 (secondo il quale, per le violazioni amministrativamente sanzionate, è

richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa
o colposa) è indiscutibilmente atto a configurare una presunzione di colpa in
ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, non essendo
necessaria la concreta dimostrazione del dolo o della colpa in capo all’agente, sul
quale grava, perciò, l’onere della dimostrazione di aver agito senza colpa

(cfr.

Cass. 12.5.2006, n. 11012).
Si osserva altresì che l’esimente della buona fede, intesa come errore sulla
liceità del fatto (applicabile anche in tema di illecito amministrativo disciplinato

dalla citata legge n. 689/1981), assume rilievo esclusivamente in presenza di
elementi positivi idonei ad ingenerare, nell’autore della violazione, il
convincimento della liceità del suo operato, purché siffatto errore sia incolpevole
ed inevitabile, siccome cagionato da un elemento positivo, idoneo a
determinarlo, estraneo alla condotta dell’agente e non ovviabile con ordinaria

Deduce quindi che la “Sacconnandi” avrebbe dovuto espletare le indagini

diligenza o prudenza (cfr. Cass. 12.5.2006, n. 11012, sentenza con cui questa

Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la
scriminante della buona fede in capo ai proprietari di un terreno, che vi avevano
costruito benché sul terreno stesso insistesse un vincolo paesaggistico
ambientale, in quanto era stata rilasciata loro concessione edilizia che di tale

Si osserva inoltre che l’accertamento – che i surriferiti principi implicano rientra nei poteri del giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in sede di
legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. Cass. 29.9.2009,

n. 20866).
Su tale scorta si rappresenta quanto segue.
Per un verso, che, a fronte della discrezionale valutazione del giudice del
merito che il summenzionato accertamento comporta, il motivo di censura
esperito in questa sede rileva essenzialmente in relazione al giudizio “di fatto” cui
la corte territoriale ha atteso e quindi nel segno della previsione del n. 5 del 1°
co. dell’art. 360 cod. proc. civ. (è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360,

1° co., n. 5, cod. proc. civ. che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti
rilevanti ai fini della decisione della controversia: cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008,
n. 28054).
Per altro verso, che l’asserito vizio motivazionale rileva, ratione temporis, nei
limiti della novella formulazione del n. 5 del 1° co. dell’art. 360 cod. proc. civ. e
nei termini enunciati dalle sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 8053
del 7.4.2014.
In quest’ottica si rappresenta ulteriormente quanto segue.
Da un canto, che è da escludere senz’altro che taluna delle figure di
“anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della

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vincolo non faceva alcuna menzione).

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pronuncia a sezioni unite testé menzionata, possa scorgersi in relazione alle
motivazioni cui la corte territoriale ha ancorato il suo dictum.
Segnatamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita
disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo

ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
Più

esattamente la corte de L’Aquila ha dato ragione di un articolato

complesso di circostanze – l’ingegner Navach era stato indicato
dall’amministratore del condominio di cui il professionista era già fiduciario,
operava in uno studio privato ed aveva emesso fatture la cui progressione dava
ragione di un flusso normale di clientela, aveva palesato pubblicamente ed agli
organi di stampa l’incarico ricevuto, “aveva assicurato la propria presenza in
cantiere con frequenza ed in orari incompatibili con l’espletamento di attività di
pubblico dipendente” (così sentenza d’appello, pag. 6) – certamente idonee “a
fondare una situazione di incolpevole apparenza” (così sentenza d’appello, pag.
6).
Dall’altro, che la corte ha sicuramente disaminato il fatto decisivo
caratterizzante in parte qua agitur la res litigiosa.
L’iter motivazionale che sorregge il dictum del giudice del merito, risulta
dunque ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente
congruo e esaustivo sul piano logico – formale.
Propriamente, al cospetto delle suindicate positive circostanze, esulanti dalla
sfera d’azione della “Saccomandi”, era, da un lato, ragionevole ed inevitabile che
la medesima società si inducesse ad escludere lo status di pubblico dipendente
dell’ingegner Michele Navach.

dall’altro, ingiustificato, giacché la

E’,

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seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte abruzzese ha compiutamente

”Saccomandi” non versava in uno stato di colpevole ignoranza, prospettare prospettazione per giunta patentemente generica in relazione alle indagini
conoscitive da esperire – che la stessa società avrebbe dovuto espletare “un
minimo di indagini conoscitive finalizzate all’accertamento delle eventuale status
di pubblico dipendente dell’incaricando professionista” (così ricorso, pag. 6).

a rimborsare all’avvocato Pietro Referza, difensore anticipatario dei
controricorrenti, le spese del giudizio di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
Nonostante il rigetto del ricorso non sussistono i presupposti perché, ai sensi
dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. n. 115/2002, la ricorrente sia tenuta a
versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per la stessa impugnazione a norma del comma 1 bis dell’art. 13 del medesimo
d. p. r..
In tal senso depone l’insegnamento n. 9938 dell’ 8.5.2014 delle sezioni unite
di questa Corte, ove in motivazione si precisa che è “principio generale
dell’assetto tributario che lo Stato e le altre Amministrazioni parificate non sono
tenute a versare imposte o tasse che gravano sul processo per la evidente
ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di
se stesso con la conseguenza che l’obbligazione non sorge”.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente “Agenzia delle Entrate” a
rimborsare all’avvocato Pietro Referza, difensore anticipatario dei
controricorrenti, le spese del presente giudizio di legittimità, spese che si
liquidano in euro 2.800,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso

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In dipendenza del rigetto del ricorso l’ “Agenzia delle Entrate” va condannata

forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per
legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della VI sez. civ. – Sottosezione

H della Corte Suprema di Cassazione, il 23 novembre 2017.

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