Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4836 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4836 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 1924-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

BELLENTANI AUTOVEICOLI SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato RUOZZI EDGARDO con studio in MODENA

Data pubblicazione: 28/02/2014

CORSO CANALCHIARO 116 (avviso postale) giusta delega a
margine;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 74/2008 della COMM.TRIB.REG. di
BOLOGNA, depositata il 28/11/2008;

udienza del 13/01/2014 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il controricorrente l’Avvocato RUOZZI
FEDERICO delega Avvocato RUOZZI EDGARDO che si riporta
agli scritti difensivi;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle Entrate di Modena notificava alla società Bellentani Autoveicoli spa un
avviso di accertamento relativo all’anno 2001 che, non ritenendo efficace la dichiarazione di
condono ex art.8 1.n.29812002 presentata dalla contribuente, rettificava le operazioni
imponibili della contribuente in relazione agli accertamenti compiuti dalla Guardia di
invece inquadrabili fra gli scambi intracomunitari di autoveicoli usati.
2. La società contribuente, per quel che qui rileva, impugnava l’avviso innanzi alla CTP di
Modena che lo accoglieva.A fronte dell’appello proposto dall’amministrazione, la quale
riconosceva l’operatività del condono ribadendo l’interesse all’impugnazione per essere gli
importi versati insufficienti a coprire il maggior carico fiscale derivante dalla corretta
applicazione del regime VIA, la CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza n.74 depositata il
28 novembre 2008 rigettava l’impugnazione. Osservavano i giudici di merito, per quel che
qui rileva, che non esisteva alcuna causa ostativa alla validità del condono presentato dalla
società contribuente, poiché il p.v.c. del 31.10.2002 aveva mero valore di atto interlocutorio
ed era stato assorbito dal p.v.c. del 22.3.2005.
3. Aggiungevano, quanto al merito, che il regime del margine previsto dall’art.36 d.l.n.41/95
non prevedeva a carico dell’acquirente la verifica delle condizioni legittimanti l’utilizzo
dell’agevolazione, rendendo giustificato il ricorso a tale regime nel caso in cui il soggetto
passivo non fosse in grado di percepire o conoscere l’eventuale illegittimità degli atti
precedenti. Secondo la CTR quest’ultimo era tenuto a verificare che il cedente fosse
soggetto passivo IVA, che il mezzo avesse percorso oltre 6000 chilometri e risultasse
immatricolato da più di sei mesi e che in fattura fosse indicato il regime del margine., ma
non certo di verificare la veridicità di quanto applicato dal cedente UE. Per di più la Corte di
giustizia aveva riconosciuto che il sistema del margine non era impedito dalla frode
perpetrata da uno dei precedenti cedenti del bene ove il cessionario ultimo non fosse a
conoscenza o non potesse conoscere la frode.
4. Evidenziavano, quindi, che l’indicazione del regime del margine contenuta nelle fatture .
emesse dai cedenti aveva determinato un affidamento nei confronti della società
contribuente, nemmeno essendo emerso alcun coinvolgimento della stessa nella frode
commessa dal cedente comunitario.
5. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a 3 motivi, al quale ha
resistito la società contribuente con controricorso e memoria ex art.37? c.p.c.

Finanza dai quali emersa l’indebita applicazione del c.d. regime del margine ad operazioni

MOTIVI DELLA DECISIONE
5.Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione dell’art.36
d.l.n.41195 conv. Nella 1.n.85/95 e modificato dal d.l.n.41195, in relazione all’art.360 comma 1 n.3
C.P.C. Deduce che gli accertamenti fiscali avevano consentito di appurare che i cedenti stranieri
erano tutti fornitori comunitari e che tra questi la società britannica Media cars LTD aveva emesso
per le vetture cedute una doppia fattura in modo da fare figurare nella fatture in possesso della
cessionario l’applicazione del regime del margine.
5.1 Chiariva ancora che per le altre società estere fornitici era risultato che le cessioni di vetture
erano state tutte inserite nei modelli Intrastat, come era emerso dalla consultazione del Sistema
informativo del Ministero delle Finanze- circostanza esposta a pag.3 dell’avviso ed a pag.4 dell’atto
di appello-. Peraltro, dall’ispezione nei locali della contribuente era emerso che in quattro libretti di
circolazione relativi ad auto invendute rinvenute era risultato che gli stessi provenivano da società
di autonoleggio o da rivenditori di automobili. Orbene, rispetto a tale compendio di elementi, la
CTR si era limitata ad affermare che la cessionaria non aveva alcun compito di verificare la
veridicità di quanto affermato dai cedenti, tralasciando di considerare che il regime del margine
richiedeva l’esistenza in via obiettiva di precisi e obiettivi presupposti, in ragione dei quali il bene
per il quale il cedente aveva potuto detrarre l’IVA sull’acquisto non poteva fruire di tale regime.
5.2 Proprio l’esame degli elementi probatori anzidetti avrebbe consentito di escludere la legittimità
dell’operato della contribuente all’atto di applicare il regime speciale del margine, che costituiva
deroga rispetto a quello ordinario. La circostanza che le autovetture usate fossero state tassate a
monte con detrazione dell’IVA impediva il riconoscimento di tale meccanismo, dotato di
connotazione prettamente obiettiva.
6.Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.36
d.l.n.45/95 conv. nella 1.n.85195 e modificato dal d.1.n.415/1995, nonché dell’art.2697 c.c., in
relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. La ricorrente evidenzia che la ctr aveva omesso di
considerare che l’onere di provare l’esistenza dei presupposti per fruire del regime speciale del
margine incombeva sul contribuente cessionario, in questo modo nono solo tralasciando di
esaminare tutti quegli elementi che, esposti nel primo motivo, avrebbero escluso l’accesso a tale
sistema ma anche omettendo di considerare che il mero riferimento formale in fattura
dell’applicazione del regime del margine non poteva affatto giustificare in via automatica
l’applicazione del regime speciale.
7.Con il terzo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di insufficiente motivazione su un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta, in via

cedente la natura di cessione intracomunitaria soggetta ad IVA ordinaria e in quella in possesso del

subordinata rispetto alle altre censure, che la CTR aveva taciuto ogni riferimento al fatto che dai
modelli Intrastat presentati dai cedenti stranieri fosse risultato che si trattava di cessioni
intracomunitarie soggette al regime IVA ordinario, come anche sulla circostanza che i libretti di
circolazione rinvenuti contenessero indicazione circa l’operatività dei soggetti cedenti nel settore
del noleggio auto.
8.La società contribuente, nel controricorso, ha dedotto l’inammissibilità del ricorso che non
diversi avvisi di accertamento solo parzialmente sovrapponibili, senza specificare le peculiarità di
ogni singola fattispecie. Specificava, in particolare, rispetto al caso posto al vaglio di questa Corte
con riguardo alla pretesa IVA per l’anno 2001, che l’originaria pretesa aveva riguardato l’IVA su
vendite ed acquisti oltre che le relative sanzioni. Peraltro, la ricorrente non aveva fatto cenno agli
effetti che si erano prodotti in ragione del condono del quale essa società si era avvalsa, ormai
riconosciuto applicabile dal giudice di appello con statuizione definitiva.
8.1 Evidenziava, in ogni caso, l’inammissibilità per inidoneità dei quesiti ed infondatezza delle
censure. Anzitutto, l’eventuale inserimento dei beni nei modelli Intrastat non era probante in ordine
alla mancata applicazione del regime del margine. Peraltro, essa società non poteva accedere né alla
documentazione posseduta dal commercialista britannico della Media Cars Ltd né tanto meno a
quella relativa ai modelli Intrastat- elemento, che, peraltro, non era stato esposto, ad onta di quanto
diversamente affermato dall’Agenzia, né nell’avviso né nell’atto di appello dell’Ufficio-.
8.2 Quanto al terzo motivo, lo stesso aveva omesso di prendere in esame la parte della motivazione
del provvedimento impugnato che aveva escluso il coinvolgimento della società contribuente nella
frode commessa dal cedente comunitario.
9. Orbene, occorre anzitutto evidenziare che la parte ricorrente non ha impugnato la statuizione del
giudice di appello relative all’intervento condono ex art.81.n.289/2002. Il punto, sul quale pure si è
soffermata la parte controricorrente, ha sicura rilevanza.
9.1 Ed invero, la questione relativa al condono era stata già posta in discussione in sede di avviso di
accertamento, dal momento che l’Ufficio aveva ritenuto inefficace la dichiarazione ex art.8
1.n.289/2002 presentata dalla società, per come pure rammentano i giudici di appello a pag.2 della
sentenza impugnata.
9.2 Il giudice di appello, nel respingere l’impugnazione proposta dall’Agenzia, osservò che “…Non
esiste alcuna causa ostativa alla validità del condono presentato dalla società, in quanto il p.v.c.
redatto dall’ufficio in data 31.10.2002 ha assunto il valore di atto interlocutorio e non definitivo
essendo stato assorbito nel processo verbale del 22.3.2005”.
9.3 Tale statuizione non è stata oggetto di gravame da parte dell’Agenzia, la quale ha invece

conteneva una compiuta disamina della vicenda in esame, avendo trattato in modo unitario tre

censurato la decisione della CTR in ordine alla riconosciuta possibilità della contribuente di fare
ricorso a tale sistema.
9.4 Ora, è vero che questa Cortkha affermato che l’art. 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289,
nella parte in cui consente la definizione in via agevolata delle violazioni in materia di IVA (nella
specie, sanzioni irrogate per omessa emissione di autofattura), va disapplicato perché in contrasto
con gli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della Sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17
all’IVA, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in
causa C-132/06-cfr. Cass.n.13505/2012-.
9.5 E tuttavia, non pare potersi revocare in dubbio che la mancata impugnazione della statuizione
relativa al condono —sfavorevole all’amministrazione- da parte dell’Agenzia impedisce a questa
Corte di rivedere la decisione alla stregua dei principi già ricordati essendo questa, in parte qua,
ormai coperta da giudicato interno, resa dalla CTR quanto all’insussistenza dei presupposti per
adottare l’accertamento notificato alla parte contribuente in ragione della defmizione bonaria della
lite.
9.6 In questa direzione, del resto, milita l’insegnamento di questa Corte- sent.n.25320/2010- a cui
tenore il diritto comunitario, così come costantemente interpretato anche dalla Corte di Giustizia
dell’Unione Europa (sentenza 3 settembre 2009, in causa C-2/08 Olimpiclub e sentenza 16 marzo
2006, in causa C-234/04, Kapferer) non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme
processuali interne da cui deriva l’autorità di cosa giudicata di una decisione, nemmeno quando ciò
permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione,
salve le ipotesi, da ritenersi assolutamente eccezionali, in cui ricorrano discriminazioni tra
situazioni di diritto comunitario e situazioni di diritto interno ovvero che sia reso in pratica
impossibile o estremamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario.
Da tale principio si è quindi tratta la conclusione che l’eventuale contrasto della decisione di primo
grado con il diritto comunitario non tempestivamente impugnata non poteva rendere comunque
ammissibile l’appello, ancorché proposto in violazione del termine ex art. 327 cod. proc. civ.
9.7 Se sono vere le superiori conclusioni, non pare potersi revocare in dubbio che il passaggio in
giudicato/interno) della sentenza impugnata in ordine all’applicabilità dell’art.8 1.n.289/2002 non
consente di passare all’esame delle ulteriori doglianze esposte dall’Agenzia, risultando il ricorso
inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P. Q.M.
La Corte

maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relativamente

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese
processuali che liquida in favore della società contribuente in euro 25.000,00 oltre euro 200,00 per

esborsi ed oltre accessori come per legge.

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