Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4836 del 24/02/2020
Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4836
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22856/2018 proposto da:
O.P., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Fraternale,
elettivamente domiciliato presso il suo studio in Pesaro, via
Castelfidardo, 26;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei
Portoghesi, 12 Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e
difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 15/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
28/11/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
Il tribunale di Ancona, con il decreto n. 7490/18 pubblicato il 15 giugno 2018, ha rigettato la domanda proposta da O.P., cittadino proveniente dalla (OMISSIS), escludendo il riconoscimento di ogni forma di protezione.
Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che le vicende narrate dal richiedente avevano natura privata e che gli aspetti evidenziati in ricorso integravano timori personali, privi di elementi concreti di riscontro.
Il tribunale ha inoltre escluso, sulla base del rapporto UNHCR, e delle informazioni acquisite dall’EASO, la sussistenza nell’area di provenienza del rifugiato, la zona sud della (OMISSIS), di una situazione di violenza generalizzata come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha altresì respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di una specifica condizione di vulnerabilità del richiedente.
Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7 e 14 censurando la statuizione della sentenza impugnata che ha escluso la protezione sussidiaria, ritenendo che la vicenda narrata dal ricorrente avesse natura privata e di giustizia comune, seppure il richiedente aveva riferito dell’attacco subito dalla setta dei (OMISSIS), (OMISSIS), attivi nel sud della (OMISSIS) che avevano minacciato di ucciderlo.
Il motivo è inammissibile per difetto di decisività, in quanto non coglie la ratio della pronuncia.
Il tribunale ha infatti rilevato la genericità della narrazione, priva di concreti elementi di riscontro, evidenziando in particolare che non risultava che il richiedente si fosse attivato chiedendo protezione nel proprio paese ed ha ritenuto che, sulla base delle informazioni acquisite da fonti internazionali attendibili, quali EASO e UNHCR, nello stato di provenienza del richiedente erano presenti istituzioni in grado di proteggerlo, con conseguente mancanza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria.
Il secondo motivo censura la mancata concessione della protezione umanitaria, lamentando che il tribunale abbia omesso di effettuare la necessaria comparazione tra le condizioni di vita del richiedente in Italia e quelle del paese di origine, omettendo in particolare di considerare la perfetta conoscenza della lingua italiana e l’esistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Anche tale censura è infondata.
Il tribunale ha escluso, con apprezzamento adeguato, che, sia avuto riguardo alle condizioni soggettive del richiedente, che alla situazione del paese di origine, desunta da fonti internazionali citate nel provvedimento, fosse ravvisabile una situazione di vulnerabilità tale da giustificare il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, escludendo, in particolare, che in caso di rientro nel paese di origine sussistesse il rischio concreto per il richiedente di una compressione dell’esercizio dei diritti fondamentali.
Il tribunale ha inoltre ritenuto insufficiente, ai fini della prova dell’inserimento sociale del ricorrente, la sola produzione del contratto di lavoro a tempo indeterminato, privo peraltro dell’ammontare della relativa retribuzione.
A fronte di tale statuizione il mezzo è del tutto generico, limitandosi a ribadire le circostanze già valutate dal tribunale, ma senza allegare una specifica situazione di fragilità del richiedente.
Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza si liquidano come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali, che liquida in 2.100,00 Euro per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020