Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4833 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26092/2018 proposto da:

G.W., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Barone,

elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Avellino via

Tranquillino Benigni, n. 10;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno:

– resistente –

avverso la sentenza n. 2387/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/11/2019 dal Cons. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 2555/18 pubblicata il 23 maggio 2018, ha rigettato l’appello proposto da G.W. avverso l’ordinanza del tribunale di Napoli che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.

La Corte territoriale, in particolare, ha rilevato che, a prescindere dalla credibilità del racconto, sussisteva la condizione ostativa al riconoscimento dello status di rifugiato ed alla protezione sussidiaria, di cui rispettivamente al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16 posto che lo stesso richiedente aveva ammesso e ribadito di essere fuggito dalla Nigeria per aver ucciso una persona per conto dell’associazione wudu fondata dal padre.

La Corte territoriale ha inoltre escluso, sulla base del rapporto UNHCR, la sussistenza nell’Edo State di una situazione di violenza generalizzata come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha altresì respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza dei relativi presupposti, anche in relazione al grave delitto commesso dal richiedente.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione, ma non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Deve anzitutto rilevarsi che il ricorrente ha proposto due distinti ricorsi per cassazione avverso la medesima ordinanza della Corte d’appello di Napoli.

Orbene nell’ordinamento processuale civile vige il principio generale della “consumazione” del potere di impugnazione, per effetto del quale, una volta che la parte abbia esercitato tale potere, esaurisce la facoltà di critica della decisione che lo pregiudica, senza che possa proporre una successiva impugnazione, salvo che la prima impugnazione sia invalida, non sia stata ancora dichiarata inammissibile o improcedibile e venga rispettato il termine di decadenza previsto dalla legge. Pertanto, ove, come nel caso di specie, la medesima sentenza di appello venga impugnata tempestivamente con due identici ricorsi per cassazione, proposti l’uno di seguito all’altro, si pongono due sole alternative, a seconda che il primo di essi abbia, o meno, validamente introdotto il giudizio di legittimità: nell’un caso, il ricorso successivamente proposto va dichiarato inammissibile; nell’altro, invece, deve essere esaminato in ragione dell’inammissibilità del primo (Cass. 24332/2016).

Conviene dunque esaminare anzitutto il primo ricorso, al fine di verificare se con esso si sia o meno consumato il potere di impugnazione.

Orbene, il primo ricorso del 9.8.2018 (difensore Domenico Iannone) è inammissibile, in quanto esso non contiene la compiuta esposizione dei fatti dei causa e della vicenda processuale e la compiuta formulazione dei motivi, secondo quanto stabilito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Ed invero, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa e la specifica indicazione dei motivi, tra quelli tassativamente indicati dall’art. 360, comma 1, codice di rito, corredata dall’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate; da tale esposizione devono risultare le posizioni processuali delle parti, con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonchè degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perchè tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente.

La parte, inoltre, non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito senza indicare le censure al provvedimento impugnato, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

I suddetti requisiti non sono pertanto adempiuti, laddove, come nel caso di specie, l’esposizione del fatto e del processo, peraltro incompleta, ed i motivi di censura si articolino in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza impugnata (Cass. 13312/2018).

L’inammissibilità in esame, avente ad oggetto il ricorso anteriormente proposto, non appare riconducibile alle c.d. inammissibilità “di merito” o “improprie”, di cui all’art. 360 bis c.p.c., n. 1) ed ha invece carattere processuale, in quanto discende dalla violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4) e dalla difformità della redazione del motivo rispetto al paradigma stabilito da detta norma.

Da ciò discende, che, a differenza della inammissibilità impropria, correlata alla manifesta infondatezza del ricorso, essa non appare idonea a consumare il potere di impugnazione, salvo che sia stata (rilevata) e dichiarata prima della proposizione dell’ulteriore ricorso, il che non si è verificato nel caso di specie.

Pure il secondo ricorso è inammissibile, per mancanza di una valida procura speciale per il giudizio di cassazione.

La procura speciale, rilasciata con foglio separato, materialmente allegato al ricorso, risulta infatti rilasciata in data 2.5.2018, vale a dire in data anteriore alla pubblicazione dell’ordinanza impugnata.

Orbene, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la procura per proporre ricorso per cassazione dev’ essere speciale e non può essere rilasciata in via preventiva, dal momento che il requisito della specialità implica l’esigenza che questa riguardi espressamente il giudizio di legittimità sulla base di una valutazione della sentenza impugnata. Ne consegue che la procura non può considerarsi speciale se rilasciata in data precedente a quella della sentenza da impugnare, sicchè è inammissibile un ricorso sottoscritto da un difensore che sia legittimato da procura resa anteriormente al provvedimento da impugnare (Cass. 27540/2017).

Entrambi i ricorsi vanno dunque dichiarati inammissibili e considerato che il Ministero dell’interno, costituitosi al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione, non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte riuniti i ricorsi, li dichiara entrambi inammissibili.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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