Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4832 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4832 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 11147-2009 proposto da:
COSMO PUBBLICITA’

SRL in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA GERMANICO 24, presso lo studio
dell’avvocato SCAVUZZO GIUSEPPE, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ROSTELLI LUCIANA
2014

giusta delega a margine;
– ricorrente –

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contro

COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI
GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato AVENATI

Data pubblicazione: 28/02/2014

t

FABRIZIO, che lo rappresenta e difende giusta delega
a margine;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 18/2008 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 17/03/2008;

udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 18/35/08, depositata il 17.3.2008, la CTR
del Lazio ha confermato la sentenza con la quale la CTP di

Cosmo Pubblicità di Genova Giorgio & C. S.a.s.) nei confronti
del Comune di Roma, avverso l’avviso d’accertamento relativo
ad imposta sulla pubblicità per l’anno 2002. I giudici d’appello,
per quanto ancora interessa, hanno considerato che: a) l’art. 11
del d.lgs. n. 546 del 1992 autorizzava il dirigente del servizio
Affissioni e Pubblicità a rappresentare l’Amministrazione; b) i
criteri d’imposizione su base mensile presupponevano la
sussistenza di provvedimenti concessori, mentre la contribuente
non aveva dimostrato la regolarità degli impianti; c) l’ipotizzata
erroneità delle superfici degli impianti non era stata in alcun
modo provata dalla Società; d) l’invocato beneficio di cui alla
delibera comunale n. 254/95 -non applicabilità di sanzioni ed
interessi- si riferiva agli impianti oggetto del c.d. riordino e non
a quelli privi di autorizzazione.
La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza, in base a cinque motivi. Il Comune di Roma resiste con
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa
applicazione degli artt. 50 del d.lgs. n. 267 del 2000, 24 e 34
dello Statuto del Comune di Roma, 11 del d.lgs. n. 546 del 1992,

Roma aveva respinto il ricorso della S.r.l. Cosmo Pubblicità (già

come novellato dalla L. n. 88 del 2005, e 75 cpc, la ricorrente si
duole che la CTR ha ritenuto valida la costituzione in giudizio
del funzionario del servizio Affissioni e Pubblicità, senza tener

rappresentanza processuale va riconosciuta, solo, al Sindaco, a
nulla rilevando le previsioni statutarie, e senza considerare che il
funzionario costituitosi non era neppure il dirigente dell’Ufficio
Tributi comunale, unica figura contemplata dall’art. 11 del d.lgs.
n. 546 del 1992, nel testo novellato dalla disposizione dell’art. 3
bis della L. n. 88 del 2005. 1.1. Il motivo è infondato. L’art. 3
bis, co 1, del D.L. n. 44 del 2005, convertito con modificazioni
nella L. n. 88 del 2005, in vigore dal 1.6.2005, sostituendo l’art.
11, co 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, dispone che l’ente locale, nei
cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche
mediante il dirigente dell’ufficio tributi (o, in mancanza di tale
figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione
organizzativa comprendente l’ufficio tributi). Il comma 2 dell’art.
3 bis, in esame, estende, poi, la suddetta disposizione ai processi
in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione
del citato DL, restando, in conseguenza, acclarata la
legittimazione processuale dei dirigenti locali ad intervenire nei
giudizi innanzi alle commissione tributarie, sia di primo grado
che d’appello. 1.2. Deve, peraltro, rilevarsi che già lo Statuto del
Comune di Roma, (approvato con Delib. Consiliare 17 luglio
2000, n. 122 e successivamente integrato con Delib. 19 gennaio

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conto che, ai sensi dell’art. del 50 d.lgs. n. 267 del 2000, la

2001, n. 22), atto normativo di rango paraprimario o sub
primario (Cass. SU n. 12868 del 2005), dopo aver previsto,
all’articolo 24, co 1, che “Il Sindaco è l’organo responsabile

espressamente riconosciuto la rappresentanza a stare in giudizio
dei dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza,
stabilendo, appunto, all’articolo 34, co 4, che “I Dirigenti
promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi
comunali ed hanno il potere di conciliare e transigere”. 1.3. Va,
quindi, evidenziato che la questione secondo cui il funzionario
costituitosi non sarebbe il dirigente dell’Ufficio Tributi del
Comune, è inammissibile perché introduce un tema d’indagine
nuovo, privo di autosufficienza (il ricorso non specifica neppure
quale soggetto avrebbe firmato e la relativa posizione nella
pianta organica comunale), che, per di più, implica un’indagine
di fatto, preclusa in sede di legittimità.
2. Col secondo motivo, la ricorrente, deducendo la
violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 56 e 57 del d.lgs. n.
546 del 1992, lamenta l’omessa pronuncia sulla dedotta
inammissibilità delle eccezioni proposte dal Comune di Roma
nelle memorie illustrative, depositate dopo la costituzione in
primo grado. 2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di
autosufficienza: la sentenza non dà conto della formulazione di
tale eccezione in tesi pretermessa e la ricorrente non riporta, nei
loro esatti termini, quando e con quali argomenti l’avrebbe

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dell’amministrazione del Comune e rappresenta l’Ente”, ha

sollevata, in primo grado ed in appello, così precludendo a
questa Corte di verificarne la ritualità e la tempestività e, dunque
la sussistenza dell’omissione denunciata. 2.2. Va aggiunto che la

difese e delle nuove eccezioni in senso stretto che il Comune
avrebbe tardivamente formulato, precisazione tanto più
necessaria, tenuto conto che la tardività della costituzione in
giudizio del resistente (art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992) preclude,
appunto, la facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito
non rilevabili d’ufficio, oltre che di chiamare terzi in causa, ma
non di svolgere altro tipo di difese (Cass. n. 18962 del 2005) e
non comporta alcuna nullità, e che, correlativamente, il divieto di
proporre nuove eccezioni in appello, di cui all’art. 57, co 2, del
d.lgs. n. 546 del 1992, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ma
non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle
contestazioni già dedotte in giudizio, perché le difese, le
argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la
fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta,
eccezioni in senso tecnico (Cass. n. 3338 del 2011). 2.3. Ancora,
il quesito formulato a conclusione del motivo non rispetta il
precetto di cui all’art. 366 bis cpc, perché pone un interrogativo
correlato alla supposta violazione delle norme processuali
richiamate, e non già riferito, come avrebbe dovuto, all’omessa
pronuncia, con ulteriore profilo d’inammissibilità.
3. Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa

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ricorrente non precisa neppure l’oggetto delle asserite nuove

applicazione degli artt. 12 del d.lgs. n. 507 del 1973, anche in
relazione agli artt. 1, 5, 7, 8, 9, 14 e 16 del medesimo d.lgs., ed
inoltre degli artt. 3 e 53 Cost., nonché vizio di motivazione, la

che erano state effettuate le dichiarazioni di pubblicità, e pagate
le relative imposte, con riferimento ai periodi inferiori al
trimestre. Pertanto, nel ritenere legittima l’applicazione della
tariffa annuale, la CTR ha violato il terzo comma dell’art 12 del
d.lgs. n. 507 del 1973, come novellato dalla L. n. 388 del 2000,
che, richiamando il precedente comma 2, consente, anche per le
affissioni dirette, di pagare l’imposta in misura ridotta in tutti i
casi in cui la pubblicità non abbia superato i tre mesi. 3.1. Il
motivo è infondato. Procedendo all’esame del denunciato vizio
motivazionale, che, essendo relativo ai dati fattuali (presenza o
meno della dichiarazione di pubblicità), funge da condizione
rispetto ai prospettati profili della violazione di legge, va
osservato che la CTR ha affermato che la fattispecie in esame
riguarda impianti privi “dell’autorizzazione prescritta dall’art 8
del D.Lgs 507/93”. A fronte di tale accertamento di fatto, la
ricorrente non specifica affatto quali dichiarazioni di pubblicità
avrebbe prodotto, non ne riproduce il contenuto, e neppure
indica i pagamenti effettuati -in tesi inopinatamente obliterati
dall’Ufficio- come avrebbe dovuto in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione. In sostanza, attraverso
la strumentale denuncia del difetto di motivazione la ricorrente

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ricorrente afferma che la sentenza impugnata non ha considerato

chiede un inammissibile riesame del merito della controversia,
senza, peraltro, corredare la censura dal momento di sintesi, in
violazione dell’art. 366 bis cpc e così incorrendo in un ulteriore

state presentate le postulate dichiarazioni di pubblicità, la
dedotta violazione di legge è, in conseguenza, insussistente,
avendo l’impugnata sentenza correttamente ritenuto l’imposta
dovuta per anno solare, in base all’art. 8, 4 0 co, del d.lgs. n. 507
del 1993, secondo cui la pubblicità nel caso, qui ricorrente, di cui
all’art. 12, “si presume effettuata in ogni caso con decorrenza dal
primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata”, ed al principio
generale dell’annualità dell’imposta, sancito dal successivo art.
9.
4. Col quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 7 del d.lgs. n. 507 del 1993 e 8 del regolamento
comunale, affermando che, contrariamente a quanto stabilito
dalla CTR, l’imposta va determinata, in base sia alla
disposizione legislativa sia a quella regolamentare, in relazione
alla superficie della figura minima geometrica in cui è
circoscritto il mezzo pubblicitario. 4.1. Il motivo è
inammissibile. La CTR ha confermato la sentenza di prime cure
non perché ha ritenuto che andassero computati gli elementi di
supporto del mezzo pubblicitario (come i pali o le cornici), ma
perché ha ritenuto corrette le dimensioni degli impianti sulle
quali è stata calcolata l’imposta, rilevando che la ricorrente non

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motivo d’inammissibilità. 3.2. Non constando, dunque, esser

aveva “fornito alcuna prova a supporto dell’eccezione in esame,
né del carattere strutturale delle cornici che pretende esonerare
dall’imponibile, omettendo ogni riferimento espresso alla minore

4.2. Ora, non solo, tale accertamento non è stato censurato, come
avrebbe dovuto, sotto il profilo del vizio di motivazione, ma la
censura non è pertinente con la ratio decidendi dell’impugnata
sentenza, che non ha affermato un principio diverso da quello
invocato ed asseritamente violato, ma ha applicato il principio ad
un accertamento di fatto diverso rispetto a quello ipotizzato
(inammissibilmente) dalla ricorrente.
5. Col quinto motivo, deducendo violazione e falsa
applicazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 la ricorrente
afferma che non sono dovute le sanzioni, tenuto conto che
sussistevano, nella specie, in modo “chiaro ed inequivocabile” le
condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di
applicazione delle norme tributarie. La Società contribuente -che
invoca, anche, l’art. 10 dello Statuto del contribuente- afferma,
infine, che il potere di disapplicazione è rilevabile ex officio. 5.1.
Il motivo è infondato. In base alla giurisprudenza di questa Corte
(Cass. n. 24670 del 2007; n. 2192 del 2012), l’incertezza
normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del
contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria,
postula una condizione, qui neppure adombrata, di inevitabile
incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della

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misura della superficie espositiva assoggettabile a tassazione”.

retrr

m

Dì Tií ,0. ALL.

– N. 5

MATERIA TRIBUTARIA

norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del
risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione
normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a

capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi,
professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello
professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al
giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il
potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata
interpretazione.
6. Il ricorso va, in conclusione, respinto.
7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come
da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano in € 1.700,00, di cui € 200,00, per spese, oltre
accessori.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014
Il Consigliere estensore

IV

ente

quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano

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