Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4831 del 28/02/2014
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4831 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.
SENTENZA
sul ricorso 10979-2009 proposto da:
COSMO PUBBLICITA’
SRL in persona del
legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II
187,
presso lo
studio dell’avvocato LICATA ANTONELLA & GIORDANO
MASSIMO, rappresentato e difeso dall’avvocato DI
2014
TONNO CLAUDIO giusta delega a margine;
– ricorrente –
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contro
COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI
GIOVE
21,
presso lo studio dell’avvocato RAIMONDO
Data pubblicazione: 28/02/2014
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ANGELA, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato CIAVARELLA ANTONIO giusta delega a
margine;
– controricorrente nonchè contro
& PUBBLICITA’;
– intimato –
avverso la sentenza n. 42/2008 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 14/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.
COMUNE DI ROMA DIPARTIMENTO VIII SERVIZIO AFFISSIONI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 42/34/08, depositata il 14.3.2008, la CTR
del Lazio ha confermato la decisione con la quale la CTP di
Cosmo Pubblicità di Genova Giorgio & C. S.a.s.) nei confronti
del Comune di Roma, avverso alcuni avvisi d’accertamento
relativi ad imposta sulla pubblicità, per l’anno 2002. I giudici
d’appello hanno ritenuto che la Società appellante non aveva
fornito la prova circa l’utilizzazione parziale degli impianti
assoggettati ad imposta, limitandosi a svolgere astratte
argomentazioni giuridiche.
La ditta contribuente ricorre per la cassazione della
sentenza con tre motivi. Il Comune di Roma resiste con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo la ricorrente deduce, la “violazione e
falsa applicazione dell’art 12 del d.lgs. n. 507 del 1993 ed errata
valutazione”. Posto che, in riferimento all’annualità considerata
(2002), era possibile, ex art 12 del d.lgs. n. 507 del 1993, quale
modificato dalla 1. n. 388 del 2000, il pagamento dell’imposta in
ragione dei periodi espositivi, anche, per le affissioni dirette, “la
rettifica dei pagamenti doveva aver luogo solo in caso di
comprovata violazione del secondo comma dell’art. 12 D. Lgs
507/93”.
2. Col secondo motivo, si censura la “violazione dell’art 7
i
Roma aveva respinto il ricorso della S.r.l. Cosmo Pubblicità (già
del d.lgs. n. 507 del 1993. Errato calcolo della superficie
espositiva”. La ricorrente espone che il computo di detta
superficie, operato dal Comune, non tiene conto che l’imposta
cornice.
3. Col terzo motivo, la ricorrente lamenta la “violazione e
falsa applicazione dell’art. 7 della 1. n. 212 del 2000 nonché
omessa ed insufficiente motivazione”, sostenendo che “la
trasfusione negli atti impugnati dei soli estremi numerici anno,
tariffa, dimensioni degli impianti e sanzioni” non soddisfa il
requisito motivazionale degli atti impositivi.
4. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, che
contiene tutti gli elementi atti a porre la Corte in condizioni di
decidere, il primo motivo è inammissibile. 5. Esso non incide,
infatti, sulla rado decidendi dell’impugnata sentenza che, lungi
dal negare la possibilità per i contribuenti di assolvere
all’imposta per periodi di durata non superiore a tre mesi, ha,
invece affermato che la Società appellante non aveva “fornito la
prova in ordine all’uso o meglio all’utilizzazione temporale
parziale (entro i tre mesi) degli impianti indicati e soggetti ad
imposta”. 6. Non solo, tale accertamento non è stato impugnato,
come avrebbe dovuto, sotto il profilo del vizio di motivazione, in
riferimento a documenti, in tesi, non valutati dalla CTR
(l’enunciazione di una “errata valutazione” non è stata
ulteriormente svolta, né è stato formulato quesito di fatto), ma il
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deve essere calcolata al netto degli elementi accessori, quale è la
motivo è direttamente volto a confutare la legittimità delle
rettifiche, invece che le statuizioni della decisione impugnata,
così invocando un inammissibile, nuovo, accertamento di merito.
L’impugnata sentenza non ha affrontato le relative questioni, di
tal chè la ricorrente avrebbe dovuto dedurne l’omesso esame,
censurarlo con l’afferente motivo di cui all’art 360, 1° co, n. 4
cpc, e corredarlo col dovuto quesito di diritto, tenuto conto del
principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui la
decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non
decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo
grado è impugnabile per cassazione per omessa pronuncia su un
motivo di gravame, e non già per omessa o insufficiente
motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure
per violazione di legge, in quanto tali ultime censure
presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la
questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo
giuridicamente non corretto ovvero senza giustificarla o non
giustificandola adeguatamente (da ultimo Cass. n.11801 del
2013).
8. Il ricorso va in conclusione ) rigettato. 9. Le spese
seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
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7. Anche i motivi secondo e terzo sono inammissibili.
ESENTh DA :,,Pc;!sTRAMONE
Al SENSI DH.
N. 131 Ti -A
ALL.
– N.5
MATERiAntdTAMA
liquidano in € 2.200,00, di cui € 200,00, per spese, oltre
accessori.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014(
Il Consigliere estensore
Il reside
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