Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4830 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 25/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26342/2018 proposto da:

K.M., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Daniela Gasparin, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2226/2018 della CORTE di APPELLO di Milano,

depositato il 07/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/11/2019 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

La Corte di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la prima decisione e rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale nelle diverse forme, presentata da K.M., nato in (OMISSIS). Questi ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi.

Il ricorrente aveva narrato di essere di etnia mandinga e di religione mussulmana e di avere lasciato la (OMISSIS) in quanto gli appartenenti a tale etnia erano accusati di avere portato la guerra ed erano perseguitati dalle forze dell’ordine. Aveva poi narrato una serie di vicende familiari e personali che, anche per l’orientamento politico della sua famiglia, lo avevano condotto a trasferirsi prima in (OMISSIS), poi in (OMISSIS) ed infine in Italia.

La Corte, esaminate le dichiarazioni del richiedente, ha ritenuto inverosimile il narrato, rimarcando l’assoluta genericità e non credibilità dei fatti narrati sia alla Commissione territoriale che al giudice di primo grado.

Ha, quindi, escluso la ricorrenza di alcuno dei presupposti per la concessione di qualsiasi forma di protezione internazionale perchè ha ritenuto insussistenti in concreto una situazione di violenza indiscriminata con situazione di conflitto armato in (OMISSIS).

Infine, dopo aver rimarcato che non era stata addotta alcuna specifica censura all’ordinanza del primo giudice riguardo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria, ha concluso che, non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, degli artt. 2 e 3 della CEDU, nonchè omesso esame dei fatti ed assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi in merito agli atti di persecuzione subiti.

Il ricorrente si duole che in fase di merito le sue dichiarazioni, riguardanti la fuga dalla Liberia, siano state ricondotte a vicende di carattere privatistico e sia stato omesso l’esame del fatto decisivo costituito dal rischio di esposizione a persecuzione, così come anche la sua famiglia, per l’appartenenza all’etnia mandinga mussulmana in ragione dello scontro esistente tra cristiani e mussulmani, e dal pericolo conseguente ai contatti con l’associazione segreta “Poro and Sande Society”. Sostiene che non avrebbe potuto richiedere aiuto all’autorità statale, poichè questa contrastava proprio la minoranza mussulmana a cui egli apparteneva.

1.2. Il secondo motivo denuncia violazione dei parametri normativi – sempre in relazione alla credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente – fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c, in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale; omesso esame di fatti decisivi; violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 14, artt. 8 e 27, degli artt. 2 e 3 CEDU, violazione dei parametri normativi per la definizione di danno grave, violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU, alla Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, art. 47 e dalla direttiva Europea n. 2013/32, art. 46.

1.3. Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità, omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima, violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3, 4, 7,14,16 e 17, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 8,10 e 32, art. 5, comma 6, dell’art. 10 Cost., omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione presupposti della protezione umanitaria, mancanza o quantomeno l’apparenza della motivazione e nullità della decisione per violazione di varie disposizioni, artt. 112 e 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6.

1.4. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

2.1. Il primo ed il secondo motivo – che possono essere trattati congiuntamente, attenendo prevalentemente alla questione della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente – sono inammissibili.

2.2. Si tratta per un verso di doglianze di indiscriminata violazione di una molteplicità di norme, che, tuttavia, non pongono in alcun modo in discussione il significato e la portata applicativa delle norme richiamate in rubrica. Sicchè è in proposito agevole rammentare il più che consolidato principio secondo cui la violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 16 giugno 2019, n. 16246; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313).

2.3. Per altro verso, ribadito il principio secondo il quale “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.” (Cass. n. 3340 del 05/02/2019), va considerato che i motivi si collocano ben al di fuori del ristretto ambito in cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ammette il sindacato motivazionale sul provvedimento impugnato per cassazione, giacchè la censura pone in realtà in discussione la valutazione di non credibilità operata dal giudice di merito, il quale ha ritenuto non plausibile il racconto in ragione di puntuali osservazioni sulle quali il ricorrente nemmeno si sofferma nei motivi, se non per sostenere la veridicità del narrato.

Tale valutazione è insindacabile in questa sede, in applicazione del principio secondo cui, in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

3.1. Il terzo motivo è inammissibile.

3.2. Ribadito quanto affermato sub 2.2., la censura non coglie nel segno perchè non si confronta con la declaratoria di sostanziale inammissibilità del motivo di appello concernente la protezione umanitaria sul rilievo che la stessa non era stata supportata da alcuna specifica censura.

3.3. Ad ogni modo, la statuizione assunta, che fonda il diniego della protezione umanitaria anche sull’accertamento della mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità personale, è conforme al principio secondo il quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. S.U. n. 29459 del 13/11/2019; Cass. n. 4455 del 23/02/2018): ciò perchè si è in presenza di un racconto non circostanziato e non credibile – come confermato dalla Corte territoriale – di guisa che non esiste alcuna possibilità di comparazione con la situazione in cui il richiedente aveva vissuto prima dell’allontanamento e che non è stata nemmeno ravvisata l’integrazione sociale. A ciò va aggiunto che la insussistenza dei presupposti accertata dal giudice del merito – e sostanzialmente confermata dal ricorrente – non trova una adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo di ricorso, formulato con riferimento alle condizioni generali del Paese di provenienza.

4. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva della controparte.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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