Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4829 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4829 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 1348-2009 proposto da:
COSMO

PUBBLICITA’

SRL

in persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 187, presso lo
studio dell’avvocato ANTONELLA LICATA E MASSIMO
GIORDANO, rappresentato e difeso dall’avvocato DI
TONNO CLAUDIO giusta delega a margine;
– ricorrente contro

COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI
GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato AVENATI

Data pubblicazione: 28/02/2014

FABRIZIO, che lo rappresenta e difende giusta delega a
margine;
controrícorrente nonchè contro

COMUNE DI ROMA DIPARTIMENTO VIII SERVIZIO AFFISSIONI &

– intimato –

avverso la sentenza n. 149/2007 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 22/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

PUBBLICITA’;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Comune di Roma emetteva, ex art 12, co 3, del d.lgs. n.
507 del 1993, due avvisi di accertamento, nei confronti della

relativa all’anno 1999, ritenendo parziale il versamento
effettuato. I ricorsi della contribuente, dopo esser stati riuniti,
venivano accolti dalla CTP di Roma, ma la decisione veniva, in
parte, riformata in appello, con la sentenza indicata in epigrafe,
dalla CTR del Lazio che, per quanto ancora interessa, riteneva
che: a) non era chiaro se la procedura di conciliazione fosse stata
assentita nè se la contribuente avesse ancora interesse a
coltivarla; b) l’imposta era dovuta per l’intero anno solare, in
base all’art. 12 del d.lgs. n. 507 del 1993, nel testo vigente
ratione temporis.
Avverso la suddetta sentenza, la Società contribuente
propone ricorso, in base a due motivi. Il Comune di Roma resiste
con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, deducendo “violazione e falsa
applicazione dell’art. 12 D.Lgs. 507/1973 ed errata motivazione”
la ricorrente afferma che il terzo comma dell’art 12 del d.lgs. n.
507 del 1973 consentiva, anche nel testo vigente ratione
temporis, l’applicazione della disciplina di cui al comma 2,
anche per le affissioni dirette, tenuto conto dell’interpretazione
sistematica dell’intera disciplina, che individua il sorgere

i

Società Cosmo Pubblicità S.r.l., per l’imposta sulla pubblicità

dell’obbligazione fiscale nell’effettiva diffusione del messaggio
pubblicitario, e non nella mera disponibilità dei mezzi
pubblicitari stessi. Peraltro, prosegue la ricorrente, in base alla

per le annualità precedenti l’anno 2000 dovevano essere
riconsiderati, restando, così, confermata la volontà dell’Ente di
applicare l’art 145, co 56, della L. n. 388 del 2000, anche per i
periodi ad essa precedenti. 2. Il motivo è infondato. A norma
dell’art. 12, co 3 del d.lgs. n. 507 del 1993, nel testo vigente
ratione temporis (1999) l’imposta dovuta per il caso, qui
ricorrente, di pubblicità effettuata mediante affissioni dirette,
anche per conto altrui, di manifesti e simili su apposite strutture
va calcolata “nella misura e con le modalità previste dal comma
1”, che reca le tariffe differenziate per metro quadro di superficie
occupata e per diverse classi di comuni, senza alcun riferimento
a periodi inferiori all’anno, in base alla disposizione generale
dell’art. 9, secondo cui l’imposta è, appunto, dovuta “per anno
solare”. 3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la
modifica dell’art 12, co 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, introdotta
dalla 1. n. 388 del 2000, art. 145, co 56, che, richiamando il
precedente comma due, ha consentito il pagamento a mese in
ipotesi di pubblicità di durata inferiore al trimestre, ha portata
innovativa e, quindi, è priva di efficacia retroattiva, dovendo poi,
ribadirsi che l’oggetto del tributo è costituito dal “mezzo
disponibile” e va rinvenuto nella potenzialità di uso degli

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delibera n. 42/01 del Consiglio Comunale, gli avvisi già emessi

impianti fissi e non già nell’attività di diffusione di messaggi
pubblicitari, come erroneamente affermato dalla ricorrente

(funditus Cass. n. 6446 del 2004, ed inoltre, cfr. Cass. n. 109 del

interpretazione non risulta smentita dall’invocata sentenza della
Corte Costituzionale n. 301 del 2000, secondo cui vanno
assoggettati ad imposta, ex art. 5 del d.lgs. n. 507 del 1993, solo
“i messaggi diffusi nell’esercizio di una attività economica allo
scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero
finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato”,
restando escluse le forme di propaganda di contenuto ideologico
effettuate senza fini di lucro (che qui non vengono,
pacificamente, in rilievo). 4. Quanto alla dedotta illegittimità
della pretesa impositiva per l’asserita violazione della delibera
del Consiglio Comunale n 42 del 2001, va osservato che
l’impugnata sentenza ha, al riguardo, rilevato che non constava
se la procedura di conciliazione disposta con la delibera invocata
fosse pervenuta a buon fine, dubitando, persino, dell’interesse
della contribuente a coltivarla, in ragione del costo della
transazione (45% dell’imposta più sanzioni ed interessi, con
pagamento entro trenta giorni dalla formulazione della proposta)
e del tenore delle difese. 5. L’esegesi della delibera del Comune,
operata dalla CTR in termini di procedura conciliativa finalizzata
ad una transazione, non è stata impugnata dalla ricorrente secondo cui la stessa avrebbe, invece, esteso alle annualità

3

2005; n. 21049 del 2007; n. 4783 del 2011). Tale condivisibile

antecedenti il 2000 la novella introdotta con la 1. n. 388 del 2000,
art. 145, co 56- né per vizio di motivazione nè per violazione dei
canoni ermeneutici, e non è stata corredata dai relativi quesiti di

corrispondente sub-motivo.
6. Col secondo motivo, la ricorrente la ricorrente lamenta
la “violazione e falsa applicazione dell’art 7 della 1. n. 212 del
2000 nonché omessa ed insufficiente motivazione”, sostenendo
che “la trasfusione negli atti impugnati dei soli estremi numerici
anno, tariffa, dimensioni degli impianti e sanzioni” non soddisfa
l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, tanto più in
riferimento alla previsione della citata delibera consiliare n.
42/01. 7. Anche questo motivo è inammissibile. L’impugnata
sentenza non ha affrontato la questione, di tal chè la ricorrente
avrebbe dovuto dedurne l’omesso esame, censurarlo con
l’afferente motivo di cui all’art 360, 1° co, n. 4, cpc, e corredarlo
col dovuto quesito di diritto. Ed infatti, questa Corte ha, più
volte, ribadito principio secondo cui la decisione del giudice di
secondo grado che non esamini e non decida un motivo di
censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile
per cassazione per omessa pronuncia su un motivo di gravame, e
non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto
decisivo della controversia e neppure per violazione di legge, in
quanto tali ultime censure presuppongono che il giudice di
merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e

4

fatto e di diritto, con conseguente inammissibilità del

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l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza
giustificarla, o non giustificandola adeguatamente (da ultimo
Cass. n.11801 del 2013).

seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano in € 1.700,00, di cui € 200,00, per spese, oltre
accessori.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014
Il Consigliere estensore

reside

8. Il ricorso va in conclusione rigettato. 9. Le spese

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