Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4828 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4828 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 27812-2008 proposto da:
COSMO PUBBLICITA’

SRL in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 187, presso lo
studio dell’avvocato LICATA ANTONELLA & GIORDANO
MASSIMO, rappresentato e difeso dall’avvocato DI
2019

TONNO CLAUDIO giusta delega a margine;
– ricorrente –

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contro

COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI
GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato AVENATI

Data pubblicazione: 28/02/2014

FABRIZIO, che lo rappresenta e difende giusta delega
a margine;
– controricorrente nonchè contro

COMUNE DI ROMA DIPARTIMENTO VIII SERVIZIO AFFISSIONI

– intimato –

avverso la sentenza n. 97/2007 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 27/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

PUBBLICITA’;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 97/21/07, depositata il 27.9.2007, la CTR
del Lazio, ha confermato la decisione con la quale la CTP di

Cosmo Pubblicità di Genova Giorgio & C. S.a.s.) nei confronti
del Comune di Roma, avverso l’avviso d’accertamento relativo
ad imposta sulla pubblicità per l’anno 2001, e sanzioni. Dopo
aver rigettato l’eccezione di decadenza biennale, di cui all’art. 10
del d.lgs. n. 507 del 1993, i giudici d’appello hanno ritenuto che
l’atto impositivo era motivato, essendo indicati i presupposti di
fatto e diritto, e l’imposta corretta, in relazione alla superficie
degli impianti.
La ditta contribuente ricorre per la cassazione della
sentenza con quattro motivi. Il Comune di Roma ha resistito
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e
falsa applicazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 507 del 1993 nonché
vizio di motivazione, per avere la CTR escluso che fosse
intervenuta decadenza dal potere impositivo. La ricorrente
afferma, infatti, che ove la domanda di riordino da lei presentata
in data 30.12.1996, a seguito della delibera del Comune n.
254/95, venga “considerata dichiarazione di pubblicità, (essa) si
è rinnovata al 30/12 di ogni anno” e pertanto, alla data del
29/1/2003, di notifica dell’avviso, il termine biennale era

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Roma aveva respinto il ricorso della S.r.l. Cosmo Pubblicità (già

ampiamente decorso, dovendo il relativo dies a quo esser
individuato, ex art 8 del d.lgs. n. 507 del 1993, al momento del
sorgere dell’obbligo della dichiarazione.

falsa applicazione degli artt. 8 e 23 del d.lgs. n. 507 del 1993,
nonché vizio di motivazione, evidenziando che, nel caso in cui
l’istanza di riordino non venga considerata come dichiarazione
di pubblicità, l’avviso doveva ritenersi, ugualmente, tardivo ed
“il Collegio andando oltre il dedotto” aveva affermato che il dies
a quo del termine di decadenza doveva essere da lei dimostrato.
3. I motivi, che, per la loro connessione, vanno esaminati
congiuntamente, sono inammissibile il primo ed infondato il
secondo. 4. L’impugnata sentenza, come del resto riconosce la
ricorrente (cfr. pagg. 8 e 10 del ricorso), ha espressamente
ritenuto non valida quale dichiarazione di pubblicità
“l’autodenuncia” effettuata nell’ambito della procedura di
riordino, sicchè il primo motivo non coglie la ratio decidendi
dell’impugnata sentenza (l’argomento, in essa contenuto,
secondo cui il dies a quo decorrerebbe dal 31 gennaio successivo
all’annualità di riferimento è svolto ad abundantiam). 5. La
lamentata extrapetizione, dedotta col secondo, resta esclusa per
esser la questione della decadenza stata introdotta nel dibattito
processuale su eccezione della stessa contribuente, ed i profili
relativi al vizio motivazionale sono inammissibili perché non
ulteriormente specificati, ricadenti su profili di diritto (regime

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2. Col secondo motivoi la ricorrente lamenta violazione e

della decadenza) e privi del c.d. quesito di fatto. 6. Va, quindi,
osservato che, come correttamente affermato dalla CTR, un utile
rilievo della decadenza implica per il contribuente la

dichiarazione, oltre due anni prima della notifica
dell’accertamento: il termine biennale inizia, infatti, il suo
decorso al momento del sorgere dell’obbligo della dichiarazione,
che l’art. 8, co 1, del d.lgs. n. 507 del 1993 fissa appena “prima
di iniziare la pubblicità”, senza che possa invocarsi, ai fini in
esame, il quarto comma del medesimo art. 8 -secondo il quale, in
ipotesi di omessa dichiarazione, la pubblicità si presume
effettuata in ogni caso “con decorrenza dal primo gennaio
dell’anno in cui è stata accertata”- che attiene, esclusivamente,
alla misura del tributo che il contribuente è tenuto a versare
(Cass. n.14483 del 2003; n. 5486 del 2008; n. 15449 del 2010).
7. Col terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 7 della L n. 212 del 2000, per avere la
CTR affermato la sussistenza della motivazione senza esplicitare
gli “elementi essenziali rilevati negli atti grazie ai quali l’onere
della motivazione sarebbe stato assolto”. In conclusione, la
ricorrente formula il seguente quesito “accerti la Corte se nel
caso di specie in considerazione vi è stata violazione dell’art 7 L
212/2000 nonché violazione dell’art 132 n. 4 cpc ed enunci il
principio di diritto nell’interesse della legge”.
8. Col quarto mezzo si deduce il vizio di “omessa e

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dimostrazione che la pubblicità sia stata intrapresa, in assenza di

contraddittoria motivazione in relazione alla violazione dell’art 7
D.Lgs. 507/93”, per avere la CTR aderito “supinamente” alla tesi
avversaria secondo cui la cornice va ricompresa nella superficie

9. I motivi, da valutarsi congiuntamente, per comodità
espositive, sono entrambi inammissibili, per violazione dell’art
366 bis cpc, applicabile ratione temporis. In base a tale norma, la
censura con cui si deduce un vizio ex art. 360, 1° co, numeri 1, 2,
3 e 4, cpc deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un
quesito di diritto, finalizzato all’enunciazione del principio di
diritto, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5
dell’art. 360 cpc, è richiesta l’esposizione chiara e sintetica del
fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume
rispettivamente, omessa, contraddittoria, o inidonea a giustificare
la decisione (cfr. Cass. n. 4556 del 2009). 10. In particolare, è
stato ritenuto che, assolvendo alla funzione di integrare il punto
di congiunzione tra la soluzione del caso specifico e
l’enunciazione del principio giuridico generale, il quesito non
può essere generico o teorico, nè può consistere in una semplice
richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello
della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione
di principio o della censura così come illustrata nello
svolgimento del motivo, ma deve essere calato nella fattispecie
concreta, onde far comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore
asseritamente compiuto dal giudice di merito e la regola

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imponibile ad eccezione che per i cartelli che misurano 18 mq.

t SENTE DA 19′.7014 STRAZIONE
Al SENSI DEL P:: 2′..:t11984
– N. 5
I•1, 131
MATERIA TRIBUTARIA

applicabile (Cass. n. 3530 del 2012) 11. Il quesito formulato a
conclusione del terzo motivo non solo è generico, ma, pure,
confonde la motivazione dell’atto impositivo con la motivazione

requisiti di validità dell’atto impositivo in riferimento alla
motivazione, che costituisce un’indagine demandata al giudice
del merito ed è inammissibile in questa sede di legittimità. 12. Il
vizio di motivazione, dedotto col quarto motivo, è totalmente
privo dell’indicazione del fatto controverso e difetta pure di
autosufficienza non avendo la ricorrente neppure provveduto a
trascrivere, per intero, l’atto d’accertamento.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come
da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano in € 1.700,00, di cui € 200,00, per spese, oltre
accessori.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014. /

della sentenza, ed invoca una richiesta di valutazione dei

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