Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4827 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4827 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 16018-2008 proposto da:
COSMO PUBBLICITA’

SRL in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA GERMANICO 24, presso lo studio
dell’avvocato SCAVUZZO GIUSEPPE, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ROSTELLI LUCIANA
giusta delega a margine;
– ricorrente contro

COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI
GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato RAIMONDO

Data pubblicazione: 28/02/2014

ANGELA, che lo rappresenta e difende giusta delega a
margine;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 51/2007 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 18/04/2007;

udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 51/20/07, depositata il 18.4.2007, la CTR
del Lazio ha confermato la sentenza con la quale la CTP di

Cosmo Pubblicità di Genova Giorgio & C. S.a.s.) nei confronti
del Comune di Roma, avverso svariati avvisi d’accertamento
relativi ad imposta sulla pubblicità, per l’anno 1999, e sanzioni.
Dopo aver ritenuto ammissibili le difese svolte dal Comune,
dopo la sua costituzione in giudizio, la CTR ha rilevato che
l’appello si limitava a riproporre parte degli argomenti trattati in
primo grado, ed ha, perciò, ritenuto non adempiuto l’onere di
specificazione dei motivi, con conseguente inammissibilità
dell’impugnazione.
La S.r.l. Cosmo Pubblicità ha proposto ricorso per la
cassazione della sentenza, in base a sei motivi. Il Comune di
Roma ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col terzo motivo, che va esaminato con priorità perché a
carattere assorbente, la ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche alla
luce degli artt. 29 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 104 cpc, per avere
l’impugnata sentenza ritenuto omessa la specificazione dei
motivi d’appello, nonostante gli stessi fossero stati elencati in
seno alla medesima decisione. In conclusione la ricorrente
formula il seguente quesito di diritto “Dica l’Ecc.ma Corte adita

i

Roma aveva respinto il ricorso della S.r.l. Cosmo Pubblicità (già

se l’indicazione puntuale nell’appello, deducendosi all’uopo
specifici motivi d’impugnazione, delle norme di legge ritenute
violate dalla sentenza appellata risponda o meno a quanto

dell’appello”.
2. La doglianza è inammissibile per violazione dell’art 366
bis cpc, applicabile ratione temporis. 3. In base a tale norma, la
censura con cui si deduce un vizio ex art. 360, 1° co, numeri 1, 2,
3 e 4, cpc deve tradursi, all’esito della sua illustrazione, in un
quesito di diritto che assolve alla funzione di integrare il punto di
congiunzione tra la soluzione del caso specifico e l’enunciazione
del principio giuridico generale: il quesito non può, dunque,
essere generico o teorico, nè può consistere in una semplice
richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello
della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione
di principio o della censura così come illustrata nello
svolgimento del motivo, ma deve essere calato nella fattispecie
concreta, onde far comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore
asseritamente compiuto dal giudice di merito e la regola
applicabile (Cass. n. 3530 del 2012) 4. Il quesito formulato a
corredo della censura non rispecchia tali criteri: la ricorrente,
senza neppure indicare il parametro, tra quelli indicati nell’art.
360 cpc, in riferimento al quale la ha dedotta, si limita a
formulare un mero interpello, la cui risposta non consentirebbe
di risolvere il caso sub iudice (cfr. Cass. SU n. 28536 del 2008).

2

stabilito dall’art. 53 D.Lgs 546/92 in termini di c.d. ‘specificità’

ESENTE DA ?.TRAZIONE
Al SENSI DEL rp. -.1A. 2(4/1986
N. 131 l’Ah. ALL. ìs. – N. 5

TRADUTARIA

5. Ad abundantiam, va rilevato che la ricorrente muove dal
presupposto secondo cui l’atto d’appello conterrebbe motivi
“specifici”, al contrario di quanto ritenuto, al riguardo, dal

puramente accademici, e non già che non ne fossero stati
enunciati, come implicitamente, ed erroneamente, denuncia la
ricorrente, laddove deduce che ne erano stati esposti ben sei), ed
omette, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso
per cassazione, di trascrivere i passi salienti dell’appello e della
decisione di primo grado, in riferimento alla quale la valutazione
circa la contestata genericità dei motivi dovrebbe esser compiuta,
con ulteriore profilo d’inammissibilità.
5. Il rigetto del motivo priva la ricorrente d’interesse
all’esame degli altri, essendo divenuta definitiva la statuizione
d’inammissibilità dell’appello, emessa dalla CTR, ed il
passaggio in giudicato della decisione di primo grado.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come
da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano in € 1.700,00, di cui € 200,00, per spese, oltre
accessori.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014.

giudice d’appello (che ha affermato che i motivi erano

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