Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4825 del 15/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 15/02/2022, (ud. 22/12/2021, dep. 15/02/2022), n.4825

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12682/2012 R.G. proposto da:

Master Club 1991 s.a.s. di B. E., in persona del legale

rappresentante pro tempore, B.E. e

B.G. e B.R., tutti rappresentati e difesi dall’avv.

Giulio Nicola Nardo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.

Bruno Sassani, sito in Roma, via XX Settembre, 3;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale della

Calabria, n. 400/01/11, 401/01/11, 402/01/11, 403/01/11, 404/01/11,

405/01/11, 406/01/11, 407/01/11, 408/01/11, 409/01/11, 410/01/11 e

411/01/11, tutte depositate il 21 novembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 dicembre

2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– la Master Club 1991 s.a.s. di B. E., B.E. e B.G. e B.R. propongono ricorso per cassazione avverso diverse sentenze della Commissione tributaria regionale della Calabria, tutte depositate il 21 novembre 2011, di reiezione degli appelli dai medesimi propositi avverso le sentenza di primo grado che avevano respinto i loro ricorsi per l’annullamento degli avvisi di accertamento con cui erano state rettificate le dichiarazioni rese dalla società per gli anni 2003, 2004 e 2005 e delle cartelle notificate agli altri ricorrenti, nella qualità di soci della stessa, per i maggiori redditi di partecipazione accertati;

– il giudice di appello ha disatteso gli appelli dei contribuenti evidenziando che la sostanziale inadeguatezza della contabilità giustificava il ricorso all’accertamento analitico-induttivo operato dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e che immune da censure era la ricostruzione del costo del venduto e dei ricavi effettuata con gli atti impositivi;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– con nota del 16 ottobre 2012 quest’ultima ha chiesto dichiararsi l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere limitatamente ai ricorsi proposti avverso le sentenze nn. 406/01/11, 407/01/11, 408/01/11, a seguito di definizione agevolate dalle relative liti, evidenziando che il contribuente ( B.G.) aveva provveduto al versamento di quanto dovuto;

– i ricorrenti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– non sussistono i presupposti per la trattazione in pubblica udienza chiesta in memoria, avuto riguardo alla natura delle questioni in oggetto;

– sulla base del contenuto della richiamata nota dell’Agenzia e della documentazione ad essa allegata, attestante l’avvenuta definizione agevolata della lite, il giudizio relativo all’impugnazione delle sentenze nn. 406/01/11, 407/01/11, 408/01/11, deve essere dichiarato estinto, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 46, comma 1, per sopravvenuta cessazione della materia del contendere sui rapporti tributari controversi;

– quanto all’impugnazione delle altre sentenze, con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), per aver il giudice d’appello avrebbe erroneamente applicato la norma, comma 2, ammettendo la legittimità di un accertamento induttivo nonostante l’attendibilità della dichiarazione;

– il motivo è inammissibile, poiché non si confronta con le statuizioni delle sentenze, in cui si legge che, di là dalla formale regolarità della contabilità, questa era in realtà “tutt’altro che regolare e lasciava capire che i ricavi dichiarati erano inadeguati”, costituendo il presupposto per l’accertamento analitico-induttivo (e non già induttivo), in conformità all’orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di accertamento del reddito di impresa, anche in presenza di scritture formalmente corrette, ove la contabilità possa considerarsi complessivamente inattendibile, è legittimo il ricorso al metodo analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di elementi che consentano di accertare, in via presuntiva, maggiori ricavi, che possono essere determinati calcolando la media aritmetica o quella ponderata dei ricarichi sulle vendite (tra varie, cfr. Cass. n. 8923/18);

– parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 54 e 55, in relazione al metodo di calcolo della percentuale di ricarico, perché la percentuale sarebbe stata determinata in via meramente presuntiva, prescindendo dalle quantità vendute per ciascuno dei prodotti, qualitativamente diversi e con prezzi differenti;

– anche questa censura, infatti, non si confronta con le statuizioni delle sentenze impugnate, in cui si legge che i verbalizzanti hanno analizzato per gli anni d’imposta in questione gli importi complessivi delle merci acquistate destinate alla vendita e calcolato la percentuale d’incidenza delle varie categorie merceologiche sul totale e hanno, poi, applicato a una campionatura rappresentativa dei prezzi di acquisto delle merci e degli importi spesi le percentuali di ricarico utilizzate per le categorie di merci trattate, ottenute dal confronto tra i prezzi di acquisto e quelli di vendita al pubblico, come da listini, tenendo conto sia delle percentuale d’incidenza sul totale delle merci vendute, sia delle percentuali di ricarico sulle stesse merci;

– quanto, poi, alla rappresentatività del campione di un anno in relazione agli altri anni, e alla doglianza relativa all’irrilevanza, ai fini del giudizio di rappresentatività, del fatto che la parte abbia assistito alle operazioni di verifica, i ricorrenti svalutano che, giusta quanto riferito in sentenza, il rappresentante legale della società, lungi dall’assistere passivamente alla verifica, ha dichiarato che “…l’attività segue un andamento costante per ciò che riguarda gli approvvigionamenti di merci e per quanto riguarda i prezzi praticati al pubblico…”;

– inammissibile e’, infine, anche il terzo motivo di ricorso, col quale società e soci, nel dedurre il vizio d’insufficiente motivazione delle sentenze, non fanno leva su alcun fatto storico idoneo a orientare diversamente la decisione;

– il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il giudizio relativo all’impugnazione delle sentenze nn. 406/01/11, 407/01/11, 408/01/11 estinti per cessazione della materia del contendere; rigetta, per il resto, il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

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