Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4823 del 01/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4823 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: FALASCHI MILENA

ORDINANZA

sul ricorso 16118-2015 proposto da:
AMMINISTRAZIONE CONDOMINIALE DI VIA SAN MARCO
n. 22 CASALNUOVO DI NAPOLI (NA), in persona dell’
amministratore pro tempore, QMMINELLA LUIGI, QMMINELLA
MARIANNA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E.
FABRETTI, n. 8, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO BOVE,
rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO CUNDARI;
– ricorrenti contro

BORZACCHIELLO

GENNARO,

BORZACCHIELLO

MICHE LINA, BORZACCHIELLO GIUSEPPINA, QMMINELLA
SALVATORE, CORTESE MARIA, LEONE DOMENICO,
QMMINELLA PASQUALE, QMMINELLA VINCENZA,
QMMINELLA LUIGIA;

Data pubblicazione: 01/03/2018

- intimati –

avverso la sentenza n. 1678/2015 della COR1E D’APPELLO di
NAPOLI, depositata il 13/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 07/07/2017 dal Consigliere Dott. MILENA

FALASCHL

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con atto notificato il 29 agosto 2002 Gennaro Borzacchiello evocava il

Condominio via San Marco n. 22 ed i condomini che lo componevano,
dinanzi al Tribunale di Nola, onde sentire accertare la comproprietà anche in
suo favore del cortile comune, con conseguente nullità della costituzione del
condominio in questione, creato per la relativa gestione, nonchè delle delibere
dallo stesso adottate, con conseguente rimessione in pristino dello stato dei
luoghi.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del solo Condominio e dei
condomini Luigi e Marianna Cimminella, che chiedevano, in via
riconvenzionale, l’accertamento dell’inesistenza del diritto di comproprietà

dell’attore, il giudice adito, con sentenza n. 2466 del 2007, accoglieva le
domande dell’attore.
In virtù di rituale impugnazione interposta dal Condominio Via San Marco 22

e dai Cimminella. la Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 1678 del
2015, in parziale accoglimento del gravame e in parziale riforma della

decisione di primo grado, respingeva la sola originaria domanda di rimessione
in pristino, mentre confermava per la restante parte le statuizioni del primo
giudice.

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Il Condominio via San Marco 22 ed i Cimminella hanno proposto ricorso per
cassazione avverso la decisione della Corte distrettuale, sulla base di due
motivi.
Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.
Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità

nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5),
c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore di parte
ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha anche depositato

memoria illustrativa.

Atteso che:
il primo e il secondo motivo di ricorso (con i quali i ricorrenti deducono la
violazione e falsa applicazione degli artt. 818, 922, 1117, 1325, 1346, 1362,
1364 e 1371 c.c., nonchè contraddittoria motivazione circa un fatto

controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’interpretazione
dell’atto pubblico per Notaio Vignola del 4 giugno 1942 e del testamento del 7

maggio 1938 accolta dalla corte territoriale,) possono essere trattati
congiuntamente, stante la loro stretta connessione. Essi sono inammissibili.
In primo luogo, occorre osservare – in conformità ad una giurisprudenza più
che consolidata di questa Corte regolatrice — che il procedimento di
qualificazione di un contratto consta di due fasi, la prima delle quali,
consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei
contraenti, è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice del merito, il
cui risultato è sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in
relazione ai canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss.
c.c. (cfr., Cass. 15 ottobre 2001 n. 12158). La seconda, per contro,
concernente l’inquadramento della comune volontà, come accertata, nello
schema legale corrispondente, si risolve nell’applicazione di norme giuridiche,
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e, pertanto, può formare oggetto di verifica e di riscontro in sede di legittimità
sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie
legale, sia per ciò che riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto
come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle
implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel

paradigma normativo.
Deriva, da quanto precede, pertanto, che il sindacato di legittimità può essere
utilmente sollecitato sui criteri astratti, generali e tecnici applicati dal giudice
del merito ai fini della qualificazione giuridica del contratto (per tutte, cfr.,
Cass. 20 gennaio 2003 n. 732).
Pacifico quanto precede, si osserva, che i giudici di merito hanno ricostruito la
volontà delle parti, in sede di predisposizione dell’atto pubblico del 4 giugno
1942, nonché del de cuius con riferimento al testamento del 7 maggio 1938,

facendo riferimento al contenuto dei summenzionati atti, in particolare alla
clausola, presente nel negozio del 1942, che prevede la cessione di “tutte le

azioni, comunioni e diritti su tutti i cortili come da titoli di provenienza, niente
escluso ed eccettuato”, nel senso che le stesse avevano ritenuto di lasciare in
regime di comunione tutti gli spazi adibiti a cortili e un tale accertamento non
è in alcun modo validamente censurato dai ricorrenti.
Questi, infatti, lungi dal dedurre che la motivazione che sorregge la
conclusione fatta propria dai giudici a quibus non consente in alcun modo la
ricostruzione dell’iter logico seguito da quei giudici per giungere ad attribuire
agli atti negoziali un determinato contenuto, o dal prospettare violazione delle
norme ermeneutiche, si limitano ad opporre alla valutazione delle emergenze
di causa compiuta dai giudici del merito, una propria, diversa, valutazione di
quelle stesse circostanze e la denunzia, pertanto, esula, palesemente, dal
modello di cui agli artt. 360 n. 5, nella nuova formulazione, ratione temporis
applicabile, e 366 n. 4 c.p.c. (cfr. Cass. 20 gennaio 2003 n. 732 cit. e Cass. 14

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luglio 2016 n. 14355), non riprodotto nel ricorso neanche il contenuto del
testamento del 1938 pure invocato.
Le censure, infine, neanche deducono un fatto decisivo, lamentando i
ricorrenti, nella sostanza, semplicemente la valutazione delle risultanze
istruttorie e dei fatti di causa effettuata dalla corte territoriale, inammissibile in

Ciò posto, si osserva che i motivi di ricorso non superano neanche lo scrutinio
di ammissibilità di cui all’art. 360 bis, primo comma, n. 1, c.p.c., da svolgersi
(relativamente ad ogni singolo motivo) con riferimento al momento della
decisione (Cass., Sez. Un. n. 7155 del 2017), atteso che la condizione di
ammissibilità del ricorso, indicata nella citata disposizione processuale, non è
integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto
con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le
decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda (cfr. Cass.
n. 3142 del 2011 e Cass. n. 19190 del 2017). Lo stesso, infatti, è da ritenere
manifestamente infondato, limitandosi a menzionare altri precedenti e principi
di diritto (sull’interpretazione degli atti negoziali), ma omette del tutto
qualsivoglia confronto critico proprio con la giurisprudenza di questa Corte
relativa al caso specifico, e ciò rende inammissibile il ricorso ai sensi dell’art.
360-bis, n. 1 c.p.c., per come (re)interpretato dal recente arresto di Cass. S. U.
n. 7155 del 2017 cit..
Nulla per le spese in difetto di attività difensiva da parte degli intimati.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è
rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R 30
maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del
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questa sede.

ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 7
luglio 2017.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

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