Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4822 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. I, 28/02/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 28/02/2011), n.4822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. BERRUTTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.D. (c.f. (OMISSIS)), G.G.

(C.F. (OMISSIS)), G.P. (C.F.

(OMISSIS)), in proprio e nella qualità di eredi di

R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

LUDOVISI 35, presso l’avvocato COZZI ARIELLA, rappresentati e difesi

dall’avvocato BALDASSINI ROCCO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositato il

11/07/2008; n. 98/08 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.D., G.G., G.P., tutti in proprio e nella qualità di eredi di R.A., convenivano dinanzi alla Corte d’Appello di Campobasso il Ministero della Giustizia chiedendone la condanna al risarcimento del danno per la violazione del termine ragionevole di durata di un processo civile, iniziato dinanzi al Pretore di Avezzano in data 21.5.1985.

Esponevano, gli istanti, a sostegno della domanda, che la loro dante causa R.A., in data 21.5.1985, aveva proposto opposizione alla domanda di R.D. diretta ad ottenere la declaratoria di usucapione di piccola proprietà rurale ai sensi della L. n. 346 del 1976; che solo dopo numerosi rinvii ed alterne vicende processuali il Pretore adito, con sentenza del 3.6.1993, aveva dichiarato la propria incompetenza per valore, indicando quale giudice competente il Tribunale di Avezzano; che la causa, riassunta dinanzi a detto giudice con comparsa notificata il 5.10.1993, dopo ulteriori rinvii, in data 29.1.1999 era stata assegnata alla sezione stralcio; che erano seguiti ulteriori rinvii, cui seguiva l’interruzione della causa per decesso di una delle parti e la riassunzione con ricorso depositato il 12.4.2000; che la causa era stata poi decisa con sentenza depositata in cancelleria il 12.11.2005; che detta sentenza era stata impugnata da R. D., con atto depositato il 10.4.2006 presso la Corte d’Appello di L’Aquila, processo tuttora pendente.

Con decreto in data 8.7,2008, la Corte d’Appello di Campobasso, pur avendo accertato la sussistenza di un ritardo irragionevole di anni 13, mesi 9 e giorni 13, rigettava la domanda di equa riparazione sul rilievo che i numerosi rinvii richiesti deponevano per un non interesse dei ricorrenti alla pronta definizione della causa presupposta, con conseguente inesistenza di un danno non patrimoniale.

Avverso detto provvedimento G.D., G. e P. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti denunciano violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2. Contestuale violazione e mancata applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227, 2056 del codice civile. Contestuale violazione e mancata applicazione dell’art. 6 parag. 1 e dell’art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.. Omessa, insufficiente, illegittima e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Contestuale contraddittorietà della motivazione, art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento alla consolidata giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo sull’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti Umani, sulla non necessità della prova del danno non patrimoniale, sull’esistenza in se del danno non patrimoniale e sull’irragionevole divario con i parametri della stessa corte europea. Violazione dell’art. 2967 c.c..

Censurano i ricorrenti il decreto impugnato:

1) per avere la Corte di merito riconosciuto, da una parte, che il ritardo di anni 13, mesi 9 e giorni 13 era dipeso “da una serie di problemi organizzativi di carattere generale, ai quali lo Stato italiano avrebbe dovuto far fronte ed invece non ha fatto fronte con la dovuta tempestività ed efficacia” e per avere, dall’altra, esclusa la esistenza di un danno non patrimoniale considerando fatto sintomatico della sua inesistenza la richiesta di numerosissimi meri rinvii, che porterebbero a ritenere la mancanza di un effettivo interesse alla pronta definizione del giudizio, non tenendo conto, così, dei criteri giurisprudenziali che escludono l’esistenza del danno soltanto nella ipotesi della integrale e consapevole infondatezza della pretesa azionata;

2) per avere riconosciuto come ritardo non ragionevole il ritardo di anni 13, mesi 9 e giorni 13 piuttosto che prendere in considerazione la durata complessiva del giudizio di anni 23 e, comunque, per avere ritenuto addebitabili ai ricorrenti anche i rinvii richiesti da altre parti o dovuti a legittimi impedimenti, mentre avrebbe dovuto escludere gli stessi dall’addebito del ritardo e, comunque, avrebbe dovuto limitare l’addebitabilità al periodo di rinvio ragionevole fissato dalla stessa giurisprudenza nella misura di mesi tre per rinvio;

3) per avere tratto argomenti di prova della inesistenza del danno dalle cosiddette “regressioni” del processo piuttosto che ritenere le stesse addebitabili al sistema processuale nell’ambito del quale le declaratorie relative alle preclusioni temporali e processuali e/o comunque la determinazione della durata dei rinvii spetta al titolare del procedimento.

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.

Come più volte chiarito da questa Suprema Corte il danno non patrimoniale, in tema di equa riparazione, è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo presupposto, onde, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa”, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente, come nella ipotesi di piena consapevolezza, in capo alla parte, della inammissibilità o infondatezza delle proprie istanze e, comunque, in tutte le ipotesi nelle quali il protrarsi del giudizio risponde ad uno specifico interesse della parte stessa, situazioni, queste, non ricorrenti nel caso di specie (cfr. per tutte cass. n. 6999 del 2006).

Devesi osservare, altresì, che contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole (cfr. cass. n. 3716 del 2008; cass. n. 14 del 20008).

Il ricorso, pertanto, deve essere accolto, il decreto impugnato deve essere cassato e la causa deve essere rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Campobasso in diversa composizione, che per il giudizio si uniformerà ai principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Campobasso in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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