Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4821 del 11/03/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4821 Anno 2016
Presidente: ARIENZO ROSA
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 21646-2014 proposto da:
CASSAR LUANA, elettivamente domiciliata in RONL\, VIALE
MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO
EMILIO ABBATE, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GIOVAMBATTISTA FERRIOLO giusta procura a
margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

)513
JG

controricorrente

Data pubblicazione: 11/03/2016

avverso la sentenza n. 8701/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 31/10/2012, depositata il 09/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato Roda Ranieri (delega verbale) difensore della

P.U..
FATTO E DIRITTO
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma il Ministero
della Giustizia proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui lo
stesso Tribunale gli aveva ingiunto di pagare, in favore della sua
dipendente, Cassar Luana, somme a titolo di compenso aggiuntivo per
due festività di cui alla legge n. 26011949 – come modificata dalla legge
n. 90/1954 -, e cioè per le festività civili del 25 aprile 2004 e del 10
maggio 2005, coincidenti con la domenica. Il Tribunale accoglieva
l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. A seguito di impugnazione
da parte della lavoratrice, la Corte di appello di Roma confermava la
pronuncia di primo grado. Valorizzava la Corte territoriale lo ius
superveniens, costituito dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266, che,

all’art. 1, comma 224, ha stabilito, che: “Tra le disposizioni riconosciute
inapplicabili dall’articolo 69, comma 1, secondo periodo, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a seguito della stipulazione dei
contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, è ricompreso l’articolo 5,
terzo comma, della legge 27 maggio 1949, n. 260, come sostituito
dall’articolo 1 della legge 31 marzo 1954, n. 90, in materia di
retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. È fatta
salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore
della presente legge”. Attribuiva a detta norma natura interpretativa e
riteneva che la stessa fosse, con riguardo al caso di specie, risolutiva in
quanto da considerarsi riferibile all’intero ambito applicativo del
Rtc. 2014 n. 21646 sez. ML – ud. 23-02-2016
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ricorrente che si riporta agli scritti e chiede la trattazione del ricorso in

trattamento economico previsto dall’art. 5 della legge n. 269/1949, ivi
comprese le estensioni di tale ambito disposte dall’art. 2 della legge n.
90/1954. Richiamava la decisione della Corte costituzionale n. 146 del
16 maggio 2008 che aveva dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale del suddetto art. 1, co. 224, della legge n.
266/2005 anche in considerazione della sussistenza di una

privato. Escludeva, inoltre, ogni contrasto con l’obbligo introdotto dalla
CEDU di “non esercitare un’ingerenza normativa finalizzata ad ottenere
una determinata soluzione delle controversie in corso, salvo che
l’intervento retroattivo sia giustificato da motivi imperiosi di carattere
generale”.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione Cassar
Luana, con tre motivi di impugnazione.
li Ministero resiste con controricorso.
Con i motivi di ricorso viene denunciata la violazione e/o falsa
applicazione della legge n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, posta
questione di costituzionalità di tale norma e formulata richiesta di
quesito interpretativo alla Corte di Giustizia, CE, ex art. 234 del Trattato
CE.
I motivi, da trattarsi congiuntamente, in ragione della intrinseca
connessione, sono manifestamente infondati.
La Corte territoriale ha correttamente applicato lo jus supen/eniens
costituito dall’ari 1, Gomma 224, della legge n. 266 del 2005, norma
che, laddove dispone che l’art. 5, terzo comma, della legge n. 260 del
1949, come successivamente modificato, è una fra le disposizioni
divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi
del quadriennio 1994/1997, ai sensi dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n.
165 del 2001, ha escluso, con portata retroattiva (e dunque non con
effetti solo per il futuro), il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un
compenso aggiuntivo, in caso di coincidenza con la festività della
domenica. In tali termini questa Corte si è già più volte pronunciata. Si
vedano, infatti, Cass. 5 aprile 2011, n. 7740, Cass. 25 febbraio 2011, n.
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differenziazione tra la disciplina del lavoro pubblico rispetto a quello

4661, Cass. 27 ottobre 2009, n. 22653, Cass. 17 giugno 2009, n. 14048,
Cass. 22 febbraio 2008, n. 4667, con le quali si è evidenziato che la
suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi
sull’ambito dell’inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda
tornata di contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, è
qualificabile come norma di interpretazione autentica, siccome fatto

formatisi anteriormente alla sua entrata in vigore. E’ stato anche
rimarcato, con l’espresso richiamo alla pronuncia della Corte
costituzionale n. 146 del 16 maggio 2008 (così Cass. n. 7740/2011,
Cass. n. 4661/2001, Cass. n. 14048/2009 citate), come i dubbi di
legittimità costituzionale, prospettati sotto il profilo della pretesa
violazione del principio di uguaglianza, sono privi di fondamento.
Sulla questione, a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte
n. 1040 del 20 gennaio 2014 – resa in un giudizio nel quale, come nel
presente, si sosteneva che l’efficacia retroattiva dell’art. 1, comma 224,
della legge n. 266/2005 non appariva giustificata, sul piano
costituzionale, da una finalità realmente interpretativa della disposizione
stessa, la quale attribuisce alla norma interpretata (il d.lgs. 30 marzo
2001, n. 165, art. 69, comma 1, secondo periodo) non già uno dei
significati possibili bensì un significato del tutto nuovo e si poneva,
altresì, il problema che la detta retroattività avrebbe violato il divieto di
ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia,
influendo sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso (art.
117 Cost., comma 1 e 6 CEDU), ledendo l’autonomia e indipendenza
della magistratura (art. 104 Cost.) ed il principio di imparzialità della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) -, è tornata la Corte
costituzionale. Nella recente decisione n. 150 del 14 luglio 2015, il
Giudice delle leggi ha definitivamente fugato ogni dubbio di
costituzionalità e di contrasto con il giusto ed equo processo e con i
connessi principi della “parità delle armi” e della certezza del diritto (art.
6 CEDU) affermando che: “l’intervento interpretativo del legislatore non
solo non contrasta con il principio di ragionevolezza (sentenza n.
209 del 2010), escluse da questa Corte già nella sentenza n. 146 del
2008 in considerazione della peculiarità del regime del rapporto di
lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni delineato dal
d.lgs. n. 165 del 2001 e dai contratti collettivi ivi richiamati, ma neppure
determina una lesione dell’affidamento. Il testo originario rendeva, sin

che i destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare
(sentenza n. 170 del 2008), coerente con i principi ai quali è informato il
rapporto di lavoro pubblico. Né si ravvisa una lesione delle attribuzioni
del potere giudiziario. La norma in esame, infatti, avendo natura
interpretativa, ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potestà
di giudicare, limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di
decisione cui l’esercizio di tale potestà deve attenersi, definendo e
delimitando la fattispecie normativa oggetto della medesima (sentenza
n. 170 del 2008), proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza
dell’ordinamento giuridico (sentenza n. 209 del 2010)”.
Si propone, pertanto, il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi
dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ.”.
2 – Tanto premesso, questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto
e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del
tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in
materia e non scalfite dalla memoria con la quale la ricorrente si limita a
richiamare alcune decisioni della Corte Europea (così, tra le altre, la
sentenza n. del 31 maggio 2011 nella causa Maggio ed altri c. Italia; la
sentenza del 7 giugno 2011 nella causa Agrati ed altri c. Italia; la
sentenza del 14 febbraio 2012 nella causa Arras ed altri c. Italia) che
hanno considerato emesse in violazione dell’art. 6 della CEDU norme di
interpretazione autentica che pure avevano superato il vaglio di
legittimità costituzionale da parte del giudice delle leggi.
Del resto ogni vicenda va contestualizzata ed anche l’ipotizzato
pregiudizio in ragione dell’inutilità di proseguire una lite a causa della

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dall’inizio, plausibile, come si è già rilevato, una lettura diversa da quella

sopravvenuta normativa va rapportato allo specifico interesse generale
sotteso all’intervento legislativo.
Nel caso in esame non sono stati offerti argomenti ulteriori rispetto a
quelli già vagliati dalla stessa Corte costituzione nella sopra citata
sentenza n. 150 del 14 luglio 2015 nella parte in cui è stato escluso
ogni contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi

In tale decisione si è, infatti, precisato: – che «al legislatore non è […1
precluso di emanare […] norme retroattive (sia innovative che di
interpretazione autentica), “purché la retroattività trovi adeguata
giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse
generale ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU” (sentenza n.
264 del 2012)» (sentenza n. 156 del 2014; così anche, ex plurimis,
sentenze n. 78 del 2012, n. 15 del 2012); – che ciò accade allorquando
una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire
situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un
dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un’interpretazione più
aderente all’originaria volontà del legislatore (sentenza n. 311 del 2009;
così anche Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 23 ottobre
1997, National & Provincial Building Society ed altri contro Regno
Unito), nonché di riaffermare l’intento originale del Parlamento (Corte
europea dei diritti dell’uomo, sentenza 27 maggio 2004, OGiS-Institut
Stanislas e altri contro Francia) a tutela della certezza del diritto e
dell’eguaglianza dei cittadini; – che l’art. 1, comma 224, della legge n.
266 del 2005, nell’escludere l’applicabilità ai lavoratori pubblici della
norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel
caso in cui le festività ricorrano di domenica, all’indomani della
stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non ha
fatto altro che dare attuazione ad uno dei principi ispiratori dell’intero d.
Igs. n. 165 del 2001 (inapplicabilità «delle norme generali e speciali del
pubblico impiego», a seguito appunto della stipulazione dei contratti
collettivi del quadriennio 1994-1997); – che, inoltre, la norma in
Ric. 2014 n. 21646 sez. ML – ud. 23-02-2016
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della “parità delle armi” e della certezza del diritto (art. 6 CEDU).

questione ha chiarito – risolvendo una situazione di incertezza
testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante (Cass. 28
marzo 1981, n. 1803; Cass. 10 gennaio 2011, n. 258; Cass.5 luglio
2006, n. 15331); – che l’art. 5, terzo comma, della legge n. 260 del 1949
ha carattere imperativo; – che l’intervento interpretativo del legislatore
non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza, ma neppure

norma, sin dall’inizio, plausibile una lettura diversa da quella che i
destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare).
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc.
civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va rigettato.
4 – li recente intervento della Corte costituzionale sulla questione
oggetto di causa consente di compensare integralmente tra le parti le
spese del presente giudizio di legittimità.
5 – La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al
30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma
1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,
comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore
letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei
presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato
costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo
non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed
altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del
rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante,
dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa
nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento
dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre
limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n.2203512014).
P . Q .M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del presente
giudizio di legittimità.

Ric. 2014 n. 21646 sez. ML
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ud. 23-02-2016

determina una lesione dell’affidamento (rendendo il testo originario della

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2016.

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