Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4821 del 01/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4821 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: FALASCHI MILENA

ORD INANZA
sul ricorso 15486-2015 proposto da:
CALDERONI ASSUNTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CALABRIA, n. 56, presso lo studio dell’avvocato LUCA
PELLICELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato EZIO
TATANGE LO;
– ricorrente contro

PALAZZO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, Viale
ISACCO NEWTON, n. 112, presso lo studio dell’avvocato SIMONE
ARIANO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente nonchè contro

PROIETTI ESPERTA;

Data pubblicazione: 01/03/2018

- intimata –

avverso la sentenza n. 2669/2014 della COR1E D’APPELLO di
ROMA, depositata il 22/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
07/07/2017

dal Consigliere Dott. MILENA

FALASCHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato il 15 marzo 2005 Assunta Caldaroni evocava,
dinanzi al Tribunale di Latina – Sez. Dist. Terracina, Giuseppe Palazzo ed
Esperia Proietti, chiedendo che — alla luce della scrittura privata sottoscritta
dalle parti il 30.09.2003

le fosse trasferita la proprietà dell’immobile sito in

Terracina, località Foce Sisto, in Catasto al fg. 191, mapp. 119, con riduzione
del prezzo pattuito e il giudice adito, con sentenza n. 247 del 2006, rigettava la
domanda attorea.
In virtù di rituale impugnazione interposta dalla Caldaroni, la Corte di Appello
di Roma, con sentenza n. 2669 del 2014, respingeva il gravame.
Ha proposto ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza la Caldaroni,
sulla base di cinque motivi, cui ha resistito con controricorso il solo Giuseppe
Palazzo.
Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità
nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5),
c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle
parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Atteso che:

i primi tre motivi di ricorso (con i quale la ricorrente deduce l’illogicità e

la contraddittorietà manifesta, oltre ad omissione della motivazione quanto

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partecipata del

alla mancata valorizzazione degli abusi perpetrati sul terreno in questione,
oltre che all’epoca della loro realizzazione), che possono essere trattati

congiuntamente stante la stretta connessione, sono inammissibili, prima che
infondati.
La ricorrente con le predette censure critica le determinazioni della corte

gradimento all’acquisto del fondo, nonostante la presenza dei problemi
lamentati, oltre a non avere tenuto conto che la realizzazione della recinzione
e l’immissione dei rifiuti erano avvenuti nel 2003 e non nel 2004, non

ammesse le prove testimoniali richieste sul punto. Inoltre, afferma che il
giudice distrettuale avrebbe dovuto, in ogni caso, accogliere la sua domanda di
riduzione del prezzo.
Il giudice di secondo grado, di converso, ha tratto il convincimento della
conoscenza dello stato dei luoghi come descritto da parte della promissaria
acquirente dal fatto che la stessa avesse ottenuto il possesso anticipato del
terreno (v. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata) e quindi fosse in grado di
acquisire ogni conoscenza utile al riguardo. Inoltre, sulla base dei documenti
agli atti e dal contenuto della conversazione intervenuta fra la ricorrente ed il
Notaio Zinzi di Arpino, riferito dalla medesima Caldaroni, ha desunto che
quest’ultima

fosse a conoscenza dell’insussistenza di impedimenti al

trasferimento del bene, per cui il suo rifiuto di stipulare il rogito costituiva
ipotesi di inadempimento.
La corte territoriale ha, altresì, rilevato che non era stata fornita prova alcuna
che i vizi lamentati, costituiti dalla realizzazione di una recinzione, definita
abusiva, e dalla presenza di una discarica di calcinacci, avessero inciso
sull’utilizzabilità del bene o sul relativo valore; né si trattava di vizi tali da

impedire il perfezionamento del rogito notarile.
Ne discende che non è possibile prospettare l’omesso esame di un fatto o
l’esistenza di una motivazione mancante od apparente, essendosi la ricorrente
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territoriale che avrebbe — a suo avviso – erroneamente presunto il suo

doluta, in buona sostanza, della valutazione delle risultanze istruttorie
effettuata dalla corte territoriale.
Si tratta, infatti, di apprezzamenti di fatto insindacabili in sede di legittimità, in
presenza di motivazione – come nella specie – idonea a rivelare la ratio
decidendi, dovendosi considerare in tali limiti ridotto il controllo di legittimità
dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012. I motivi in esame,
dunque, si risolvono nella critica della sufficienza del ragionamento logico
posto nella sentenza impugnata a base dell’interpretazione degli elementi
probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione
degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile (v.
Cass., sez. un., n. 8053/2014).
Quanto poi alla contestazione relativa all’individuazione della data in cui

sarebbero stati commessi gli abusi, essa è inammissibile, considerato che la
corte territoriale non colloca — diversamente dall’assunto della ricorrente —
l’epoca della loro realizzazione al 2004, ma sottolinea più semplicemente la

condotta non univoca della ricorrente, dalla quale ultima circostanza desume
come la stessa ne fosse a conoscenza e ne avesse accettata la presenza, non
incidendo sulla possibilità di concludere il trasferimento.
La mancata ammissione dei testimoni, pertanto, è priva di rilievo, considerato
che la ricorrente non ha neppure provveduto, in violazione del principio di
specificità, a riprodurre nel ricorso il contenuto dei relativi capitoli di prova;
il quarto ed il quinto motivo (con i quali la ricorrente denuncia la
violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1492 c.c., nonché l’omessa,
illogica e contraddittoria motivazione, quanto al rigetto della domanda di
riduzione del prezzo) che, stante la evidente connessione argomentativa,
possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati.

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sulla motivazione in seguito alla modifica dell’art. 360, n. 5, c.p.c. apportata

La corte territoriale ha evidenziato che la ricorrente era da ritenere
inadempiente all’obbligo di concludere il preliminare, avendo ella ottenuto
adeguate garanzie nel contratto preliminare per l’ipotesi di evizione del bene e

le pretese condotte turbative dei terzi non erano state specificamente indicate
dalla stessa ricorrente onde poterne valutare la effettiva rilevanza sul piano del
una valutazione di fatto non sindacabile nella presente sede, che la ricorrente
era ragionevolmente a conoscenza delle problematiche in questione ed aveva
accettato di acquistare il bene a prescindere dalle stesse, le quali non avevano
alcuna incidenza sulla struttura e funzione del bene da trasferire, non essendo
“oggettivamente diverso” da quello considerato e promesso, per cui non

sussisteva alcuna prova di difformità che avrebbero potuto portare alla
riduzione di valore del bene.
Trattasi in tutta evidenza di apprezzamenti di fatto operati dalla corte
territoriale sul bene oggetto del contratto preliminare, apprezzamenti a cui la
ricorrente si limita a contrapporre il proprio diverso apprezzamento, senza
sviluppare una doglianza riconducibile al rigoroso paradigma dell’art. 360 n. 5
c.p.c. nel testo (applicabile nel presente procedimento in relazione alla data di
deposito della sentenza gravata) novellato dal decreto legge n. 83/2012,
convertito, con modificazioni, con la legge n. 143/2012.
In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è
rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R 30
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sinallagma contrattuale. La Corte di appello di Roma ha, inoltre, accertato, con

maggio 2002, n. 115

della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte

della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.

La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrenti alla rifusione delle spese processuali che liquida in
favore dei controricorrenti in complessivi € 2.500,00, di cui € 200,00 per
esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V1-2^ Sezione Civile, il 7
luglio 2017.
IlP

P.Q.M.

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