Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4820 del 11/03/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4820 Anno 2016
Presidente: ARIENZO ROSA
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 16614-2014 proposto da:
PALOMBA CHIARASTELLA, COLAZINGARI GRAZIELLA,
elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE NIAZZINI 114/B, presso
lo studio dell’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE, che le
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVAMBATTISTA
FERRIOLO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587;
– intimato avverso la sentenza n. 2847/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 20/03/2013, depositata il 15/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

Data pubblicazione: 11/03/2016

udito l’Avvocato Roda Ranieri (delega verbale) difensore del ricorrente
che si riporta agli scritti e chiede la trattazione del ricorso in P.U..
FATTO E DIRITTO
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:

Giustizia proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui lo stesso
Tribunale gli aveva ingiunto di pagare, in favore delle sue dipendenti,
Palomba Chiarastella e Colazingari Graziella, somme a titolo di
compenso aggiuntivo per due festività di cui alla legge n. 260/1949 come modificata dalla legge n. 90/1954 -, e cioè per le festività civili del
25 aprile 2004 e del 1° maggio 2005, coincidenti con la domenica. Il
Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. A
seguito di impugnazione da parte della lavoratrici, la Corte di appello di
Roma confermava la pronuncia di primo grado. Valorizzava la Corte
territoriale lo ius superveniens, costituito dalla legge 23 dicembre 2005,
n. 266, che, all’art. 1, comma 224, ha stabilito, che: “Tra le disposizioni
riconosciute inapplicabili dall’articolo 69, comma 1, secondo periodo, dei
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a seguito della stipulazione dei
contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, è ricompreso l’articolo 5,
terzo comma, della legge 27 maggio 1949, n. 260, come sostituito
dall’articolo 1 della legge 31 marzo 1954, n. 90, in materia di retribuzione
nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. È fatta salva
l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della
presente legge”. Attribuiva a detta norma natura interpretativa e riteneva
che la stessa fosse, con riguardo al caso di specie, risolutiva in quanto
da considerarsi riferibile all’intero ambito applicativo del trattamento
economico previsto dall’art. 5 della legge n. 269/1949, ivi comprese le
estensioni di tale ambito disposte dall’art. 2 della legge n. 90/1954.
Richiamava la decisione della Corte costituzionale n. 146 del 16 maggio
2008 che aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale del suddetto art. 1, co. 224, della legge n. 266/2005 anche

Ric. 2014 n. 16614 sez. ML – ud. 23-02-2016
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“Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma il Ministero della

in considerazione della sussistenza di una differenziazione tra la
disciplina del lavoro pubblico rispetto a quello privato. Escludeva, inoltre,
ogni contrasto con l’obbligo introdotto dalla CEDU di “non esercitare
un’ingerenza normativa finalizzata ad ottenere una determinata soluzione
delle controversie in corso, salvo che l’intervento retroattivo sia
giustificato da motivi imperiosi di carattere generale”.

Palornba e la Colazingari, con tre motivi di impugnazione.
Il Ministero è rimasto intimato.
Con i motivi di ricorso viene denunciata la violazione e/o falsa
applicazione della legge n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, posta
questione di costituzionalità di tale norma e formulata richiesta di quesito
interpretativo alla Corte di Giustizia, CE, ex art. 234 del Trattato CE.
I motivi, da trattarsi congiuntamente, in ragione della intrinseca
connessione, sono manifestamente infondati.
La Corte territoriale ha correttamente applicato lo jus superveniens
costituito dall’art. 1, comma 224, della legge n. 266 del 2005, norma che,
laddove dispone che l’art. 5, terzo comma, della legge n. 260 del 1949,
come successivamente modificato, è una fra le disposizioni divenute
inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del
quadriennio 1994/1997, ai sensi dell’alt 69, comma 1, del d.lgs. n. 165
del 2001, ha escluso, con portata retroattiva (e dunque non con effetti
solo per il futuro), il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un
compenso aggiuntivo, in caso di coincidenza con la festività della
domenica. In tali termini questa Corte si è già più volte pronunciata. Si
vedano, infatti, Cass. 5 aprile 2011, n. 7740, Cass. 25 febbraio 2011, n.
4661, Cass. 27 ottobre 2009, n. 22653, Cass. 17 giugno 2009, n. 14048,
Cass. 22 febbraio 2008, n. 4667, con le quali si è evidenziato che la
suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi sull’ambito
dell’inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda tornata di
contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, è qualificabile come
norma di interpretazione autentica, siccome fatto palese, del resto, dalla
specifica disposizione di salvezza dei giudicati formatisi anteriormente
Ric. 2014 ri. 16614 sez. ML – ud. 23-02-2016
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Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione la

alla sua entrata in vigore. E’ stato anche rimarcato, con l’espresso
richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale n. 146 del 16 maggio
2008 (così Cass. n. 7740/2011, Cass. n. 4661/2001, Cass. n.
14048/2009 citate), come i dubbi di legittimità costituzionale, prospettati
sotto il profilo della pretesa violazione del principio di uguaglianza, sono
privi di fondamento.

n. 1040 del 20 gennaio 2014 – resa in un giudizio nel quale, come nel
presente, si sosteneva che l’efficacia retroattiva dell’art. 1, comma 224,
della legge n. 266/2005 non appariva giustificata, sul piano
costituzionale, da una finalità realmente interpretativa della disposizione
stessa, la quale attribuisce alla norma interpretata (il digs. 30 marzo
2001, n. 165, art. 69, comma 1, secondo periodo) non già uno dei
significati possibili bensì un significato del tutto nuovo e si poneva,
altresì, il problema che la detta retroattività avrebbe violato il divieto di
ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia,
influendo sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso (art. 117
Cost., comma 1 e 6 CEDU), ledendo l’autonomia e indipendenza della
magistratura (art. 104 Cost.) ed il principio di imparzialità della pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.) -, è tornata la Corte costituzionale. Nella
recente decisione n. 150 del 14 luglio 2015, il Giudice delle leggi ha
definitivamente fugato ogni dubbio di costituzionalità e di contrasto con il
giusto ed equo processo e con i connessi principi della “parità delle armi”
e della certezza del diritto (art. 6 CEDU) affermando che: “l’intervento
interpretativo dei legislatore non solo non contrasta con il principio di
ragionevolezza (sentenza n. 209 del 2010), escluse da questa
Corte già nella sentenza n. 146 del 2008 in considerazione della
peculiarità del regime del rapporto di lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni delineato dal d.lgs. n. 165 del 2001 e dai
contratti collettivi ivi richiamati, ma neppure determina una lesione
dell’affidamento. Il testo originario rendeva, sin dall’inizio, plausibile,
come si è già rilevato, una lettura diversa da quella che i destinatari della
Ric. 2014 n. 16614
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sez.

ML – ud. 23-02-2016

Sulla questione, a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte

norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare (sentenza n. 170 del
2008), coerente con i principi ai quali è informato il rapporto di lavoro
pubblico. Né si ravvisa una lesione delle attribuzioni del potere
giudiziario. La norma in esame, infatti, avendo natura interpretativa, ha
operato sul piano delle fonti, senza toccare la potestà di giudicare,
limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui

fattispecie normativa oggetto della medesima (sentenza n. 170 del
2008), proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza
dell’ordinamento giuridico (sentenza n. 209 del 2010)”.
Si propone, pertanto, il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi
dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ.”
2 – Tanto premesso, questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e
le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto
condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia
e non scalfite dalla memoria con la quale le ricorrenti si limitano a
richiamare alcune decisioni della Corte Europea (così, tra le altre, la
sentenza n. del 31 maggio 2011 nella causa Maggio ed altri c. Italia; la
sentenza del 7 giugno 2011 nella causa Agrati ed altri c. Italia; la
sentenza del 14 febbraio 2012 nella causa Arras ed altri c. Italia) che
hanno considerato emesse in violazione dell’art. 6 della CEDU norme di
interpretazione autentica che pure avevano superato il vaglio di
legittimità costituzionale da parte del giudice delle leggi.
Del resto ogni vicenda va contestualizzata ed anche l’ipotizzato
pregiudizio in ragione dell’inutilità di proseguire una lite a causa della
sopravvenuta normativa va rapportato allo specifico interesse generale
sotteso all’intervento legislativo.
Nei caso in esame non sono stati offerti argomenti ulteriori rispetto a
quelli già vagliati dalla stessa Corte costituzione nella sopra citata
sentenza n. 150 del 14 luglio 2015 nella parte in cui è stato escluso
ogni contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi
della “parità delle armi” e della certezza dei diritto (art. 6 CEDU).

Ric. 2014 n. 16614 sez. ML – ud. 23-02-2016
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l’esercizio di tale potestà deve attenersi, definendo e delimitando la

In tale decisione si è, infatti, precisato: – che «al legislatore non è […]
precluso di emanare […1 norme retroattive (sia innovative che di
interpretazione autentica), “purché la retroattività trovi adeguata
giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse
generale ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU” (sentenza n.

sentenze n. 78 del 2012, n. 15 del 2012); – che ciò accade allorquando
una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire
situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un
dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un’interpretazione più
aderente all’originaria volontà del legislatore (sentenza n. 311 del 2009;
così anche Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 23 ottobre
1997, National & Provincia! Building Society ed altri contro Regno
Unito), nonché di riaffermare l’intento originale del Parlamento (Corte
europea dei diritti dell’uomo, sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut
Stanislas e altri contro Francia) a tutela della certezza del diritto e
dell’eguaglianza dei cittadini; – che l’art. 1, comma 224, della legge n.
266 del 2005, nell’escludere l’applicabilità ai lavoratori pubblici della
norma recante la previsione dei diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel
caso in cui le festività ricorrano di domenica, all’indomani della
stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non ha
fatto altro che dare attuazione ad uno dei principi ispiratori dell’intero d.
Igs. n. 165 del 2001 (inapplicabilità «delle norme generali e speciali del
pubblico impiego», a seguito appunto della stipulazione dei contratti
collettivi del quadriennio 1994-1997); – che, inoltre, la norma in
questione ha chiarito – risolvendo una situazione di incertezza
testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante (Cass. 28
marzo 1981, n. 1803; Cass. 10 gennaio 2011, n. 258; Cass.5 luglio
2006, n. 15331); – che l’art. 5, terzo comma, della legge n. 260 del 1949
ha carattere imperativo; – che l’intervento interpretativo del legislatore
non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza, ma neppure
determina una lesione dell’affidamento (rendendo il testo originario della
Ric. 2014 n. 16614 sez. ML – ud. 23-02-2016
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264 del 2012)» (sentenza n. 156 del 2014; così anche, ex plurimis,

norma, sin dall’inizio, plausibile una lettura diversa da quella che i
destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare).
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc.
civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va rigettato.
4 — Nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità,

Entrate e non il Ministero — parte nel giudizio di merito – ai soli fini della
partecipazione alla discussione, nella quale peraltro nessuno è
intervenuto).
5 – La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore
al 30 gennaio 2013 impone di dare atto dell’applicabilità dell’art. 13,
comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al
tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o
meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato
costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo
non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed
altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del
rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante,
dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa
nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento
dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre
limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n.22035/2014).
P . Q .M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 dei 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle
ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma I bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2016.

essendo il Ministero rimasto intimato (si è costituita l’Agenzia delle

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