Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4818 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36365/2018 proposto da:

O.A.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Po 24,

presso lo studio dell’avvocato Claudio Miglio e rappresentato e

difeso dall’avvocato Danilo Lombardi in forza di procura speciale

allegata al ricorso:

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale

Firenze;

Procuratore Generale presso Corte Appello Firenze;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2368/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 M.O.A., cittadino del Togo, ha adito il Tribunale di Firenze impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, cittadino togolense, aveva raccontato di essere fuggito a causa di una disputa fra la sua famiglia ed un’altra che si era opposta alla successione di suo fratello a suo padre nella carica di capo della regione; che gli avevano rotto i denti ed era finito in ospedale; che si era inutilmente rivolto alla polizia; che era stato un membro della famiglia rivale a divenire capo della regione.

Il Tribunale di Firenze con ordinanza del 12/10/2017 ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto da M.O.A. è stato rigettato dalla Corte di appello di Firenze, con sentenza del 15/10/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso M.O.A., con atto notificato il 5/12/2018, svolgendo due motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al Giudice di accertare la situazione reale del Paese di provenienza, a fronte della deduzione ad opera del ricorrente di gravi limitazioni delle libertà personali e di violazioni dei diritti fondamentali risultanti da fonti accreditate.

1.1. Il provvedimento impugnato ha affermato da un lato, con riferimento alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) che nel Togo non è in atto un conflitto armato interno che determini una situazione di esposizione a violenza indiscriminata e che non lo aveva sostenuto nemmeno lo stesso appellante; dall’altro, che le prassi di violazione dei diritti umani degli oppositori, oggetto di severa repressione allegata dall’appellante, non lo riguardavano affatto visto che egli non aveva mai svolto attività politica e non si era allontanato dal Togo per quella ragione.

1.2. La censura è fondata.

La stessa sentenza impugnata, a pagina 2, p. 3, dando conto delle censure introdotte nel giudizio di secondo grado dall’appellante, riconosce che il ricorrente aveva dedotto la sussistenza nel suo Paese, il Togo, di una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato in corso, senza necessità di personale diretto coinvolgimento in presenza di un pericolo generalizzato, richiamando i principi dei cui alla sentenza Elgafaji della Corte EDU. E’ innegabile quindi che l’onere di allegazione del ricorrente fosse stato soddisfatto e che un motivo di gravame sul punto fosse stato proposto.

1.3. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) prevede il riconoscimento della protezione sussidiaria nei casi di “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

La Corte di appello ha totalmente omesso di assolvere al proprio dovere di cooperazione istruttoria, che trova fondamento non solo nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in tema di regole per l’esame delle domande di protezione internazionale ma anche nel D.L. 22 agosto 2014, n. 119, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis (aggiunto dall’art. 5, comma 1, lett. b-quater), convertito con modificazioni dalla L. 17 ottobre 2014, n. 146) del D.Lgs. n. 25 del 2008 (ora anche art. 35 bis, comma 9) secondo cui ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale.

Questa Corte ha avuto modo di ribadire più volte che ai fini dell’accertamento della fondatezza o meno di una domanda di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri – doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente; ciò in particolare quando lo straniero, che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto; sicchè in tal caso sorge il potere – dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Sez. 6-1, 26/04/2019, n. 11312; Sez. 6-1, 25/07/2018, n. 19716; Sez. 6-1, 28/06/2018, n. 17069; Sez. 6-1, 10/04/2015, n. 7333).

Nella specie la Corte fiorentina non ha compiuto alcuna indagine circa la situazione socio-politica attuale del Togo e si è limitata ad una affermazione meramente apodittica quale “nel Togo non vi è una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, non basata sulla debita consultazione di fonti informative e asseritamente rafforzata da affermazioni dello stesso ricorrente in palese contraddizione con il tenore del suo atto di gravame riassunto nella stessa sentenza.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente. (Sez. 1, n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01; Sez. 6 – 1, n. 17069 del 28/06/2018, Rv. 649647 – 01).

Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01; Sez. 1, n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887 – 01).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, all’art. 10 Cost., comma 3, alla Direttiva comunitaria 115/2008, e all’art. 6, par. 4 e art. 8 CEDU, per l’accertamento della protezione umanitaria. Secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva violato i criteri legali per la concessione della protezione umanitaria, non esaminando nè lo stato di integrazione sociale del richiedente asilo, nè il contesto generale di compromissione dei diritti umani in Togo e la conseguente vulnerabilità soggettiva.

Il motivo resta assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo.

3. L’accoglimento del primo motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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