Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4815 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. I, 28/02/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 28/02/2011), n.4815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25405/2008 proposto da:

M.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 71, presso l’avvocato MARCHETTI

Alessandro, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LIPPI ANDREA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

20/09/2007, n. 50922/06 R.G.V.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato MARCHETTI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’inammissibilità per carenza

di autosufficienza.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Roma, con decreto del 20.9.07, ha accolto parzialmente la domanda L. n. 89 del 2001, ex art. 2, proposta da M.F. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere il ristoro del danno non patrimoniale subito in conseguenza dell’eccessiva durata del processo pensionistico promosso il 28.4.92, dinanzi alla Corte dei Conti, dal marito poi deceduto, da lei riassunto il 5.6.96 e definito il 6.10.2005. La Corte tenuto conto unicamente del periodo di tempo di nove anni decorso dalla costituzione in giudizio della ricorrente, individuata in anni tre la durata ragionevole del procedimento, ha condannato la P.C.M. al pagamento della complessiva somma di Euro 4.500, in ragione di Euro 750 per ciascun anno di ritardo, oltre che delle spese di lite. La M. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento, fondato su due motivi, notificandolo sia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Nessuna delle due amministrazioni ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente rilevata, d’ufficio, l’inammissibilità del ricorso proposto dalla M. nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze.

Il Ministero, infatti, non è stato parte del giudizio di merito – correttamente svoltosi nel contraddittorio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, amministrazione contro la quale andava rivolta la pretesa alla data del 23.2.06, di deposito della domande, introduttiva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3 comma 3 nella formulazione all’epoca vigente – e pertanto non è passivamente legittimato all’impugnazione (Cass. n. 6908/2010).

1) Con il primo motivo di ricorso la M., nel denunciare violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e artt. 456, 462 e 565 c.c., in relazione all’art. 6 CEDU, nonchè vizio di omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, lamenta che la Corte d’Appello abbia accertato la violazione del termine di ragionevole durata del giudizio pensionistico solo dal momento in cui ella si è costituita, omettendo di considerare che l’indennizzo le era dovuto, iure successionis, anche per il periodo antecedente, in cui era costituito in giudizio il marito, S.O..

Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.

In primo luogo, non essendo denunciato un error in procedendo, ma solo un vizio di motivazione, il motivo, in ossequio al principio di autosufficienza, avrebbe dovuto riportare quelle parti dell’atto introduttivo dalle quali emergeva che la domanda risarcitoria era stata proposta dalla M. anche nella qualità di erede del S., posto che tale circostanza non si desume nè dall’epigrafe nè dalla lettura della parte motiva del provvedimento impugnato.

Inoltre, quand’anche si volesse qualificare la censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, come denuncia di un vizio di omessa pronuncia (che consentirebbe l’esame dell’atto introduttivo), il motivo andrebbe dichiarato inammissibile per il mancato rispetto del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (applicabile ratione temporis al caso di specie, D.Lgs. n. 40 del 2006, ex art. 27).

Nel provvedimento impugnato è precisato che il processo pensionistico fu promosso dal S. il 28.4.92; non è indicato, invece, il giorno della morte del dante causa della M., peraltro certamente avvenuta prima del 5.6.96, data in cui la stessa depositò istanza di prosecuzione.

In sostanza, dalla lettura del decreto della Corte d’Appello non è possibile evincere se, nel periodo intercorso fra l’introduzione del giudizio e il decesso del S., il processo avesse già superato il temine di durata ragionevole e se, in conseguenza, il defunto avesse effettivamente maturato il diritto all’equo indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrente, pur non dolendosi espressamente dell’errore (in ipotesi) compiuto dalla Corte nell’individuare nel 28.4.92 la data di inizio del processo presupposto, sostiene che questo fu promosso dal marito ben ventitrè anni addietro, ovvero il 19.6.69, ma non ha dedotto di aver prodotto nel giudizio di merito, nè ha prodotto in questa sede assieme al ricorso, i documenti (atto introduttivo, comprensivo della data di deposito, a firma del S. e/o sentenza della Corte dei Conti) dai quali desumere tale circostanza, il cui preliminare accertamento era necessario all’accoglimento del motivo, e sui quali pertanto, in definitiva, il motivo stesso si fonda.

L’accertamento non può essere compiuto da questa Corte, in via esplorativa, attraverso l’esame del fascicolo di 1^ grado allegato al ricorso. Va infatti rilevato che, ai sensi del citato art. 366 c.p.c., n. 6, il ricorso per cassazione, oltre a richiedere la specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso, quando riguarda un documento prodotto in giudizio, postula, che si individui dove questo è stato prodotto nella fase di merito ed, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 28547/08, Cass. nn. 20535/09, 21828/010).

2) Col secondo motivo di ricorso la M., denunciando ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e art. 41 CEDU, nonchè vizio di motivazione, lamenta che la Corte di merito, senza fornire alcuna motivazione, abbia liquidato il danno in misura inferiore ai parametri prescritti dalla Corte EDU. Il motivo è fondato.

Infatti, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo,i criteri di liquidazione applicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può apportarvi deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. Ne consegue che qualora, come nel caso di specie, non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza e/o irrilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia realmente satisfattiva del pregiudizio subito dalla parte comporta che la quantificazione di tale danno non sia inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1000 per quelli successivi (Cass. n. 21840/09).

Dall’accoglimento del motivo deriva la cassazione sul punto del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito e, sulla scorta del criterio appena enunciato, liquidare il danno subito dalla M., al cui pagamento va condannata la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in complessivi Euro 5.250 oltre agli interessi legali dalla data del deposito del ricorso sino al saldo effettivo. Le spese del giudizio di merito seguono la soccombenza e si liquidano in favore dell’avvocato Massimo Silvestri, antistatario, in Euro 500 per onorari, Euro 300 per diritti ed Euro 100 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Le spese del presente grado, atteso l’accoglimento solo parziale del ricorso, vanno compensate per un terzo e poste a carico della PCM per i rimanenti due terzi, che si liquidano, in favore dell’avv. antistatario Alessandro Marchetti, in Euro 800, di cui Euro 736 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e Finanze;

dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare a M.F. la somma di Euro 5.250, oltre agli interessi legali dalla data del deposito del ricorso sino al saldo effettivo;

condanna la PCM a pagare all’avv. antistatario Massimo Silvestri le spese del giudizio di merito, liquidate in Euro 500 per onorari, Euro 300 per diritti ed Euro 100 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge; dichiara compensate le spese del presente giudizio di cassazione nella misura di un terzo e condanna la PCM a pagare all’avv. antistatario Alessandro Marchetti i rimanenti due terzi, liquidati in Euro 800, di cui Euro 736 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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