Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4815 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 24/02/2020), n.4815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31794/2018 proposto da:

D.M.A., elettivamente domiciliato in Roma

Circonvallazione Clodia 88, presso lo studio dell’avvocato Arilli

Giovanni che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Pennetta Carla;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi, 12 c/o l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 608/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 21/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/10/2019 da Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

D.M.A. cittadino originario della Guinea propone ricorso per cassazione, con sette motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia, pubblicata il 21.8.2018, che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.

La Corte territoriale, in particolare, ha rilevato da un lato la estrema genericità del fatto narrato e la sua intrinseca incoerenza dall’altro: le stesse circostanze riferite dal richiedente non integravano, neppure astrattamente, i presupposti per il riconoscimento della qualità di rifugiato, posto che questi aveva dichiarato di essersi allontanato dalla Guinea essenzialmente a seguito del propagarsi dell’epidemia di ebola, epidemia che peraltro, a parere dell’Organizzazione mondiale della sanità, era cessata da diversi anni.

La Corte territoriale ha inoltre ritenuto, alla luce della natura privata della vicenda, che non potesse darsi rilievo a circostanze relative alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c), per avere il tribunale omesso di considerare che ai fini della protezione possono essere considerati responsabili della persecuzione anche soggetti non statuali, quando lo Stato o le organizzazioni che lo controllano non possano o non vogliano fornire protezione adeguata.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra, del Protocollo relativo allo statuto dei rifugiati adottato a New York il 31.1.1967, nonchè della direttiva 2004/83/CE del Consiglio Europeo del 29 aprile 2004, per non avere la Corte svolto quell’attività di verifica ed approfondimento dei presupposti ad essa demandata;

Il terzo e quarto motivo denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’omesso esame di un fatto decisivo per avere la Corte ignorato le allegazioni del ricorrente circa gli specifici episodi di persecuzione subiti, omettendo di valutare la vicenda personale del ricorrente alla luce della situazione attuale della Guinea, nella quale continuano a registrarsi gravi violazioni di diritti umani fondamentali.

I motivi che in quanto connessi vanno unitariamente esaminati sono inammissibili per carenza di decisività, in quanto non colgono l’autonoma ratio della pronuncia, per la quale, secondo lo stesso racconto del richiedente, egli era stato indotto ad abbandonare il proprio paese di origine in conseguenza del diffondersi dell’epidemia di ebola (peraltro cessata da diversi anni secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità) e dunque al di fuori dei presupposti per la concessione della protezione internazionale.

La Corte territoriale, infatti, da un lato ha affermato, con statuizione che non è in alcun modo condivisibile, il carattere privato della vicenda, e dall’altro ha indicato quale ragione per l’abbandono del paese di origine il timore, infondato, dell’epidemia di ebola, elemento quest’ultimo che non giustificava il riconoscimento dello status di rifugiato.

Tale autonoma ratio, che si aggiunge a quella sul carattere meramente privato della vicenda, sulla quale il ricorrente incentra la propria contestazione, non è stata censurata.

Il quinto e sesto motivo denunciano la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 6 e l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria.

Il ricorrente denuncia, in particolare, l’omessa verifica delle effettive condizioni di vulnerabilità personale del richiedente e la mancata valutazione comparativa tra l’attuale contesto di vita nel nostro paese e la situazione della Guinea.

I motivi sono inammissibili per genericità, in quanto non individuano una specifica situazione di vulnerabilità personale del richiedente.

Anche in relazione alla protezione umanitaria, infatti, l’attivazione da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria presuppone l’allegazione da parte del ricorrente di una ben determinata situazione di “vulnerabilità”, che va specificamente delineata nei suoi elementi costitutivi, onde consentire di effettuare una effettiva valutazione comparativa della situazione del richiedente con riferimento al paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. 4455/2018).

Il settimo motivo denuncia violazione dell’art. 10 Cost., deducendo che la sentenza impugnata, negando la protezione internazionale, ha violato il fondamentale diritto di asilo, costituzionalmente garantito.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte affermato che il diritto di asilo sancito dall’art. 10 Cost., è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste in relazione alle diverse forme di protezione interna, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Cass. 11110/2019; 16362/2016).

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessi Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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