Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4813 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 24/02/2020), n.4813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32989/2018 proposto da:

I.P.S., in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Bortoletto Patrizia, giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma, v. dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 969/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/10/2019 dal consigliere Paola VELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bologna ha accolto l’impugnazione proposta dal Ministero dell’interno avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Bologna aveva accolto la domanda del cittadino nigeriano I.P.S. di riconoscimento dello status di rifugiato D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8 rilevando la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. cit..

2. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che la decisione riformata fosse fondata su circostanze generiche e contraddittorie e che il ricorrente – del quale era incerta la stessa provenienza dalla Nigeria – risultava non credibile, stanti le numerose incongruenze contenute nel racconto sulla relazione omosessuale con il suo datore di lavoro, tenuto conto anche della sua consapevolezza sulla “severità della legislazione nigeriana in tema di omosessualità”, peraltro “punita solo se manifestata in pubblico”.

3. Avverso detta sentenza il richiedente ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione, cui l’intimato Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo si deduce la “totale assenza di motivazione in ordine all’inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, essendo l’impugnazione del Ministero priva “di qualsivoglia specificazione delle parti del provvedimento e del tutto sfornita dell’indicazione di un progetto di sentenza alternativo”.

4.1. La censura è infondata poichè dalla motivazione della sentenza impugnata si evince chiaramente che l’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità – debitamente riportata a pag. 2 – è stata implicitamente rigettata.

5. Con il secondo mezzo si denunzia la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e 5, per non avere la Corte d’Appello di Bologna applicato nella specie il principio dell’onere della prova attenuato così come affermato dalle S.U. con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”.

5.1. La censura è inammissibile perchè generica e afferente valutazioni di merito non sindacabili in questa sede.

5.2. In primo luogo, per consolidato orientamento di questa Corte l’aspetto della credibilità del racconto del richiedente (e quindi la sua attendibilità) integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – chiamato segnatamente a valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), – come tale censurabile in cassazione solo nei limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) applicabile ratione temporis e non rispettato dal ricorrente (ex multis, Cass. 3340/2019; cfr. Cass. 27502/2018), ovvero per assoluta mancanza di motivazione, restando escluse sia la rilevanza della sua pretesa insufficienza, sia l’ammissibilità di una diversa lettura o interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente (ex multis, Cass. 3340/2019).

5.3. Inoltre, questa Corte ha chiarito che, una volta ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda di protezione, non è sempre e comunque necessario far luogo ad un approfondimento istruttorio, poichè il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice presuppone una affidabile allegazione dei fatti da accertare (Cass. 33096/2018, 28862/2018), sicchè non può censurarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi con riguardo a presupposti e circostanze non specificamente dedotte ai fini della protezione invocata (Cass. 30105/2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 4892/2019, 16925/2018); il giudicante non può quindi supplire, attraverso l’esercizio dei suoi poteri officiosi, all’onere del ricorrente di (quantomeno) allegare i fatti costitutivi della sua personale esposizione al rischio (Cass. 3016/2019, 27336/2018).

6. Il terzo motivo prospetta la “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”, per avere la Corte territoriale omesso di “verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale ed internazionale a fornire protezione in capo a persone che fuggono da paesi in cui vi sono sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria vita ed incolumità”.

6.1. La censura è inammissibile non solo perchè generica, ma anche perchè, a ben vedere, non indirizzata contro alcuna parte della sentenza impugnata, la quale in effetti non tratta della protezione umanitaria, ma solo della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, il cui accoglimento in primo grado era stato impugnato dal Ministero appellante.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese in favore del Ministero controricorrente, liquidate in dispositivo.

8. Da ultimo occorre dichiarare il non luogo a provvedere sulla “istanza del difensore in gratuito patrocinio per la liquidazione dei compensi a spese dello Stato”, pervenuta in data 18/10/2019, poichè “in tema di patrocinio a spese dello Stato, secondo la disciplina di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. 24 febbraio 2005, n. 25, art. 3 al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione. Nel caso di cassazione e decisione nel merito, la competenza spetta a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito” (Cass. 8912/2015, 23007/2010, 11028/2009).

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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