Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4812 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 24/02/2020), n.4812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32401/2018 proposto da:

S.L., in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

Bortoletto Patrizia, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 855/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/10/2019 dal consigliere Paola VELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’impugnazione proposta dal cittadino nigeriano S.L. avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Bologna ne aveva respinto le domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero la protezione sussidiaria o quella umanitaria, temendo, in caso di rientro in patria, di essere vittima di ritorsioni da parte dei familiari di un amico deceduto nel corso di un incidente di pesca.

2. Avverso detta sentenza il richiedente ha proposto due motivi di ricorso per cassazione. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si deduce la violazione della Convenzione di Ginevra in materia di protezione internazionale nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (in riferimento agli artt. 2,10 e 32 Cost., all’art. 25 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, all’art. 11 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966 e ratificati con L. n. 881 del 1977), per non avere la Corte d’appello svolto “alcuna valutazione della situazione del paese di origine del ricorrente, ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni oggettive di danno grave per il riconoscimento della protezione sussidiaria indicato del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”, limitandosi a dare risalto alla “scarsa credibilità del ricorrente e affrontando la problematica della situazione nigeriana con estrema superficialità”, mentre, a fronte delle “fonti aggiornate sulla situazione nigeriana estrapolate dal sito della regione Emilia Romagna”, trascritte in ricorso, risponderebbe “a giustizia rilasciare al cittadino Nigeriano un permesso di soggiorno quantomeno per motivi umanitari, che potrà essere successivamente revocato qualora la situazione del paese di origine muti”; ciò tenuto conto della estrema povertà della Nigeria e del percorso di integrazione intrapreso in Italia, dove il ricorrente “ha lavorato dal 2017”.

4. Con il secondo mezzo si denunzia la violazione del D.L. n. 144 del 2005, art. 2 convertito nella L. n. 155 del 2005, per avere la Corte d’Appello sostenuto del tutto immotivatamente che erano totalmente sfornite di prova le circostanze allegate dal ricorrente con riguardo alle violenze subite in Libia, le quali invece risultavano dalla allegata “ordinanza di scarcerazione” in cui era scritto che il ricorrente, “alla stregua di altri migranti è stato privato della libertà personale e reso destinatario di violenze ad opera dei libici che hanno organizzato il viaggio degli extracomunitari… che, se anche costui ha condotto il barcone tramite il quale i migrati sono giunti in Italia, ciò ha fatto in quanto costrettovi”.

5. Entrambe le censure non meritano accoglimento, anche perchè generiche e afferenti valutazioni di merito non sindacabili in questa sede.

6. Invero la Corte d’appello, dopo aver formulato e motivato il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, ha altresì accertato che “la situazione descritta dall’appellante non riguarda l’intero territorio nigeriano ma solo alcune zone di esso e le fonti internazionali non citano tra le zone interessate dai conflitti lo stato di provenienza del ricorrente (Delta State)”, non senza sottolineare che il ricorrente aveva “riferito di essersi allontanato dalla Nigeria per questioni di vendetta privata”.

6.1. Al riguardo soccorre anche l’indirizzo di questa Corte per cui, una volta ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda di protezione, non risulta sempre e comunque necessario far luogo ad un approfondimento istruttorio, poichè il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice presuppone una affidabile allegazione dei fatti da accertare (Cass. 33096/2018, 28862/2018), sicchè non può censurarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi con riguardo a presupposti e circostanze non specificamente dedotte ai fini della protezione invocata (Cass. 30105/2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 4892/2019, 16925/2018); il giudicante non può quindi supplire, attraverso l’esercizio dei suoi poteri officiosi, all’onere del ricorrente di (quantomeno) allegare i fatti costitutivi della sua personale esposizione al rischio (Cass. 3016/2019, 27336/2018).

7. Quanto agli asseriti maltrattamenti subiti in Libia, che la Corte territoriale ha ritenuto “totalmente sforniti di prova”, va aggiunto che questa Corte ha più volte precisato come il fatto che in un paese di transito – come, nella specie, la Libia – si sia consumata una violazione dei diritti umani, non comporta di per sè l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, essendo a tal fine necessario accertare che lo straniero venga ad essere perciò privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, per effetto del rimpatrio nel Paese di origine, di cui cioè si abbia la cittadinanza (Cass. 4455/2018), non già di un Paese terzo (cfr. Cass. 2861/2018, 13858/2018, 29875/2018). Semmai, le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, ove potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), sempre in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096/2019).

8. Il giudice a quo ha altresì evidenziato la mancata allegazione delle condizioni speciali cui è subordinato il rilascio del permesso di cui alla L. n. 155 del 2005, art. 2.

9. Infine, questa Corte ha chiarito che “non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti, quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito)” (Cass. 17072/2018). Non è poi “ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 3681/2019).

10. L’assenza di difese esclude la pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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