Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4811 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 24/02/2020), n.4811

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 31040-2018 r.g. proposto da:

K.N.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Claudine Pacitti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Cervaro (FR), Via Collecedro n. 13.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Trento, depositato in data

6.9.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Trento ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da K.N.A., cittadino del PAKISTAN, dopo il diniego di protezione da parte della commissione territoriale di Verona.

Il tribunale ha ricordato che il richiedente aveva narrato: di provenire dalla regione del PUNJAB, Pakistan, e di aver svolto il mestiere di idraulico e di essere sposato con una figlia; di essere stato oggetto di una aggressione di matrice politica per aver aiutato la suocera, già attivista del People Party, nell’attività di servizio sociale, situazione quest’ultima che aveva destato l’attenzione e, poi, l’aggressione da parte di un gruppo di persone, militanti nell’avversa fazione politica del Muslim League.

Il tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente, e ciò in ragione, da un lato, della circostanza che il Muslim party aveva vinto le elezioni del 2013 e non era necessaria la violenza per contenere l’attività politica della contrapposta fazione, e, dall’altro, perchè il racconto del richiedente non era sufficientemente circostanziato e comunque non evidenziava la ricorrenza di episodi di persecuzione di matrice politica, quanto piuttosto quella di episodi di aggressioni, sorte in un contesto di contrasti meramente personali tra le persone coinvolte; ha inoltre ritenuto non fondata la domanda di protezione sussidiaria in ragione del fatto che il Pakistan, pur interessato da fenomeni di terrorismo, non può ritenersi percorso da fenomeni di violenza generalizzata e indiscriminata, rintracciandosi, comunque, situazioni di criticità in tal senso solo in regioni diverse da quella di provenienza del richiedente, e cioè le Federally Administration Tribal Area (FATA) e il Khyber Pakthunkwa; ha osservato che non poteva essere riconosciuta la richiesta protezione umanitaria perchè, pur essendo riconoscibile una condizione di vulnerabilità del richiedente in caso di rimpatrio, la parte ricorrente non aveva comunque dimostrato la sua integrazione nel contesto socio-lavorativo italiano.

2. Il decreto, pubblicato il 6.9.2018, è stato impugnato da K.N.A. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di censura. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con l’unico motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo in ordine al diniego della reclamata protezione sussidiaria ed umanitaria, essendo sussistente un grave rischio in caso di suo rientro in Pakistan e perchè risulterebbe dimostrato il suo inserimento nel contesto sociale italiano, come documentato dalla sua assunzione a tempo determinato.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1 Quanto alle doglianze riferite al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, l’inammissibilità discende dalla mancata censura da parte del ricorrente della ratio decidendi principale sottesa alla decisione di rigetto della relativa domanda protettiva, e cioè la non credibilità del racconto del richiedente in ordine alle ragioni che lo avevano spinto ad espatriare.

Le censure articolate in riferimento alla protezione sussidiaria, di cui al predetto art. 14, lett. c sono, invece, inammissibili, in quanto volte a richiedere a questa Corte di legittimità una rivalutazione di merito del giudizio in ordine alla condizione di pericolosità interna del Pakistan, e ciò attraverso una richiesta di diversa valutazione degli atti istruttori (costituiti dalle fonti di informazione internazionale), compiuta dal giudice del merito, non sindacabile in questa sede di legittimità.

Inammissibile infine è la doglianza in ordine alla mancata valutazione della condizione di integrazione sociale del richiedente quale ragioni giustificatrice della richiesta di protezione umanitaria, posto che, per un verso, la circostanza risulta letteralmente esclusa dalla motivazione impugnata (laddove si nega la dimostrazione da parte del richiedente di una sua integrazione socio-lavorativa) e che, per altro verso, il ricorrente non indica, secondo quanto richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quale allegazione difensiva della fase di merito avesse in realtà documentato la sua condizione di lavoratore dipendente a tempo determinato.

Ne consegue la complessiva dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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