Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4805 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 28/02/2011), n.4805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21943-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

P.V., PE.RO.LU., F.D.,

L.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 53/2005 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 23/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2011 dal Consigliere Dott. OLIVIERI Stefano;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. I fatti di causa.

Con sentenza della CTP di Milano n. 181/2002 veniva parzialmente accolto il ricorso proposto da F.D., L.E., P.V., Pe.Ro.Lu. avvero l’avviso di liquidazione, agli stessi notificato in qualità di coobbligati solidali dalla Agenzia delle Entrate di Milano-Sezione staccala Atti giudiziari, avente ad oggetto la applicazione della imposta di registro in misura proporzionale per l’importo di L. 41.228.000 dagli stessi dovuta sulla registrazione della sentenza emessa dal Tribunale di Milano n. 9630/1999 recante statuizione di condanna di altri soggetti convenuti in quel giudizio al pagamento della somma di L. 1.363.408.000 e rigetto della domanda di condanna proposta nei confronti degli predetti ricorrenti.

La sentenza di primo grado statuiva la solidarietà tributaria delle parti in causa ma qualificava come meramente dichiarativa la pronuncia emessa nei confronti dei ricorrenti ed annullava quindi l’avviso di liquidazione nella parte in cui la imposta era applicata in misura proporzionale anzichè a tassa fissa.

L’appello proposto avverso tale sentenza dalla Agenzia delle Entrate era rigettato, in contumacia degli appellati, con sentenza della CTR di Milano sezione 17^ in data 23.5.2005 n. 53, non notificata, impugnata dall’Agenzia con ricorso per cassazione notificato in data 10.7.2006 al domicilio eletto presso il procuratore costituito in primo grado.

2. Gli atti introduttivi del giudizio di legittimità.

2.1 Il ricorso principale.

La Agenzia delle Entrate ha chiesto la cassazione della sentenza delle CTR Milano n. 53/2005 deducendo quale unico motivo impugnazione il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) di violazione e falsa applicazione delle norme che disciplinano la applicazione della imposta di registro agli atti giudiziari, come indicate in rubrica.

2.2 La difesa degli intimati.

Non hanno resistito gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR di Milano in data 23.5.2005 ha confermato la sentenza di primo grado favorevole ai contribuenti:

1-rilevando che le norme del D.P.R. n. 131 del 1986 non disciplinavano espressamente la ipotesi di sentenza contenente disposizioni di condanna e non di condanna;

2-riconoscendo dovuta la imposta proporzionale come determinata dall’Ufficio;

3-rilevando, tuttavia, che ai fini della applicazione della imposta proporzionale per “parti in causa” debbono intendersi esclusivamente “La parte attrice, vittoriosa, ed i soggetti condannati soccombenti”, e non anche gli altri soggetti ritenuti estranei alla obbligazione per avere la sentenza “respinto la chiamata nei loro riguardi”.

2. I motivi di impugnazione.

2.1. La rubrica dei motivi.

Con l’unico motivo di ricorso a Agenzia delle Entrate ha dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 21, 37 e 57 e Tariffa Prima Parte allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8.

2.2. Le censure svolte con i motivi di impugnazione.

La ricorrente censura la impugnata sentenza in quanto le norme indicate non consentirebbero di distinguere tra le “parti in causa” ai fini della applicazione della imposta in misura proporzionale, essendo tenuti solidamente i coobbligati al pagamento della imposta, salva la eventuale diversa ripartizione dell’onere nei rapporti interni tra coobbligali.

La previsione della solidarietà peraltro è stata posta dal Legislatore proprio in funzione di garantire all’Erario l’effettivo recupero della imposta senza dover distinguere tra le posizioni assunte in giudizio da ciascuno dei coobbligati.

Con la indicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21 nella rubrica, l’Agenzia ricorrente ha inoltre inteso escludere la possibilità di operare una distinzione, ai fini della applicazione della imposta di registro, tra le statuizioni (di condanna e di rigetto della domanda) contenute nella sentenza, dovendo questa essere riguardata come un unico atto (e non come atto contenente plurime autonome disposizioni) assoggettato a registrazione.

3. La valutazione della Corte sulla fondatezza dei motivi.

La Agenzia delle Entrate sostiene che il Giudice di appello ha interpretalo erroneamente il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57 secondo cui “le parti in causa” sono solidalmente obbligate al pagamento della imposta dovuta, ex art. 37 del medesimo TU imposta registro, sugli “atti della autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio”, ritenendo che i soggetti per i quali è stata accertata in sentenza la estraneità al rapporto giuridico controverso, non possono considerarsi “parti in causa” e quindi non possono ritenersi tenuti al pagamento della imposta di registro in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) della Tariffa Parte Prima, disposizione che assoggetta alla registrazione in termine fisso ed in misura pari al 3% “l’ammontare della obbligazione” (art. 43, comma 4 in relazione al precedente comma 1, lett. e), D.P.R. n. 131 del 1986 che definisce la base imponibile) oggetto della sentenza di condanna.

Il ricorso è infondato.

Costituisce principio costantemente affermato da questa Corte che “in tema di imposta di registro, l’obbligazione solidale prevista dal D.P.R. 26 aprile 986, n. 131, art. 57 per il pagamento dell’imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in un giudizio con pluralità di parti non grava, quando si fratti di litisconsorzio facoltativo, indiscriminatamente su tutti i soggetti che hanno presto parte al procedimento unico, essendo oggetto dell’imposta, quale indice di capacità contributiva, non la sentenza in quanto tale, ma il rapporto sostanziale in essa racchiuso, con conseguente esclusione del vincolo di solidarietà nei confronti dei soggetti ad esso estranei” (cfr. Corte cass. 5, sez. 19.6.2009 n. 14305; Corte cass. 5, sez. 21.7.2009 n. 16891; in precedenza vedi Corte cass. 5, sez. 31.7.2007 n. 16917).

In particolare è stato evidenziato che nel caso di giudizio con pluralità di parli evocate in giudizio per il medesimo titolo ovvero anche a diverso titolo in caso di identiche questioni (c.d.

litisconsorzio facoltativo proprio od improprio ex art. 103 c.p.c., commi 1 e 2), “permane l’autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole “causae petendi”, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibilì, restano distinte. Pertanto, poichè l’imposta non colpisce la sentenza in quanto tale, ma il rapporto racchiuso in essa, quale indice di capacità contributiva, il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo ed rapporto considerato nella sentenza (cfr. Corte cass 5 sez. 16.7.2010 n. 16745). Con la conseguenza che in tali ipotesi, tra le diverse statuizioni adottate in sentenza, non è dato ravvisare una relazione di “derivazione necessaria” ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 2 (idest non sì è in presenza di statuizioni, disposizioni/atti “intrinsecamente connessi tra loro da risultare rivolti alla realizzazione di una vicenda giuridica unitaria ed inscindibile” tali “che non si possa concepire l’esistenza dell’una disposizione (o statuizione) se si prescinde dall’altra, determinandosi una connessione aggettiva per volontà della legge o per l’intrinseca natura delle diverse disposizioni (o statuizioni), a nulla rilevando l’esistenza, tra le stesse, di una mera connessione soggettiva”: Corte cass. 5, sez. 7.6.2004 n. 10789), relazione che, soltanto, consente di unificare tali statuizioni ai fini della applicazione unitaria della imposta di registro nella misura “più onerosa” (tra quelle cui darebbe luogo l’applicazione separala della imposta a ciascuna disposizione/statuizione. Cfr.

Corte cass. 5, sez. 11.6.2010 n. 14112 che, in caso di sentenza emessa all’esito di accertamento di responsabilità civile, contenente statuizioni di condanna – nei confronti dei convenuti ritenuti responsabili- e pronuncia di rigetto della domanda -nei confronti di convenuti ritenuti estranei all’illecito- ha affermato che “non trova applicazione il D.P.R. n. 131 cit., art. 21, in quanto non sussiste alcun legame di derivazione necessaria tra la statuizione di condanna e quella di reiezione della domanda, fondate su distinte vidimazioni risultanti da una ricostruzione dei fatti diversa da quella prospettata dall’attore, e non vi è alcun rapporto sostanziale tra quest’ultimo ed i convenuti vittoriosi, ma un mero rapporto processuale il cui contenuto economico, limitato alle spese processuali ovvero all’ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., è estraneo a quello in funzione del quale è liquidala l’imposta pretesa dal Fisco).

La esigenza di tenere distinte, ai fini della applicazione della imposta di registro, le varie statuizioni della medesima sentenza – in quanto riferibili a distinti rapporti giuridici e quindi ad autonome cause riunite, in via originaria o successiva, solo ai fini del “simultaneus processum” -, risiede peraltro nella stessa logica interna allo specifico presupposto impositivo – come descritto dal D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 1 e 7 -, che deve essere individuato, non nell’atto considerato in sè quale mero documento, ma nell’atto giuridico avente contenuto economico in quanto considerato nella sua idoneità a produrre ricchezza e dunque sintomo di capacità contributiva. D’altronde la liquidazione della imposta mediante applicazione di una aliquota percentuale predeterminata, come nel caso dell’art. 8, comma 1, lett. b) Tariffa Prima Parte, risponde al principio di capacità contributiva laddove la aliquota venga applicata, come nella specie, su base imponile variabile, secondo il valore economico della obbligazione/diritto o del bene – D.P.R. n. 131 del 1986, ex artt. 43 e 51 – su cui la sentenza ha statuito, mentre risulterebbe inapplicabile a statuizioni prive di tale contenuto economico e dunque non determinabili mediante base imponibile variabile (per le quali infatti l’art. 8, comma 1, lett. d) della Tariffa prevede la applicazione della imposta in misura fissa).

Deve pertanto ritenersi che i Giudici dell’appello abbiano fatto corretta applicazione dei principi indicati distinguendo nella medesima sentenza emessa dal Tribunale di Milano n. 9630/1999 i capi concernenti la condanna al pagamento della prestazione patrimoniale – assoggettati all’imposta di registro nella misura proporzionale del 3% ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) Tariffa Prima Parte – ed i capi concernenti il rigetto della domanda di condanna proposta dalla parte attrice nei confronti degli altri convenuti -attuali intimati- per i quali la norma tariffaria indicata non trova applicazione.

4. La decisione sul ricorso e sulle spese.

In conseguenza il ricorso deve essere rigettato, non dovendosi provvedere sulle spese del presente giudizio in difetto di controricorso od altra attività difensiva svolta dagli intimati.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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