Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4805 del 26/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4805 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 17813-2007 proposto da:
PEDRAZZOLI

PEDRAZZOLI

MATTEO,

TIZIANO

PDRTZN52A13L110C, LACHRAUNER ALMA LTSLMA55E43F132L,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE
PALOMBINI 2 SC. A INT. 1, presso lo studio
dell’avvocato DE FRANCESCO SALVATORE, che li
2013
202

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RADICE
ANDREA giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, in persona del

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Data pubblicazione: 26/02/2013

Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, da cui è rappresentato e difeso per legge;
TOMMASI PAOLA, TRABUCCHI ANDREA TRBNDR82A28B028E,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA M. PRESTINARI

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
CORAN FRANCESCO giusta delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

LLOYD ADRIATICO S.P.A., SAI – SOCIETA’ ASSICURATRICE
INDUSTRIALE S.P.A.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 41/2007 della CORTE D’APPELLO
di TRENTO, depositata il 26/02/2007, R.G.N. 169/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/01/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
GIACALONE;
udito l’Avvocato MICHELE VINCELLI per delega;
udito l’Avvocato FAUSTO BUCCELLATO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso o rigetto;

2

13, presso lo studio dell’avvocato RAMADORI PAOLA,

IN FATTO E IN DIRITTO
I. Pedrazzoli Tiziano, Lachrauner Alma in Pedrazzoli e Pedrazzoli
Matteo agivano in giudizio per ottenere il risarcimento de danni subiti dal
figlio Matteo nell’infortunio, verificatosi in data 10/1/1997 nella palestra
del liceo “G. Carducci”, nel corso della lezione d’educazione fisica durante
la quale il predetto aveva ricevuto in faccia una palla medica lanciata da

(madre di Trabucchi Andrea) e Trabucchi Andrea in solido a pagare a
Pedrazzoli Matteo la somma di € 1.228,05 oltre accessori; rigettava le
domande proposte da Pedrazzoli Tiziano e Lachrauner Alma (genitori di
Pedrazzoli Matteo) per gli esborsi sostenuti in proprio nei confronti di
Tommasi Paola e Trabucchi Andrea nonché quelle proposte da Pedrazzoli
Tiziano, Lachrauner Alma in Pedrazzoli e Pedrazzoli Matteo nei confronti
del Ministero della Pubblica Istruzione, per difetto di legittimazione passiva
di quest’ultimo, e, conseguentemente, quelle proposte dal Ministero della
Pubblica Istruzione nei confronti della propria compagnia assicuratrice
Lloyd Adriatico; dichiarava inammissibile l’estensione della domanda
proposta all’udienza del 5/4/2000 da Pedrazzoli Tiziano, Lachrauner Alma
in Pedrazzoli e Pedrazzoli Matteo nei confronti della SAI e della s.p.a.
Lloyd Adriatico; rigettava la domanda di manleva proposta da Tommasi
Paola nei confronti della s.p.a. SAI; compensava interamente le spese tra
Pedrazzoli Tiziano, Lachrauner Alma in Pedrazzoli, Pedrazzoli Matteo ed il
Ministero e tra quest’ultimo e la s.p.a. Lloyd Adriatico; condannava
Tommasi Paola al rimborso delle spese in favore della s.p.a. SAI; G)
compensava per 2/3 le spese tra Pedrazzoli Tiziano, Lachrauner Alma in
Pedrazzoli, Pedrazzoli Matteo e Tommasi Paola e Trabucchi Andrea e
condannava questi ultimi al pagamento, nei confronti dei primi,
dell’ulteriore terzo.
2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il
26.02.2007, la Corte di Appello di Trento modificava la sentenza di primo
grado solo sul punto del governo delle spese di lite, osservando, nel
respingere il gravame degli odierni ricorrenti sugli altri punti:
2.1. sulla base del quesito assegnatogli, nulla impediva al c.t.u. di
3

Trabucchi Andrea. Il Tribunale di Trento condannava Tommasi Paola

sottoporre nuovamente a visita il soggetto per rispondere al quesito stesso,
se ritenuto necessario per confortare il proprio operato, tanto più che era
obbligo del consulente dar ragione dei rilievi tutti (anche di parte avversa)
formulati in ordine alle precedenti conclusioni; parimenti la scelta di un
neuropsichiatra diverso, effettuata già in udienza, non abbisognava di
alcuna spiegazione, peraltro non richiesta dalla Corte e neppure dalla
difesa, tanto più che molteplici e comunque indifferenti, potevano essere i

essersi trasferito o essere indisponibile) senza che ciò avesse potuto
interferire sulla validità e sula correttezza dell’elaborato. Quanto alle
conclusioni differenti dalle precedenti, cui era giunto il consulente, era del
tutto evidente che, se diversa si presentava la condizione psico-fisica del
ragazzo al momento della visita, necessariamente diverse dovevano essere
le conclusioni cui pervenirsi, essendo compito del consulente dar ragione
delle precedenti conclusioni, il che comportava una valutazione
del’esistenza e della quantificazione die postumi permanenti
precedentemente rilevati;
2.2. punto centrale della questione sottoposta all’esame della Corte
territoriale era l’accertamento di un sicuro nesso causale fra l’evento lesivo
subito da Pedrazzoli Matteo in data 10/1/97 – quando, durante una lezione
di educazione fisica all’interno del liceo che frequentava, aveva ricevuto in
faccia una palla medica lanciata dal suo compagno Trabucchi Andrea – ed i
postumi invalidanti di natura permanente, posto che l’invalidità temporanea
subita a causa dell’evento era già stata riconosciuta, seppur in maniera
ridotta rispetto alle aspettative degli odierni ricorrenti, dal Giudice di primo
grado. Riteneva la Corte d’Appello che, alla luce di tutto il materiale
probatorio, degli accertamenti effettuati sulla persona del Pedrazzoli, ed in
speciale modo del contenuto della relazione del neuropsichiatria Alberto
Forti svolta in appello, l’impianto della sentenza di primo grado meritasse
integrale conferma. In particolare, anche per il Prof. Forti, la distimia (con
not ipocondriache) presente all’epoca dell’evento nel ragazzo, e
fortunatamente oggi non più presente, non appariva correlabile, in ciò
concordando dunque con il pensiero del dr. Vitale, con l’evento traumatico.
Conclusione questa che portava necessariamente ad escludere l’esistenza di
un sicuro nesso causale tra l’evento ed il disturbo. Ricordato infatti come
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motivi che avevano suggerito tale scelta (il precederete avrebbe potuto

spettasse comunque all’attore che agisse per responsabilità extracontrattuale
(ed anche contrattuale) dimostrare il nesso causale, elemento costitutivo
dell’illecito, le esaurienti concordi argomentazioni a conforto delle
conclusioni cui erano giunti ben due medici, portavano ad escludere
l’esistenza del nesso causale. Il processo distimico era semmai insorto, oltre
che per fattori del tutto autonomi (quali la successiva delusione amorosa)
non per la pallonata in sé e per sé ma per un fattore successivo e del tutto

tutto spropositata, seppur sicuramente dettata da un eccesso di affetto, dei
genitori che avevano reagito al trauma subito dal figlio “con una inadeguata
reazione attiva” (cfr. c.t.u. pag. 9). Era lo stesso consulente a ricordare,
nella prima relazione, come nella sindrome depressiva avesse “giocato un
ruolo attivo e di primo piano soprattutto il contesto familiare”, già
“segnalato dai neurologi dell’Ospedale di Bolzano allorché accertarono di
ripetere una tac … per compiacere i familiari.., dall’esame del
dettagliatissimo resoconto degli attacchi cefalici stilato dalla famiglia a
partire dal giorno stesso delle dimissioni dall’Ospedale…” concetto questo
già ben evidenziato dal dottor Vitali laddove riferiva del resoconto da parte
dei genitori degli attacchi “in modo maniacale” e sostanzialmente ribadito
nella relazione del professor Forti laddove si ricordano le “manifestazioni
imponenti di preoccupazione ed ansia all’interno dell’ambito familiare”
nonché nella scuola “l’ambiente a lui estremamente ostile, in relazione al
fatto che l’evento aveva portato ad una denuncia penale nei confronti di un
compagno”. Una reazione così fortemente ansiogena da parte dei genitori
con tutte le conseguenze che aveva inevitabilmente portato sul ragazzo sia
in ambito familiare sia scolastico (denuncia penale del compagno di scuola)
– sebbene sicuramente causata da un eccesso di affetto – rispetto però ad un
accadimento, è bene sottolinearlo, se non banale assolutamente non grave,
qual’era il lieve traumatismo non commotivo provocato da una pallonata,
proprio perché non prevedibile in quanto statisticamente improbabile che si
verificasse in casi analoghi, era senz’altro idonea, ad avviso della Corte
territoriale, ad interrompere comunque il collegamento causale fra il fatto e
l’evento. Conclusivamente, sebbene il c.t.u. nel supplemento, pur avendo
ricordato come si fosse in presenza di “un trauma cranica banale” che si era
ormai risolto “il disturbo da stress è risolto, così come sembra del tutto
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imprevedibile che si era innestato a seguito dell’evento, cioè la reazione del

superata la problematica depressiva” e che “oggigiorno dunque NON esiste
più un danno permanente” avesse ritenuto di riconoscere comunque dei
postumi permanenti in misura ridotta (3-4%) e circoscritti “in un tempo
valutabile attorno ai 5 anni” – così fra l’altro contraddicendosi in quanto, se
“oggigiorno” il danno permanente non esisteva più, era solo semmai
ipotizzabile un aumento del periodo di inabilità temporanea – non poteva
essere riconosciuto al Pedrazzoli alcun postumo invalidante di natura

3. I ricorrenti descritti in epigrafe propongono ricorso per cassazione
sula base di sei motivi, illustrati con memoria; Andrea Trabucchi e la
Tommasi resistono con controricorso e chiedono respingersi il ricorso.
Anche il Ministero dell’Istruzione, cui il ricorso era stato notificato a titolo
di mera litis denuntiatio, ha proposto controricorso. Gli altri intimati non
hanno svolto attività difensiva. Questi sono i motivi del ricorso:
3.1. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 193 e 194 c.p.c.;
all’esito del quale i ricorrenti chiedono alla Corte se “ai sensi di dette
norme sia consentito al CTU, richiesto di chiarimenti in ordine ad un
proprio precedente elaborato, di rinnovare totalmente la perizia e/o di
redigere una nuova perizia”.
3.2. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 194 c.p.c. in relazione alla
sottoposizione del ricorrente ad una seconda visita e all’acquisizione di
informazione da parte di terzi: I ricorrenti chiedono alla Corte se “possa il
CTU, richiesto di fornire dei chiarimenti in merito ad un consulenza già
espletata, relativamente all’entità della menomazione dell’integrità
psicofisica subita da una parte del processo, in assenza di autorizzazione
del giudice, sottoporre, ai sensi dell’art. 194 comma primo c.p.c. il
periziando a nuovi accertamenti é acquisire informazioni e dati da terzi
soggetti, utilizzando poi detti elementi per fondare le proprie convinzioni”.
3.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. nonchè omessa
e/o insufficiente motivazione in ordine all’adesione alla seconda c.t.u.
disposta in grado di appello. I ricorrenti chiedono alla Corte se, “ai sensi
dell’art. 116 c.p.c., nel caso in cui le valutazioni e le conclusioni contenute
in una prima relazione peritale contrastino con quelle contenute in una
successiva consulenza tecnica d’ufficio, l’adesione da parte del giudice di
merito alla seconda perizia, implica una necessità di specifica ed analitica
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permanente.

confutazione delle argomentazioni e delle conclusioni esposte nella consulenza precedentemente disposta”.
Precisano che il fatto controverso in relazione al quale i ricorrenti
assumono la motivazione omessa e/o insufficiente è il seguente: “l’avvenuta
quantificazione da parte del CTU in primo grado di una danno (lesione
permanente di tipo psichico) nella misura del IO% ascrivibile al 5-6%
all’evento per cui è causa mentre tale conclusione viene completamente

3.4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. e 2043 c.c. in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.. Chiedono alla Corte:
3.4.1. E’ vero o meno che ai sensi degli arti. 40 e 41 c.p. e 2043 c.c. un
evento dannoso è da considerarsi causato da un’azione (o omissione) se il
primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della
conditio sine qua non).
3.4.2. E’ vero o meno che eventuali fatti successivi inserentisi nella serie causale, possono essere espunti dalla stessa, solo se di per sé idonei a
determinare l’evento anche senza quelli antecedenti (degradando i fatti
antecedenti al rango di mere occasioni)?
3.5. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. e 115,/116
c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. (e alla esclusione della sussistenza del
nesso causale) e omessa e/o insufficiente motivazione e chiedono alla
Corte:
3.5.1. E’ vero o meno che, sulla scorta delle norme indicate in epigrafe,
il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle
prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili, purché il proprio
convincimento nell’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una
valutazione degli elementi probatori acquisiti al giudizio su iniziativa delle
parti?
3.5.2. E vero o meno che il giudice non può assumere quale fonte del
proprio convincimenti elementi fattuali riportati dal c.t.u., ed esulanti dalle
valutazioni tecniche dallo stesso effettuate?
3.5.3. Sul difetto motivazionale, il fatto controverso relativamente al
quale si censura l’omessa e l’insufficiente motivazione è l’accertamento del
nesso causale tra danno alla persona e trauma. Le ragioni per le quali si
deduce la insufficienza della motivazione sono le seguenti:
7

disattesa nella CTU di seconda grado”.

3.5.3.a. la corte d’appello non avrebbe spiegato per quale ragione ritiene
causa esclusive (o comunque prevalente) del disturbo distimico con note
ipocondriache da cui era affetto il ricorrente degli (asseriti) elementi
(reazione ansiogena dei genitori e delusione amorosa) che più consulenti
tecnici avevano ritenute di contro ininfluenti (o al più quali mere concause)
3.5.3.b. in particolare, non spiegava per quale ragione riteneva il trauma
in questione “se non banale assolutamente non grave” quando i consulenti

pari al 5/6 (CTU di primo grado) e pari al 3/4% (CTU di secondo grado).
3.6. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 c.c., 32 Cost.
e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. e/o omessa o insufficiente
motivazione e chiede alla Corte se, ai sensi delle norme indicate in
epigrafe, sia consentito al giudice, di merito negare il risarcimento del
danno da invalidità temporanea riconosciuto dal CTU, ed emergente da
ulteriori riscontri probatori documentali e testimoniali, sulla scorta di un
diversa valutazione sul punto redatta da un consulente tecnico in una
diversa vertenza (e redatta senza il contraddittorio delle parti)?
3.6.1. L’omessa o insufficiente motivazione concerne la misura ed il
riconoscimento del danno da invalidità temporanea quantificato in
entrambe le CTU disposte nei due gradi di giudizio in giorni 25 di
invalidità temporanea totale e di giorni 120 di invalidità temporanea
parziale. Le ragioni per le quali si ritiene la motivazione omessa o
insufficiente sona le seguenti:
3.6.1.a. il giudice di merito ha utilizzato quale prova piena un elemento
che al più avrebbe potuto costituire un mero indizio, per di più in assenza di
ulteriori elementi non solo probatori, ma finanche indiziari confortanti la
raggiunta conclusione;
3.6.1.b. il giudice di merito non ha tenuto conto in minima
considerazione i riscontri probatori indicati nel presente motivo di ricorso,
che, unitamente alle risultanze peritali, sono tali da inficiare la (seppur
minima) valenza probatoria (o meglio meramente indiziaria) della perizia
del dott. Vitale.
4. I motivi del ricorso si rivelano tutti inammissibili per inidoneità dei
“momenti di sintesi” in relazione a quelli (III, V e VI) che prospettano, in
parte, vizi motivazionali, nonché per inidoneità dei quesiti di diritto
8

intervenuti ho avevano qualificato idoneo a fondare un danno biologico

formulati in relazione a tutte le altre censure.
4.2. — Infatti, l’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione
temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 26.02.2007), prevede
le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione,
disponendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso se, in presenza dei
motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc.
civ., ciascuna censura, all’esito della sua illustrazione, non si traduca in un

funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione
del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di
diritto di particolare importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di
cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (il cui oggetto riguarda il solo iter
argomentativo della decisione impugnata), è richiesta un’illustrazione che,
pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione
chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la
dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la
decisione (Cass. n. 4556/09).
4.3. – Orbene, nel caso in esame, rispetto a nessuno dei tre motivi che
deducono vizi motivazionali, è stato formulato un idoneo “momento di
sintesi”, che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris
rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto
specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass.,
18/7/2007, n. 16002). Invero, le sintesi si presentano generiche e si
risolvono in mere critiche alle valutazioni dei giudici di appello (nel terzo
motivo, il “fatto” controverso attiene alle divergenti valutazioni dei C.T.U.
nei due gradi del giudizio circa la quantificazione dei postumi), senza
contenere la chiara indicazione delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a sorreggere la decisione
(nel quinto motivo, parte ricorrente si limita a lamentare nella sintesi la
mancanza di dette ragioni, nel sesto fa riferimento agli elementi che
avrebbe indicato nella trattazione del mezzo), di modo che manca
l’adeguata sintesi, che circoscriva puntualmente i limiti della doglianza, in
modo da non ingenerare incertezze nella formulazione del ricorso e nella
valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. n. 20603/2007 e
9

quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va

16528/2008; Cass. n. 27680/2009, ord.). Al riguardo, è incontroverso che
non è sufficiente che il fatto controverso o le predette ragioni siano esposti
(come assume la parte ricorrente in rapporto alla sesta censura) nel corpo
del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è
indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si
presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata (Cass.
27680/2009, cit., in motivazione; Cass. 24255/2011). L’individuazione dei

all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08),
che, invece, deve essere posta in condizione di comprendere dalla sola
lettura del quesito o del momento di sintesi quale sia l’errore commesso dal
giudice di merito (Cass. n. 24255/2011).
4.4. – Inoltre, rispetto a tutte le altre censure, contenute nei sei motivi,
che deducono violazioni di legge, il quesito di diritto si rivela inidoneo, in
quanto va ribadito che esso non può consistere in una domanda che si
risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello
della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma
deve costituire la chiave di lettura delle ragioni indicate nel motivo e porre
la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con
l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile
di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto
all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo
indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si
domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e
sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto
auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza
impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni
dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come
prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 – adeguatamente indicate nell’illustrazione
del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi
nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla
formulazione del motivo, poiché una siffatta interpretazione si risolverebbe
nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n.
16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione
richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza
10

denunziati vizi di motivazione risulta, perciò, impropriamente rimessa

investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto
gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha
deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto
controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da
circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v.
Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma, che la
Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si

ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.
4.5. – Non si rivelano, pertanto, idonei i quesiti formulati nel ricorso, dato
che non contengono adeguati riferimenti in fatto (circa l’oggetto della
questione controversa, né circa la sintesi degli sviluppi della controversia
sullo stesso, né la precisa indicazione delle effettive ragioni della decisione
oggetto delle critiche dei ricorrenti), né espongono chiaramente le regole di
diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui
s’invoca l’applicazione, i quesiti si limitano ad enunciazioni di carattere
generale ed astratto che, in quanto prive di chiare e specifiche indicazioni
sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in
esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U.
11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi — come
nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già
presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il
caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536; Cass. 25/3/2009 n. 7197).
4.6. – Senza contare che la mancanza degli indicati elementi influisce
anche per altri versi sulla verifica dell’ammissibilità dei motivi del ricorso.
4.6.1. Quanto ai primi tre motivi, gli inidonei riferimenti in fatto, di cui
ai rispettivi quesiti, non consentono di apprezzare la riferibilità delle
censure all’effettiva ratio decidendi, in quanto la stessa formulazione dei
quesiti dimostra che la parte ricorrente non ha tenuto conto di quanto
affermato dalla Corte territoriale nel respingere le analoghe censure
proposte in appello (v. precedente punto 2.1.) adeguatamente motivando sul
punto. In particolare, i giudici di appello hanno ribadito, sul piano
procedurale, l’ambito dei poteri del c.t.u.; mentre, sul piano delle
valutazioni dagli stessi espresse, hanno chiarito che la divergenza tra le
stesse ben poteva dipendere dalle differenti condizioni palesate dal
11

assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il

periziando all’atto delle varie osservazioni cliniche. L’iter argomentativo,
seguito al riguardo dalla Corte territoriale, è corretto, logico ed esaustivo;
mentre é evidente, che l’odierna parte ricorrente non censura specificamente
le ragioni addotte dalla Corte territoriale, né specifica come dove ed in
quali termini abbia proposto anche le doglianze oggi oggetto del primo e
del secondo motivo.
4.6.2. I motivi dal quarto al sesto sono comunque inammissibili anche

postumi permanenti (v. precedente punto 2.2.), mentre la parte ricorrente,
con le predette censure, prescindendo dall’articolata motivazione, insiste
nel proporre la propria diversa lettura delle risultanze di causa. Si deve,
invero, ribadire che, nel giudizio di cassazione, la deduzione del vizio di cui
all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. non consente alla parte di censurare la
complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella
sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa
interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di
legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le
censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi
nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da
quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della
fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove
difforme da quello dato dal giudice di merito (Cass. n. 13954/2007, in
motivazione; 7972/2007; 10576/2003). Né la predetta diversa valutazione
delle risultanze istruttorie può essere prospettata sotto il profilo delle
violazioni di legge contenute nei motivi in esame, dovendosi ribadire che il
vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie
astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un
problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394/2010;
16698/2010; S.U. 10313/2006, comunque impropriamente anch’esso
prospettato nel caso di specie, come sopra osservato.
12

perché la Corte territoriale ha motivatamente escluso la sussistenza di

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200,00= di cui Euro
3.000,00= per onorario, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

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