Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4804 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4804 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

mento danni

SENTENZA
sul ricorso proposto da
COMUNE DI PORDENONE, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla via F. Siacci n. 2, presso l’avv. CORRADO DE MARTINI, dal
quale, unitamente all’avv. EGIDIO ANNECHINI del foro di Pordenone, è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso
RICORRENTE

contro
SANTIN ALESSANDRO, SANTIN ROMANA, SANTIN ALESSANDRA,
SANTIN GIOVANNA, SANTIN CRISTINA e FABRIS ROTELLI MATILDE,
in qualità di eredi di Giovanni Santin, elettivamente domiciliati in Roma, alla via
F. Orestano n. 21, presso l’avv. STEFANO PONTESILLI, unitamente all’avv.
LUCIANO FALOMO del foro di Pordenone, dal quale sono rappresentati e difesi
in virtù di procura speciale a margine del controricorso, ed all’avv. MANUELA

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Data pubblicazione: 28/02/2014

SCUCCATO, che rappresenta e difende Santin Alessandro in virtù di procura speciale per notaio Guido Bevilacqua del 3 ottobre 2013, rep. n. 44451
(2( NTR( )1Z1C( )1ZRENTI

GAZZOLA MARIO, DEL BEN BRUNO, DI NAPOLI ROSARIO, RAGONE
VITO, ATZORI GIUSEPPE, in qualità di procuratore speciale di D’ALFONSO
ORNELLA IN ATZORI, CENTRO VIDEO DI SPINATO & C. S.N.C., in persona del legale rappresentante p.t. Bruno Spinato, e RICATERM S.R.L., in persona
del legale rappresentante p.t. Gianfranco Zerbetto, elettivamente domiciliati in
Roma, alla piazza Vescovio n. 21, presso l’avv. TOMMASO MANFEROCE, dal
quale, unitamente all’avv. RICCARDO TOME’ del foro di Pordenone, sono rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del controricorso
c( )NTR()Ric()RRENTI
e
MAKOVAC VLADO, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Tigrè n. 37,
presso l’avv. FRANCESCO CAFFARELLI, dal quale è rappresentato e difeso in
virtù di procura speciale a margine del controricorso
)NTRORICt )RRENTE

e
LAMBIASE FRANCESCO, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Celimontana n. 38, presso l’avv. PAOLO PANAR1TI, unitamente all’avv. PIERA TARTARA del foro di Pordenone, dalla quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del controricorso
C( NIT« WICORRENTE

e

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e

FALLIMENTO DELLA PORDENONE AMBIENTE S.P.A.
INTIMATO

avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste n. 333/06, pubblicata il 23

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 novembre
2013 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
uditi i difensori delle parti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Immacolata ZENO, la quale ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — Giovanni Santin, Mario Gazzola, Bruno Del Ben, Rosario Di Napoli,
Vito Ragone, Ornella D’Alfonso in Atzori, la Centro Video di Spinato & C., la Ricaterm S.r.l. e Vlado Makovac convennero separatamente in giudizio il Comune
di Pordenone, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati dagl’immobili di loro proprietà a seguito dell’allagamento, verificatosi il 25 novembre 1990, dell’intero quartiere in cui erano situati.
A fondamento della domanda, esposero che l’allagamento era stato causato
dal mancato funzionamento di un impianto comunale di deflusso delle acque in
conseguenza della negligenza del personale che lo gestiva, il quale aveva omesso
di compiere le manovre necessarie a prevenire l’evento, ed in particolare di provvedere alla chiusura di una paratoia ed all’impiego dell’intero sistema di pompaggio di cui l’impianto era dotato.
1.1. — Si costituì il Comune, il quale ottenne l’autorizzazione a chiamare in
causa la Pordenone Ambiente S.p.a., affidataria della gestione dell’impianto, nei

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maggio 2006.

confronti della quale propose domanda di manleva.
Riuniti i giudizi, spiegò intervento Francesco Lambiase, il quale chiese il risarcimento dei danni riportati dalla propria autovettura, rimasta bloccata nell’ac-

1990.
1.2 — Il giudizio, dichiarato interrotto a seguito del fallimento della Pordenone Ambiente, fu quindi riassunto, e con sentenza del 30 agosto 2005 il Tribunale di Pordenone accolse le domande, condannando il Comune al risarcimento dei
danni subiti dagli attori e dall’interventore e rigettando la domanda di manleva.
2. — L’impugnazione proposta dal Comune nei confronti degli eredi di Giovanni Santin, deceduto nel corso del giudizio, degli altri attori e dell’interventore è
stata parzialmente accolta dalla Corte d’Appello di Trieste, che con sentenza del
23 maggio 2006 ha rideterminato in Euro 210.035,37 l’importo dovuto agli eredi
Santin, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Ha premesso la Corte che la controversia esulava dalla competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, trattandosi di un allagamento causato da
acque fognarie ed avendone gli attori individuato le cause nell’esondazione di un
fiume, ipotesi rivelatasi poi infondata, e nell’inadeguatezza del sistema di smaltimento delle acque.
Ciò posto, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto superflua l’individuazione dell’ora precisa dell’allagamento, osservando che lo stesso aveva avuto inizio nella mattinata del 25 novembre 1990 e non era stato determinato da
guasti agl’impianti fognari privati, ma dalle precipitazioni atmosferiche, con il
concorso determinante del blocco totale delle pompe mobili e fisse adibite al deflusso delle acque meteoriche. Ha osservato al riguardo che l’impianto, progettato

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qua mentre percorreva una via cittadina nella notte tra il 25 ed il 26 novembre

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per far fronte a piogge di probabilità cinquantennale, non era stato in grado di
sopportare precipitazioni di portata inferiore, in quanto le pompe, in numero inferiore a quelle previste dal progetto, si erano guastate tutte nel corso del pomerig-

ore serali. Ha pertanto ritenuto che gli attori avessero fornito la prova del nesso
causale tra l’evento e la condotta colposa del Comune, il quale non aveva garantito
il funzionamento delle pompe, escludendo la possibilità di ricondurre l’allagamento al caso fortuito: ha infatti rilevato che la portata delle piogge era comunque adeguata alla capacità dell’impianto e che l’interruzione dell’energia elettrica improvvisamente verificatasi non costituiva un evento imprevedibile, esistendo a tal
fine un generatore di corrente che non era entrato in funzione per cause non
chiarite.
La Corte ha ritenuto invece inammissibile, in quanto nuova, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Comune, osservando che quest’ultimo, dopo aver abbandonato la domanda di manleva proposta nei confronti della Pordenone
Ambiente, aveva riproposto la questione con riferimento alla responsabilità per
l’evento dannoso, senza peraltro considerare che l’affidamento in gestione manutentiva di una modestissima parte dell’impianto alla Pordenone Ambiente non escludeva la riconducibilità all’ente pubblico delle scelte riguardanti l’uso delle
pompe.
Quanto infine alla posizione del Lambiase, la Corte ha ravvisato la colpa del
Comune nella mancata predisposizione di un’adeguata segnaletica o nella mancata
chiusura totale delle strade, in conformità delle disposizioni impartite dalla stessa
Autorità comunale, rilevando che il carattere repentino dell’allagamento escludeva
la riconducibilità dell’evento dannoso all’attraversamento della zona inopportuna-

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gio ed avevano ripreso a funzionare solo a seguito di riparazioni conclusesi nelle

mente tentato dall’automobilista sull’esempio di un’altra autovettura.
3. — Avverso la predetta sentenza il Comune propone ricorso per cassazione,
articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. Gl’intimati resistono con

fallimento della Pordenone Ambiente non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Prioritario rispetto all’esame degli altri motivi d’impugnazione è quello
del quarto motivo, con cui il Comune denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 140, lett. a), del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sostenendo
che la controversia, avente ad oggetto il risarcimento dei danni causati da guasti o
comunque da disfunzioni dell’impianto di sollevamento, doveva ritenersi devoluta
alla competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.
1.1. — Il motivo è infondato.
Come si evince dalla sentenza impugnata, l’impianto di sollevamento nel cui
mancato o difettoso funzionamento è stata individuata una delle cause dell’allagamento degl’immobili di proprietà degli attori, era destinato ad agevolare, in occasione di precipitazioni atmosferiche di particolare intensità, il deflusso delle acque piovane dalle strade urbane, convogliandole nel fiume attraverso un collettore
dotato di pompe idrauliche. Non è pertanto configurabile, in riferimento alla controversia in esame, la competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche, la
quale presuppone una pretesa risarcitoria fondata su un comportamento commissivo od omissivo della Pubblica Amministrazione che implichi apprezzamenti
tecnici in ordine alla deliberazione, alla progettazione ed all’attuazione di opere
idrauliche o che comunque costituisca espressione di scelte amministrative volte
alla tutela d’interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche (cfr. Cass.,

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controricorsi, quello del Lambiase illustrato anche con memoria. Il curatore del

Sez. VI, 22 febbraio 2012, n. 2656; Cass., Sez. III, 16 aprile 2009, n. 9026; Cass.,
Sez. I, 17 novembre 2000, n. 14906). Le acque piovane incanalate nelle fognature
non sono infatti annoverabili tra le acque pubbliche, essendo destinate, insieme

mentale requisito dell’attitudine ad usi di pubblico generale interesse, prescritto
dall’art. 1 del regio decreto n. 1755 del 1933 e rimasto fermo anche dopo l’entrata
in vigore della legge 5 gennaio 1994, n. 36; tale esclusione trova conferma nell’art.
1, comma secondo, del regolamento di attuazione della predetta legge, approvato
con d.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238, il quale, nell’individuare le acque incluse nel
demanio idrico, prevede espressamente che non ne fanno parte le acque meteoriche non ancora convogliate in un corso d’acqua o non ancora raccolte in invasi o
cisterne (cfr. Cass., Sez. VI, 5 settembre 2012, n. 14883; Cass., Sez. III, 6 febbraio
2007, n. 2566; Cass., Sez. I, 11 gennaio 2001, n. 315).
2. — Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza pubblica nella parte in cui ha affermato che l’impianto era in
grado di far fronte a precipitazioni atmosferiche di probabilità cinquantennale,
senza considerare che, come riferito dal c.t.u., esso era stato costruito in esecuzione di un progetto da attuarsi per gradi e realizzato all’epoca soltanto per metà, il
cui mancato completamento non era imputabile all’Amministrazione, in quanto
dovuto a difficoltà di bilancio. Si trattava d’altronde di un’opera di modesta entità,
che, in quanto volta a consentire l’ingresso delle fognature nel depuratore comunale, e non anche ad ovviare a situazioni di pericolo connesse ad eventuali esondazioni, non era in grado di assicurare lo smaltimento delle acque piovane in caso di
piovosità estremamente rilevante.

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con i liquami ivi convogliati, al mero smaltimento, e difettando quindi del fonda-

3. — Con il quinto motivo, il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini dell’accertamento della re-

ni. Premesso che gli attori, dopo aver inizialmente ascritto l’evento alla mancata
chiusura di una paratoia che aveva favorito l’esondazione del fiume, avevano successivamente sostenuto che era stata proprio la chiusura della paratoia ad impedire
il deflusso delle acque piovane, l’Amministrazione osserva che la Corte di merito
si è limitata ad affermare che l’allagamento si era verificato in mattinata e ad individuarne la causa nel mancato funzionamento delle pompe, senza tener conto delle deposizioni dei testi e di altri elementi acquisiti in primo grado, da cui risultava
che la paratoia era rimasta aperta fino alle ore 13,00 e che l’allagamento si era verificato dopo le ore 17,00; essa ha inoltre trascurato che la portata dell’acqua era
tale da non poter essere smaltita neppure da un impianto perfettamente funzionante, in quanto, come riferito dalle parti e dal c.t.u., nelle dodici ore precedenti all’evento la piovosità aveva raggiunto il livello di 160 mm.
4. — Le predette censure, da esaminarsi congiuntamente e con priorità rispetto alle altre censure, in quanto aventi ad oggetto l’individuazione della causa dell’evento dannoso, sono infondate.
La sentenza impugnata ha infatti accertato che l’allagamento degli immobili
di proprietà degli attori, verificatosi in concomitanza con precipitazioni atmosferiche di particolare intensità, non fu causato da un’esondazione del fiume che scorreva nelle vicinanze, in conseguenza della mancata apertura della paratoia ordinariamente destinata ad assicurare il deflusso delle acque piovane dalle strade cittadine, ma dal mancato smaltimento delle medesime acque attraverso un collettore

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sponsabilità, ha ritenuto irrilevanti l’ora dell’evento e la portata delle precipitazio-

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destinato ad immetterle nel fiume proprio in caso di abbondanti precipitazioni, per
effetto del blocco delle pompe dell’impianto di sollevamento. In particolare, la
Corte di merito ha escluso che l’evento dannoso fosse riconducibile al caso fortui-

cipitazioni, e segnatamente della superiorità del livello delle acque riversatesi sulle strade rispetto alla portata dell’impianto di sollevamento, il quale, come accertato dal c.t.u., era progettato per far fronte a piogge di probabilità cinquantennale.
Tale ricostruzione della vicenda, in quanto giuridicamente corretta ed immune da vizi logici, resiste alle critiche dell’Amministrazione, la quale, nel ribadire la
riconducibilità dell’evento alla mancata apertura della paratoia, insiste in particolare sulla cronologia degli eventi, trascurando che la stessa è stata specificamente
presa in esame dalla sentenza impugnata, e ritenuta irrilevante alla luce degli accertamenti compiuti dal c.t.u., che avevano consentito di risalire ad una diversa
causa dell’evento. Nel riproporre la propria tesi, la difesa del Comune non considera peraltro che il suo accoglimento non consentirebbe di escludere la responsabilità dell’Amministrazione, in quanto, essendo l’azionamento della paratoia affidato a personale della stessa, l’accertamento dell’omissione di tale manovra o di
un’errata scelta del momento della sua esecuzione si tradurrebbe inevitabilmente
nel riconoscimento della negligenza o dell’imperizia dell’Ente nella gestione dell’opera pubblica. In tale prospettiva, non possono considerarsi decisive neppure le
deposizioni dei testi e le deduzioni dei consulenti di parte invocate dalla difesa del
ricorrente, il cui richiamo si risolve, in sostanza, nella sollecitazione di un nuovo
apprezzamento dell’intera vicenda, non consentito a questa Corte, alla quale non è
conferito il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di
controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-

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to, rilevando che non era stata fornita la prova del carattere eccezionale delle pre-

formale, l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, cui spetta in via esclusiva il compito d’individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le complessive risultanze del processo,

sottesi (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 4 novembre 2013, n. 24679; Cass., Sez. V,
16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. lav., 18 marzo 2011, n. 6288).
4.1. — Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riguardo alla portata
delle precipitazioni atmosferiche registrate in occasione dell’evento dannoso, la
cui eccezionalità è stata espressamente esclusa dalla Corte di merito, anche in relazione alla capacità di smaltimento dell’impianto di sollevamento, accertata dal
c.t.u. nella sua relazione.
Nessun rilievo può assumere, al riguardo, la circostanza che all’epoca dei fatti
l’impianto non fosse ancora in grado di spiegare interamente le proprie potenzialità, a causa dell’avvenuta installazione di un numero di pompe inferiore a quello
previsto dal progetto originario, la cui integrale realizzazione era stata impedita
dalla mancata concessione dei finanziamenti all’uopo necessari. Indipendentemente dall’osservazione della Corte d’Appello secondo cui nella specie nessuna delle
pompe installate entrò effettivamente in funzione, a causa di un guasto che rese
necessario un intervento di riparazione conclusosi soltanto nelle ore serali, il mancato completamento dell’impianto non consentirebbe di escludere la responsabilità
del Comune, alla stregua del principio, costantemente ribadito da questa Corte in
tema di costruzione e gestione delle opere pubbliche, secondo cui la discrezionalità di cui la Pubblica Amministrazione gode nella scelta dei tempi e dei mezzi con
cui provvedervi, e la conseguente insindacabilità delle relative determinazioni da
parte del Giudice ordinario, incontrano un limite di carattere esterno nel principio

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quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse

neminent laedere, il quale, imponendo l’osservanza delle specifiche norme tecni-

che e delle comuni regole di prudenza e diligenza a garanzia dell’incolumità e del
patrimonio dei terzi, giustifica, in caso di lesione di diritti altrui, l’affermazione

stanza che l’ente pubblico abbia correttamente seguito il complesso iter tecnicoamministrativo previsto per la realizzazione dell’opera (cfr. ex plurimis, Cass.,
Sez. III, 11 novembre 2011, n. 23562; 20 gennaio 2010, n. 907; 6 febbraio 2007,
n. 2566; 20 marzo 1998, n. 2980).
5. — Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e dell’art. 2697, primo comma, cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la questione riguardante la legittimazione passiva della Pordenone
Ambiente, senza considerare che la relativa eccezione, oltre ad essere stata sollevata nelle conclusioni rassegnate in primo grado ed esaminata nel merito dal Tribunale, era proponibile anche in appello, trattandosi di un’eccezione di diritto attinente al fondamento sostanziale della pretesa.
6. — Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
rilevando che la Corte di merito ha omesso di esaminare i documenti riguardanti i
rapporti tra l’Amministrazione e la Pordenone Ambiente, ed in particolare la deliberazione del 24 ottobre 1990, n. 810, con cui il Consiglio comunale aveva autorizzato l’affidamento in concessione del servizio pubblico relativo all’impianto di
sollevamento e pompaggio, la cui unica finalità consisteva proprio nel consentire
l’immissione delle acque fognarie provenienti da una vasta area del territorio comunale nel depuratore urbano. Secondo il ricorrente, oltre ad aver omesso di con-

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dell’antigiuridicità del fatto e la condanna al risarcimento, non ostandovi la circo-

siderare che l’affidamento in concessione del servizio pubblico comportava il trasferimento delle responsabilità inerenti alla gestione dal concedente al concessionario, la sentenza impugnata è incorsa in contraddizione, avendo escluso la re-

trollo degl’impianti.
7. — I due motivi devono essere esaminati congiuntamente, avendo entrambi
ad oggetto la decisione riguardante l’individuazione del soggetto passivo della pretesa risarcitoria.
La statuizione adottata al riguardo dalla Corte di merito risulta fondata su due
distinte rationes decidendi, costituite rispettivamente dalla qualificazione della
questione come domanda nuova, in quanto sollevata per la prima volta in appello,
a seguito dell’abbandono della domanda di manleva avanzata in primo grado nei
confronti della società concessionaria, e dal rigetto della stessa nel merito, giustificato dal rilievo che le scelte decisionali riguardanti l’uso delle pompe, affidate in
mera gestione manutentiva alla Pordenone Ambiente, erano sempre promanate dal
personale dirigente dell’Ente pubblico.
7.1. — In ordine al primo profilo, si osserva innanzitutto che la questione relativa alla titolarità attiva o passiva del rapporto controverso non attiene alla legittimino ad causum ma al merito, risolvendosi nell’accertamento di una situazione
di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della domanda, e non è pertanto
rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma è rimessa alla disponibilità delle parti, formando oggetto di un’eccezione in senso proprio, che dev’essere
sollevata nei termini a tal fine previsti (cfr. Cass., Sez. II, 23 maggio 2012, n.
8175; 3 giugno 2009, n. 12832). La proposizione di tale eccezione non poteva nella specie ritenersi implicita nella domanda avanzata in primo grado dal Comune

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sponsabilità di quest’ultimo, nonostante fosse tenuto alla manutenzione ed al con-

nei confronti della Pordenone Ambiente, la quale non era rivolta ad ottenere l’accertamento della responsabilità della società per i danni subiti dagli attori, ma la
sua condanna alla rivalsa di quanto eventualmente dovuto agli stessi, e pertanto

stendere a quest’ultimo la domanda principale in quanto fondata sul medesimo
rapporto dedotto a sostegno della stessa, ma come chiamata in garanzia impropria,
avente il suo titolo nel rapporto di concessione (cfr. Cass., Sez. 111, 5 marzo 2013,
n. 5400; 11 agosto 2004, n. 15563; Cass., Sez. 1, 28 marzo 2003, n. 4740). Correttamente, pertanto, la Corte di merito ha rilevato la novità della questione riguardante la responsabilità esclusiva della Pordenone Ambiente nella produzione dell’evento dannoso, sollevata dal Comune con l’atto di appello, pur avendo erroneamente ravvisato una domanda nella relativa deduzione, che invece, essendo rivolta
ad ottenere il rigetto della pretesa avanzata nei confronti dell’Amministrazione,
costituiva più propriamente un’eccezione. Il presente giudizio risulta peraltro promosso in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n.
353, e ad esso si applica quindi il secondo comma dell’art. 345 cod. proc. civ., nel
testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 52 della predetta legge, il quale,
ammettendo espressamente la proposizione di nuove eccezioni in appello, imponeva l’esame nel merito della questione sollevata dal Comune, indipendentemente
dalla sua proposizione nel precedente grado di giudizio.
7.2. — Non possono invece trovare ingresso, per difetto di autosufficienza, le
censure riguardanti l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui la modestia
della parte dell’impianto affidata alla Pordenone Ambiente e la natura meramente
manutentiva della gestione a quest’ultima demandata, con la conseguente riserva
al Comune delle decisioni riguardanti l’uso delle pompe, non consentivano di a-

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non si configurava come chiamata in causa del terzo responsabile, idonea ad e-

scrivere alla concessionaria la responsabilità dell’allagamento.
Premesso che, alla luce dell’accertamento compiuto dalla sentenza impugnata, l’esclusione della predetta responsabilità risulta conforme al principio, enuncia-

nario di un’opera pubblica per il mancato o difettoso funzionamento della stessa
presuppone che a lui siano riconducibili le scelte riguardanti il funzionamento e la
manutenzione, essendo egli tenuto, per legge o per contratto, ad assicurarli in piena autonomia rispetto all’Amministrazione concedente (cfr. Cass., Sez. I, 16 aprile
1997, n. 3248; 9 dicembre 1977, n. 5337), si osserva che, nel richiamare la delibera consiliare concernente l’affidamento in gestione dell’impianto alla Pordenone
Ambiente, il Comune si è limitato a riportarne nel ricorso soltanto una parte del
testo, insufficiente a consentire una valutazione in ordine alla decisività del documento ai fini dell’individuazione dei poteri spettanti alla società concessionaria e
degli obblighi correlativamente posti a suo carico. La parte che, in sede di legittimità, faccia valere il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione
alla mancata o erronea valutazione di un documento prodotto in giudizio, ha infatti l’onere, a pena d’inammissibilità, di trascriverlo nel ricorso per intero o almeno
nelle sue parti salienti, al fine di consentire a questa Corte di verificarne l’idoneità
ad orientare in senso diverso la decisione del giudice di merito, sulla base delle
sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con
indagini integrative (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. II, 14 ottobre 2010, n. 21224;
Cass., Sez. VI, 30 luglio 2010, n. 17915; Cass., Sez. III, 16 ottobre 2007, n.
21621).
8. — Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, cen-

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to da questa Corte, secondo cui l’affermazione della responsabilità del concessio-

surando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ascritto alla condotta colposa
dell’Amministrazione i danni riportati dal Lambiase. Sostiene infatti che, nel ricondurre l’evento alla mancata apposizione di transenne sulla strada allagata, la

te al fatto, da cui risultava che l’attore, pur consapevole dell’allagamento, aveva
deciso di transitare per la strada, in tal modo accettando i relativi rischi.
8.1. — Il motivo è inammissibile.
Nel ricondurre l’affermazione della propria responsabilità per i danni riportati
dall’autovettura del Lambiase al mero accertamento di una situazione di apparente
transitabilità della strada, il ricorrente non coglie interamente la rano decidendi
della sentenza impugnata, la quale ha ravvisato la colpa dell’Amministrazione non
già nella violazione di un generico dovere d’intervento a tutela della sicurezza della circolazione, ma nella mancata esecuzione di un ordine da essa stessa specificamente impartito, ed avente ad oggetto la chiusura al traffico delle strade interessate dall’allagamento e l’apposizione di un’adeguata segnaletica. Nonostante l’espresso riferimento alla nota fattispecie dell’insidia, la situazione esaminata dalla
Corte di merito si differenzia dalla mera esistenza di un pericolo occulto, contraddistinto sotto il profilo oggettivo dalla non visibilità dell’ostacolo e sotto quello
soggettivo della sua imprevedibilità, caratterizzandosi invece per l’imposizione a
carico dell’Amministrazione di un preciso dovere di attivarsi, la cui configurabilità impedisce che il nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento possa ritenersi
interrotto per effetto della sola dimostrazione che il danneggiato era consapevole
del pericolo.
9. — Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti, che si li-

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Corte di merito non ha tenuto conto della deposizione resa dall’unico teste presen-

guidano come dal dispositivo.

P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso, e condanna il Comune di Pordenone al pagamento delle

Euro 15.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di
legge, in favore di Santin Alessandro, Santin Romana, Santin Alessandra, Santin
Giovanna, Santin Cristina e Fabris Rotelli Matilde, in complessivi Euro
10.200,00, ivi compresi Euro 10.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi,
oltre agli accessori di legge, in favore di Gazzola Mario, Del Ben Bruno, Di Napoli Rosario, Ragone Vito, Atzori Giuseppe, in qualità di procuratore speciale di
D’Alfonso Ornella in Atzori, del Centro Video Di Spinato & C. S.n.c. e della Ricaterm S.r.l., in complessivi Euro 3.200,00, ivi compresi Euro 3.000,00 per
compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, in favore di
Makovac Vlado, ed in complessivi Euro 2.200,00, ivi compresi Euro 2.000,00 per
compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, in favore di
Lambiase Francesco.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2013, nella camera di consiglio della
Prima Sezione Civile

spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 15.200,00, ivi compresi

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