Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4801 del 26/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4801 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 17673-2007 proposto da:
OLIVIERI

ROMANO

LVRRMN42T3OL182E,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo
studio dell’avvocato TRALICCI GINA, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

TORO ASSICURAZIONI S.P.A. 13432270158 in persona del
Presidente Dr. LUIGI DE PUPPI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CARLO FELICE 103, presso lo
studio dell’avvocato BERCHICCI GIANCARLO, che la

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Data pubblicazione: 26/02/2013

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

CARSOLANA CALCESTRUZZI S.R.L.;
– intimata –

di ROMA, depositata il 20/02/2007, R.G.N. 3890/1997;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/01/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
GIACALONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso;

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avverso la sentenza n. 817/2007 della CORTE D’APPELLO

IN FATTO E IN DIRITTO
1. Romano Olivieri conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma
la S.r.l. Carsolana Calcestruzzi, in qualità di proprietaria dell’autocarro tg.
BA A29405, e la S.p.A. Toro Ass.ni, in qualità di assicuratore della predetta
per la RCA, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni
fisici da lui subiti a seguito del sinistro stradale del 5 febbraio 1990.

dell’autovettura BMW tg. RM 97957H ferma per motivi di viabilità in V.
Tiburtina, località Tivoli, era stato violentemente urtato dall’autocarro di
proprietà della Carsolana Calcestruzzi e condotto da tale Domenico
Granaroli; a seguito di quanto accaduto, aveva riportato lesioni personali
che avevano richiesto l’intervento dei sanitari dell’ospedale “S. Giovanni”
per le cure del caso; inutilmente aveva chiesto alla Toro il risarcimento dei
danni subiti. Si costituiva la sola Toro ella domanda di cui contestava il
fondamento, soprattutto in ordine alla insussistenza dei nesso causale tra le
lesioni e l’evento. Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo che l’attore
non avesse fornito la prova della riconducibilità delle lesioni fisiche
accertate dal c.t.u. con l’incidente:dalla denuncia di sinistro, peraltro
disconosciuta dalla convenuta in quanto semplice fotocopia, e dal mancato
interrogatorio formale si poteva ritenere ammesso il sinistro ed i danni alle
cose, ma non anche i danni alla persona e la loro connessione causale con il
sinistro medesimo.
2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il

20.02.2007, la Corte di Appello di Roma ha, per quanto qui rileva, respinto
l’appello dell ‘Olivieri, affermando:
2.1. che questi aveva censurato la sentenza del Tribunale per avere
proceduto ad un’analisi separata delle acquisizioni probatorie e,
segnatamente, della denuncia del sinistro avente valore di confessione
stragiudiziale e della mancata risposta all’interrogatorio formale da parte del
rappresentante legale della Carsolana Calcestruzzi, senza valutarle nel loro
complesso. All’udienza del 2 marzo 1992, il difensore di Olivieri, anziché
indicare i testi per i quali aveva articolato la prova testimoniale, produsse
copia della denuncia di sinistro del rappresentante legale della Carsolana, di
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Esponeva che: il giorno del fatto, mentre si trovava alla guida

cui ha lamentato la mancata valutazione come confessione stragiudiziale.
Nella medesima udienza, il difensore di controparte ebbe a disconoscere
espressamente la copia fotostatica della scrittura, per cui l’attrice che
intendeva avvalersi della prova documentale avrebbe dovuto produrne
l’originale oppure fornire la prova del contenuto di essa attraverso i mezzi
ordinari. Non avendolo fatto, non era dato attribuire alcuna valenza
probatoria alla dichiarazione prodotta in fotocopia in giudizio. In ogni caso,

rilevato l’assoluta assenza di riferimenti, nella denuncia, alle pretese lesioni
fisiche lamentate dall’attore e costituenti l’oggetto della domanda. Il secondo
elemento che il Tribunale non avrebbe adeguatamente valorizzato era la
mancata risposta all’interrogatorio formale deferito al rappresentante legale
della Carsolana Calcestruzzi. Ebbene, la convenuta società, non
costituendosi, si era resa contumace, comportando l’obbligo, per l’attore, di
notificare al rappresentante legale di essa l’ordinanza che aveva ammesso
l’interrogatorio. La mancata osservanza della disposizione di cui all’art. 392
c.p.c., impediva al giudice di tener conto, contrariamente alla tesi
dell’appellante, della mancata risposta, valutandola a norma dell’art. 232
c.p.c.;
2.2. il Tribunale aveva preso atto delle risultanze della c.t.u. medicolegale che aveva riconosciuto una serie di esiti dannosi di carattere
temporaneo e permanente Tuttavia, il giudice di primo grado aveva ritenuto
non provato il nesso causale con il sinistro in questione, osservando che le
lesioni avrebbero potuto essere state provocate da eventi precedenti od
anche successivi, comunque non legati all’evento dedotto dall’attore. Sicché,
andava verificato il contenuto delle testimonianze ammesse in appello, per
valutare se le stesse costituissero prova delle lesioni lamentate dal
danneggiato. Il teste Conti Antonio aveva riferito di essersi trovato sul luogo
del sinistro nel momento in cui si verificò e di aver visto alcune persone
aiutare Olivieri ad uscire dalla sua autovettura, ma di non ricordare se
presentasse ferite o lamentasse dolori. Il teste Di Benedetto Renzo ha
riferito di avere soccorso Olivieri e di ricordare che lo stesso accusava
dolori alla schiena. Ebbene, i due testimoni avevano confermato l’esistenza
del sinistro, già ritenuto provato dal Tribunale, ma nulla avevano potuto dire
sia in ordine alla sua cinematica sia, soprattutto, alle pretese lesioni fisiche
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era pienamente condivisibile l’argomentazione del Tribunale, che aveva

asseritamente subite da Olivieri Romano ed oggetto della controversia.
3. L’Olivieri propone ricorso per cassazione, cui resiste la Toro
Assicurazioni con controricorso, chiedendo respingersi il ricorso.
4. Il ricorrente deduce: violazione o falsa applicazione delle norme di
diritto ex art. 360 n 3 c.p.c., con riguardo agli artt. 2733 e 2719 c.c. 214 e
215 324 c.p.c. – error in procedendo — 232, 61 e 191c.p.c. — vizio di
motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. — motivazione apparente e formula i

4.1.a. se il disconoscimento della conformità all’originale, della copia
fotostatica di documenti, é soggetto alle modalità ed ai termini fissati dagli
artt. 214 e 215 c.p.c. e, pertanto, deve avvenire nella prima udienza o nella
prima risposta successiva alla produzione, in modo formale e specifico;
4.1.b. se sia apparente la motivazione di una sentenza che abbia omesso
di pronunciarsi su una circostanza determinate ai fini della definizione della
controversia;
4.2. se sia obbligo dell’attore notificare l’ordinanza ammissiva
dell’interrogatorio formale del convenuto qualora questo non sia contumace;
4.3.a. se nell’ipotesi in cui l’efficacia confessoria della mancata risposta
all’interrogatorio formale sia stata accertata con sentenza passata in
giudicato tale statuizione non sia più modificabile in sede di gravame;
4.3.b. se sia obbligo del Giudice valutare la mancata riposta
all’interrogatorio formale in relazione alle ulteriori risultanze istruttorie;
4.4.a. se il Giudice il quale disattenda il parere espresso dal CTU ha
l’onere di dare di ciò adeguata motivazione, autonomamente e direttamente
penetrando nella questione tecnica e di questa giungendo a dare propria,
diversa motivazione e soluzione e non può limitarsi alla mera affermazione
di principi tecnici;
4.4.b. se è da ritenersi illegittima la motivazione per relationem della
sentenza pronunciata in sede di gravame ove il giudice di appello, facendo
proprie le argomentazioni del primo giudice non esprima le ragioni della
conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti.
5. Il ricorso si rivela inammissibile, per inidonea formulazione dei
quesiti di diritto. Questa deve effettuarsi in modo rigoroso e preciso,
evitando quesiti multipli o cumulativi (Cass. 29 maggio 2012, n. 8551, in
motivazione). In particolare, va qualificato quesito multiplo quello che sia
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seguenti quesiti:

formulato in modo tale rendere necessaria una molteplicità di risposte da
parte della Suprema Corte e tale, altresì, che le relative risposte risultino tra
loro differenziate, se non addirittura contrastanti (Cass. 14 giugno 2011, n.
12950, in motivazione; v. anche Cass. 23 settembre 2011, n. 19443).
5.1. Senza contare che il ricorso è inammissibile anche perché si conclude
con quesiti di diritto assolutamente astratti del tutto svincolati dalla
fattispecie, senza confrontarsi con la ratio che sostiene la sentenza

che è alla base del provvedimento impugnato quanto il principio di diritto,
diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione da parte della Corte
possa condurre a una decisione di segno inverso rispetto a quella della
sentenza impugnata (tra le tantissime, in tale senso, Cass. 23 maggio 2012,
n. 8166, in motivazione, nonché Cass. 16 febbraio 2012, n. 2222, secondo
cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione nel quale si denunci
la sentenza impugnata sotto il profilo di cui all’art. 360 n. 3, c.p.c. qualora il
quesito di diritto che lo conclude sia formulato in termini difformi dallo
schema delineato in margine all’art. 366 bis c.p.c. dalla giurisprudenza del
Supremo collegio, non recando – in particolare – la riassuntiva ma puntuale
indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del
merito li hanno rispettivamente decisi, delle diverse regole di diritto la cui
applicazione avrebbe condotto a diversa decisione. Il quesito, infatti, in
un’ipotesi come quella in esame, si rivela astratto e generico, privo di
riferibilità al caso concreto e di decisività, tale cioè da non consentire in
base alla sua sola lettura di individuare la soluzione adottata dalla sentenza
impugnata e di precisare i termini della contestazione, nonché di poter
circoscrivere la pronuncia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto.
5.2. Invero, sulla base di una giurisprudenza più che consolidata di
questa Corte, vigente l’art. 366 bis c.p.c. il quesito di diritto deve contenere:
a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di
merito: b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel
giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si
sarebbe dovuta applicare al caso di specie. La carenza di uno solo di tali
elementi comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione
(Cass. 29 maggio 2012, n. 8551, cit.; in tal senso, v. anche Cass., 17/7/2008
n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e
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impugnata, omettendo totalmente di individuare tanto il principio di diritto

della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art.
366 c.p.c., n. 4 – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non
potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il
quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del
motivo, poiché una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione
tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941).
5.3. Inoltre, nella parte del ricorso in cui viene dedotto il vizio di cui al

argomentativo della decisione impugnata), manca il cosiddetto “momento di
sintesi”, che si sostanzia in un’illustrazione che, pur libera da rigidità
formali, deve esporre in maniera chiara e sintetica il fatto controverso – in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la
motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).
5.4. – Orbene, nel caso in esame, rispetto alla parte dei motivi che
deducono vizi motivazionali, non è stato formulato il “momento di sintesi”,
che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla
mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico
autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n.
16002), non potendo convertirsi in tale illustrazione gli assolutamente
generici e tautologici “quesiti”, che lamentano l’apparenza, l’inadeguatezza
o la formulazione per relationem della decisione su alcune questioni
(precedenti punti 4.1.b., 4.4.a. e 4.4.b.). Manca, quindi, in relazione a dette
censure, la chiara indicazione delle ragioni per le quali le dedotte
insufficienze della motivazione la rendano inidonea a sorreggere la
decisione, di modo che manca l’adeguata sintesi, che circoscriva
puntualmente i limiti delle doglianze, in modo da non ingenerare incertezze
nella formulazione del ricorso e nella valutazione della sua ammissibilità
(Cass. S.U. n. 20603/2007 e 16528/2008; Cass. n. 27680/2009, ord.).
L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta, perciò,
impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa
Corte (Cass. n. 9470/08), che, invece, deve essere posta in condizione di
comprendere dalla sola lettura del quesito o del momento di sintesi quale sia
l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. n. 24255/2011).
5.5. Senza contare che l’assenza degli indicati elementi influisce anche
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n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (il cui oggetto riguarda il solo iter

per altri versi sull’ammissibilità dei motivi.
La formulazione del primo motivo, difettando gli elementi di fatto e
quelli relativi allo svolgimento processuale della relativa questione,
dimostra che la censura non tiene conto che la decisione impugnata è in
armonia con il consolidato orientamento di questa S.C., secondo cui il
disconoscimento delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., che
fa perdere alle stesse la loro qualità di prova, pur non essendo soggetto ai

circostanziato ed esplicito (dovendo concretizzarsi nell’allegazione di
elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà
riprodotta) e – al fine di non alterare l’iter procedimentale in base al quale il
legislatore ha inteso cadenzare il processo in riferimento al contraddittorio deve essere tempestivo e cioè avvenire nella prima udienza o nella prima
risposta successiva alla rituale acquisizione delle suddette riproduzioni,
dovendo per ciò intendersi la prima udienza o la prima risposta successiva al
momento in cui la parte onerata del disconoscimento sia stata posta in
condizione, avuto riguardo alla particolare natura dell’oggetto prodotto, di
rendersi immediatamente conto del contenuto della riproduzione (Cass. n.
9526/2010; 8998/2001).
Inoltre, quanto alle altre censure, il difetto di adeguati riferimenti in fatto,
anche in ordine allo sviluppo processuale delle relative questioni, non
consente di verificare se, nel proporre le censure, la parte ricorrente abbia
tenuto conto delle effettive ragioni su cui poggia la decisione impugnata (v.
precedenti punti 2.1. e 2.2.), con conseguente impossibilità per questa Corte
di verificare la decisività delle censure mosse e, quindi, l’effettiva
sussistenza dell’interesse ad impugnare. Infatti, si deve ribadire che, in tema
di impugnazioni, qualora la sentenza del giudice di merito (o un capo di
questa) si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e
giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione,
con ricorso per cassazione, anche di una sola di tali ragioni, determina
l’inammissibilità, per difetto d’interesse, anche del gravame (o del motivo di
gravame) proposto avverso le altre, in quanto l’avvenuto accoglimento del
ricorso (o del motivo di ricorso) non inciderebbe sulla ratio decidendi non
censurata, onde la sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto
legittimamente, su di essa (Cass. n. 22753/2011, ord.; 3386/2011;
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limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve, tuttavia, essere chiaro,

24540/2009; 13070/2007; 2811/2006; 16602/2005; 4199/2002).
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio che liquida, in favore di ciascuno dei contro
ricorrenti, in Euro 1.400,00=, di cui Euro 1.200,00 per onorario, oltre
accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

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