Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4796 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 28/02/2011), n.4796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

nei cui uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 è domiciliata;

– ricorrente –

contro

SEPA SRL in Liquidazione con sede in (OMISSIS), in persona del

legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta delega in

calce al controricorso, dall’Avv. Cremisini Lelio, nel cui studio, in

Roma Via Domenico Millelire n. 6, è elettivamente domiciliata,;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 54/31/2008 della Commissione Tributaria

Regionale di Milano – Sezione n. 31, in data 08/05/2008, depositata

il 14 maggio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica Udienza del 13

gennaio 2011 dal Relatore Dott. Antonino Di Blasi;

Udito, pure, l’Avv. Giuseppe Albenzio dell’Avvocatura Generale dello

Stato, per l’Agenzia Entrate;

Sentito, altresì, il Procuratore Generale Dott. Federico Sorrentino,

che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società contribuente impugnava in sede giurisdizionale l’avviso di mora, emesso per ILOR ed accessori, relativamente all’anno 1991.

L’adita CTP di Milano annullava detto avviso, giusta decisione, confermata dai Giudici di appello. Divenuta, definitiva tale ultima sentenza, la società notificava atto di messa in mora per il rimborso di quanto pagato in base all’avviso di mora, poi annullato, e quindi presentava ricorso per ottemperanza, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1998, art. 70, al giudicato, con il quale era stato riconosciuto, come indebito, il pagamento.

In tale sede, l’adita CTR dichiarava cessata la materia del contendere, avendo rilevato che l’Amministrazione Finanziaria aveva già trasmesso al Concessionario per la riscossione, l’ordine di sgravio delle imposte indebitamente pagate, contenente il contestuale invito alla società a presentarsi allo sportello esattoriale, per conseguire il rimborso.

La contribuente, riteneva erronea tale decisione, e quindi presentava istanza di correzione, evidenziando che non era stata fatta corretta applicazione dell’art. 70, posto che non era stata data piena attuazione al giudicato.

L’Ufficio resisteva, evidenziando l’insussistenza dei presupposti per dare ingresso al procedimento di correzione e, comunque, rilevando che, essendo stato ottemperato alla sentenza, con l’emissione del provvedimento di sgravio, ogni ulteriore pretesa doveva essere fatta valere nei confronti del Concessionario. Con la decisione in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, la CTR, considerando lo sgravio non avvenuto, disponeva la nomina di un Commissario ad acta per l’ottemperanza al giudicato.

Tale ultima decisione è impugnata dall’Agenzia Entrate con tre mezzi. Resiste, giusto controricorso, l’intimata società.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo l’Agenzia Entrate censura l’impugnata decisione, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 70, comma 7 e dell’art. 112 c.p.c., rilevandone l’erroneità, sia per non avere considerato che l’istanza di correzione è proponibile, solo per l’errore materiale o l’omissione, di cui risulti affetta la sentenza, – nel caso pacificamente insussistente – , sia pure per non avere esaminato, nè essersi pronunciata, in ordine all’eccezione di inammissibilità dell’istanza di correzione, atteso il disposto del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 70, comma 10, che, avverso la sentenza emessa in sede di giudizio di ottemperanza, ammette soltanto il ricorso per cassazione.

Con il secondo motivo, si deduce violazione dell’art. 287 c.p.c. e D.Lgs n. 546 del 1992, art. 70 e si rappresenta che, ove come prospettato, la cessazione della materia del contendere, fosse stata dichiarata in assenza dei relativi presupposti, la sentenza che tale statuizione aveva adottato, non poteva considerarsi affetta da errore materiale, bensì da errore di diritto, e quindi andava impugnata in Cassazione, come prescritto dal citato art. 70, comma 10.

Con l’ultimo mezzo, si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, sostenendosi che l’Ufficio aveva dato corretta esecuzione alla sentenza legittimante il rimborso, emettendo il provvedimento di sgravio, per il tramite di sportello esattoriale.

L’intimata, giusto controricorso, chiede la conferma dell’impugnata sentenza, con declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.

Ritiene,, anzitutto, il Collegio che il ricorso di legittimità, di che trattasi, sia ammissibile, dovendosi ritenere che contro le sentenze pronunciate dalle commissioni tributarie nel giudizio di ottemperanza al giudicato è proponibile ricorso per cassazione, sia per inosservanza delle norme di quel procedimento (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 70), sia pure per violazione di legge (In tal senso, Cass. n. 7801/2304).

Nel merito, ritiene il Collegio che i primi due mezzi, che data l’intima connessione vanno esaminati congiuntamente, siano fondati e vadano accolti, alla stregua di condivisi principi di diritto e del quadro normativo di riferimento, quale desumibile dalle norme del processo tributario e da quelle del c.p.c.. Deve, infatti, ritenersi che il procedimento di correzione di errori materiali, disciplinato dagli artt. 287 e ss. cod. proc. civ., è funzionale alla eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo, qualora palesemente emerga l’incongruenza della materiale esteriorizzazione del pensiero rispetto al concetto ad esso sotteso, concretandosi in un difetto di corrispondenza tra l’ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica -, ma non può in alcun modo incidere sul contenuto concettuale della decisione (Così Cass. n. 13075/2002).

Si è, al riguardo, affermato che “Il procedimento per la correzione degli errori materiali di cui all’art. 287 cod. proc. civ. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento, mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, senza che possa incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione” (Cass. n. 816/2000, n. 4096/1996).

In buona sostanza, per consolidato orientamento giurisprudenziale, deve ritenersi che deve qualificarsi come errore materiale suscettibile di correzione, quello che non riguarda la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento e si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile “ictu oculi”.

In applicazione di tali principi va escluso che potesse integrare errore materiale la circostanza di fatto che la CTR, pronunciando sul ricorso per ottemperanza, – rilevato che l’Amministrazione aveva trasmesso al Concessionario per la riscossione l’ordine di sgravio con contestuale invito a presentarsi allo sportello esattoriale per il rimborso del dovuto in base al giudicato -, abbia dichiarato cessata la materia del contendere (Cass. n. 5196/2002, n. 7712/2000, n. 10129/1999).

Infatti, deve ritenersi che, con la sentenza n. 05.31.2008, la CTR abbia operato una valutazione in ordine al provvedimento utile per dare attuazione al giudicato e, opinando che l’intervenuto sgravio ed il provvedimento sotteso al rimborso, fossero in tal senso satisfattivi, e che, pertanto, nessun interesse giustificava la prosecuzione del giudizio di ottemperanza, ha dichiarato cessata la materia del contendere.

(Cass. n. 5196/2002, n. 7712/2000, n. 10129/1999). Non vertevasi, dunque, in tema di errore materiale, bensì di errore di giudizio, con la conseguenza che, la relativa decisione, in ipotesi, andava impugnata con ricorso in Cassazione, giusto il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 10.

La decisione in questa sede impugnata, risulta, allora, aver fatto malgoverno del quadro normativo di riferimento e dei principi affermati dalle citate pronunce:, per non avere esaminato e deciso l’eccezione di inammissibilità dell’istanza di correzione, ritualmente proposta dall’Agenzia (pag. 3 della memoria 23-24 aprile 2008).

Vanno, dunque, accolti, per quanto di ragione, i primi due mezzi e dichiarato assorbito il terzo, e, per l’effetto, – cassata l’impugnata decisione.

Non essendo, peraltro, necessari ulteriori accertamenti di fatto, desumendosi dagli atti in esame i denunciati vizi del procedimento, segnatamente l’utilizzo del procedimento di correzione in caso non previsto dalla legge, nonchè il mancato esame della relativa eccezione di inammissibilità sollevata ritualmente dalla controparte, pronunciando sull’istanza di correzione proposta dalla società, la dichiara inammissibile. Avuto riguardo all’esito del giudizio, nelle fasi di merito e di legittimità, nonchè alle questioni trattate, le spese della fase di merito vanno compensate, mentre vanno poste a carico della società contribuente le spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro duemiladuecento, oltre quelle prenotate a debito.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata decisione e dichiara inammissibile l’istanza di correzione di errore materiale proposta dalla società; compensa le spese della fase di merito e condanna l’intimata società al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro duemiladuecento, oltre quelle prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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