Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4787 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2011, (ud. 13/12/2010, dep. 28/02/2011), n.4787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

T.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 146/2004 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 01/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2010 dal Consigliere Dott. SERGIO BERNARDI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nei confronti di T.L. fu accertato un maggior reddito di partecipazione per l’anno 1991. La contribuente impugnò l’avviso, fra l’altro, per la parte che le irrogava sanzioni, lamentando che non le era stato consentito di definire la violazione con il pagamento di un sesto del massimo della pena edittale:, giusta la previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55, comma 3. Sul punto, il ricorso fu respinto in primo grado ma accolto in appello.

L’Amministrazione finanziaria ricorre per la cassazione della sentenza della CTR con due motivi. Parte intimata non si è difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Poichè l’accertamento imponeva il pagamento di una imposta maggiore di quella liquidata sulla dichiarazione del contribuente, si sostiene, col ricorso, che non sussisteva per quest’ultimo la possibilità di definire la violazione col versamento di un sesto del massimo della pena irrogabile, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973,comma 3, art. 55. Quella possibilità è limitata, secondo l’Amministrazione ricorrente, alle violazioni che non danno luogo ad accertamenti in rettifica.

La CTR ha annullato l’avviso accogliendo la opposta tesi, secondo la quale la definizione mediante pagamento del sesto sarebbe consentita non solo per le violazioni cui si riferisce il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55, comma 3, ma anche quelle previste dal secondo comma di quell’articolo. I giudici hanno invocato, a sostegno della decisione, la pronuncia di questa corte 1120/2002, con la quale tale conclusione è stata ritenuta conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale 364/1987, la cui ratio decidendi, inadeguatamente rispecchiata dal dispositivo, sarebbe stata nel senso, di ritenere ingiustificata la disparità di trattamento fra le violazioni previste dall’art. 55 citato, comma 2 e 3.

Col ricorso la tesi è contestata, col richiamo del tenore letterale delle disposizioni del secondo e del terzo comma dell’art. 55, che detterebbero all’evidenza una diversa disciplina per le diverse ipotesi contemplate; e col richiamo dei limiti della questione decisa dal giudice delle leggi con la sentenza 364/1987, che avrebbe riguardato esclusivamente la previsione dell’art. 55 terzo comma Dpr 600/73, e la differente disciplina apparentemente dettata per le violazione constatate in sede di accessi, ispezioni e verifiche e rispetto a quelle rilevate “in ufficio”.

Gli argomenti del ricorso sono persuasivi, ed inducono a rimeditare la questione, anche alla luce delle considerazioni espresse dalla Corte costituzionale con l’ordinanza 304/2001. Investita della questione di legittimità della D.P.R. n. 55 del 1973, art. 55, comma 2, (per la disparità del trattamento, ritenuta dal giudice remittente, che quella norma stabilisce rispetto alla previsione del terzo comma dell’articolo) il giudice delle leggi ha dichiarato manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità, osservando che l’art. 55, comma 2 e 3, contemplano ipotesi di fatto fra loro disomogenee, che ben ne giustificano un diverso trattamento normativo. La pronuncia assume una valenza di interpretazione autentica della sentenza 364/1987, smentendo l’assunto, che costituisce il fulcro di Cass. 1120/2002, che la ratio della declaratoria di incostituzionalità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 55, comma 3 (per la diversa disciplina dettata per le violazioni accertate in sede ispettiva ed “in ufficio”) fosse estensibile alle violazioni previste dal citato art. 55, comma 2.

E’ fondato anche il secondo motivo, col quale si lamenta che il dispositivo della sentenza impugnata (“annulla l’avviso dell’Ufficio”) estende la pronuncia oltre la portata dell’impugnazione accolta, che concerneva esclusivamente le sanzioni irrogate D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 55. Ciò risulta dal testo della sentenza ed è riscontrabile dagli atti, in ragione della natura (in procedendo) del vizio denunciato.

Il ricorso va dunque accolto. La sentenza impugnata va cassata e – non essendo necessari altri accertamenti di fatto – va respinto l’appello della contribuente.

Poichè la pronuncia modifica l’orientamento invocato con l’appello, è giustificata la compensazione delle spese dei gradi di impugnazione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello della contribuente. Compensa le spese dei gradi di impugnazione.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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