Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4787 del 26/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4787 Anno 2013
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: AMATUCCI ALFONSO

SENTENZA
sul ricorso 4208-2010 proposto da:
SOCIETA’

S.P.A.

EUROPEA EDIZIONI

01790590150

in

persona del legale rappresentante pro tempore, CERVI
MARIO CRVMRA21C25D142M, FARINA RENATO
FRNRNT54S10D286M, elettivamente domiciliati in ROMA,
CORSO VITTORIO EMANUELE II 21, presso lo studio
2013
175

dell’avvocato LO GIUDICE VINCENZO, che li rappresenta
e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

SGARBI VITTORIO, ZURLO STEFANO, BOCCASSINI ILDA;

1

Data pubblicazione: 26/02/2013

-

intimati –

avverso la sentenza n. 1/2009 della CORTE D’APPELLO di
BRESCIA, depositata il 02/01/2009, R.G.N. 414/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/01/2013 dal Consigliere Dott. ALFONSO

udito l’Avvocato LUCA LO GIUDICE per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine per il rigetto del
ricorso;

2

AMATUCCI;

RITENUTO IN FATTO
l.

Per quanto in questa sede ancora interessa, con

sentenza n. 409 del 7.2.2003 il Tribunale di Brescia, in
parziale accoglimento della domanda di Ilda Boccassini,
condannò solidalmente il giornalista Renato Farina, il

Cervi e l’editrice Società Europea di Edizioni s.p.a., a
pagare all’attrice la somma di C 130.000 a titolo del
risarcimento del danno non patrimoniale provocatole mediante
la pubblicazione sul quotidiano di quattro articoli del Farina
nei giorni 27.2.1999, 2.3.1999, 4.3.1999 e 11.3.1999. Gli
articoli concernevano tutti la vicenda relativa all’arresto ed
al processo svoltosi nei confronti di un uomo ed una donna di
colore, originariamente sospettati di aver tentato di
introdurre nel territorio italiano due minori da impiegare in
attività illecite; ed erano stati ritenuti diffamatori nei
confronti di Ilda Boccassini, che se n’era occupata quale
sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Milano.
Renato Farina fu inoltre condannato a corrispondere
l’ulteriore somma di C 7.750 a titolo di riparazione
pecuniaria. ai sensi della legge sulla stampa n. 47 del 1948.
2.

La Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame dei

convenuti (nonché quello incidentale dell’attrice) con
sentenza n. 1/09, pubblicata il 2.1.2009.

3

direttore responsabile del quotidiano “Il Giornale” Mario

3.-

Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione la

Società Europea di Edizioni s.p.a., Mario Cervi e Renato
Farina.
Non hanno svolto attività difensiva né Ilda Boccassini né
gli altri intimati Stefano Zurlo e Vittorio Sgarbi, anch’essi

sulle statuizioni relative ai quali, rispettivamente di
rigetto quanto allo Zurlo e di improcedibilità quanto alla
Sgarbi (a seguito di delibera della Camera dei deputati sulla
sussumibilità delle sue dichiarazioni nell’ambito applicativo
dell’art. 68, comma l, Cost.), non sono formulate doglianze in
questa sede.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l.- La sentenza è censurata:

a)

col primo motivo, per violazione o falsa applicazione

dell’art. 21 Cost., 595 e 51 c.p., 648 e 652 c.p.p. per avere
la Corte d’appello ravvisato la portata diffamatoria degli
articoli benché, per gli stessi fatti, i convenuti fossero
stati assolti in sede penale con sentenza del Tribunale di
Brescia in data 19.5.2005, sulla quale s’era formato il
giudicato;
b) col secondo, per omessa o insufficiente motivazione sui
motivi d’appello; per essersi apoditticamente limitata a
riaffermare la portata diffamatoria delle pubblicazioni senza
farsi carico delle censure mosse alla sentenza di primo grado
(nelle circa 50 pagine successive alle prime 53, nelle quali

4

originariamente convenuti e parti del giudizio di appello, ma

erano riassunti i motivi di gravame e le ragioni della
decisione di primo grado);
c) col terzo motivo, per violazione e falsa applicazione delle
stesse norme indicate nel primo motivo (qui riportate sub a)
per aver ritenuto che anche l’esimente costituita dal diritto

notizia pubblicata, mentre sarebbe invece sufficiente che ne
sia vero il solo nucleo essenziale;
d)

col quarto ed ultimo motivo per omessa o insufficiente

motivazione sul punto relativo alla liquidazione dei danni in
via equitativa.
2.- Va subito rilevato che il secondo ed il quarto motivo,
concernenti prospettati vizi di motivazione ex art. 360, n. 5,
c.p.c., sono inammissibili per l’assoluta inidoneità del
momento di sintesi prescritto dall’art. 366

bis

c.p.c.,

applicabile ratione temporis.
2.1.- L’illustrazione del secondo motivo si conclude,
infatti, col seguente “quesito” (come tale qualificato dai
ricorrenti) e richiesta di enunciazione del corrispondente
principio di diritto:
“E’ la sentenza impugnata nulla per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per il
giudizio ovvero per negata applicazione delle esimenti del
diritto di critica giornalistica di cui all’art. 51 c.p. agli
(a cavallo delle pagine 21 e 22

articoli oggetto di giudizio?”
del ricorso).

5

di critica giornalistica richieda la verità sostanziale della

Per un verso, dunque, impropriamente si chiede che sia
enunciato un principio di diritto a fronte di un denunciato
vizio di motivazione, invece correlabile solo ad una

quaestio

facti.
Per altro verso inammissibilmente si domanda se il motivo

Infine si omette totalmente il momento di sintesi
prescritto dalla disposizione citata, consistente nella
“chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria,
ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.
2.2.- Considerazioni in tutto analoghe si attagliano al
quarto motivo, anch’esso concernete vizio di motivazione e
correlato da un “quesito” del seguente testuale tenore,
neppure pertinente nella parte in cui si riferisce alla
sentenza irrevocabile di assoluzione:
“E’ la sentenza impugnata nulla per avere erroneamente
considerato la sussistenza e l’entità del danno anche a
seguito di sentenza penale irrevocabile di assoluzione, nonché
per aver omesso di indicare sulla base di quali allegazioni
e/o deduzioni è stato considerato esistente tale danno e, in
ogni caso, per aver erroneamente applicato i principi di
diritto in materia di liquidazione del danno?”
ricorso).

6

(pag. 37 del

sia fondato.

E’ il caso di aggiungere che di ogni prospettata questione
concernente la liquidazione del danno la sentenza impugnata si
ex professo

occupa

alle pagine da 91 a 99 della sentenza

gravata.
3.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

primo capoverso) ha osservato essere “autorevole opinione
della Suprema Corte, che pienamente si condivide, che la
sentenza di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento
e divenuta definitiva abbia efficacia nei confronti del
danneggiato qualora il medesimo si sia costituito nel detto
processo penale o sia stato posto in condizioni di costituirsi
parte civile,

salvo che abbia esercitato l’azione in sede

civile a norma dell’art. 75, secondo comma c.p.p.

(cfr., da

ultimo, Cass. 7.3.2007, n. 5265, vedasi anche Cass.,
27.9.1996, n. 8517), fatto che – come innanzi ricordato – è
nella fattispecie in esame in effetti avvenuto e da cui
consegue, pertanto, la non efficacia della prodotta pronuncia
giudiziale nel presente giudizio civile”.
E’ noto, infatti, che il codice di procedura penale del
1988 non ha riprodotto la regola, dettata dall’art. 3 del
codice di rito previgente, della necessaria pregiudizialità
del processo penale rispetto a quello civile, ispirandosi, al
contrario, alla tendenziale autonomia dei due giudizi (cfr.,
ex multis,

Cass. n. 7057/2000); e, d’altronde, l’art. 652,

primo comma, ultima parte, c.p.p. è chiarissimo nello

7

Del tutto correttamente la sentenza impugnata (a pag. 54,

stabilire che l’efficacia di giudicato della sentenza penale
di assoluzione nel giudizio di risarcimento subisce una deroga
nel caso in cui il danneggiato abbia esercitato l’azione in
sede civile a norma dell’art. 75, comma 2, dello stesso
codice. In tal caso egli può evitare di incorrere nella

giudicato penale di assoluzione

(ex coeteris,

Cass., nn.

4775/2004 e 14770/2004). E’ insomma del tutto compatibile col
nuovo assetto dei rapporti fra giudizio penale e civile la
possibilità che il giudicato penale e quello civile presentino
contrasti tra loro, senza che tale conflitto comporti
conseguenza alcuna, continuando ad esplicare i giudicati la
loro efficacia nell’ambito dei rispettivi ordinamenti civile e
penale (Cass., n. 17342/2002).
4.

Anche il terzo motivo è infondato.

Lungi dall’aver confuso diritto di critica e di cronaca, la
Corte d’appello ha invece ritenuto che i quattro articoli di
cui è causa contenessero circostanze false e gravemente
denigratorie, nonché l’uso di termini gravemente offensivi. Ed
è ovvio che, benché la critica sia diversa concettualmente
dalla cronaca, non per questo può essere sviluppata sulla base
di circostanze non vere, mediante una volutamente falsa
rappresentazione della realtà presupposta, come assai
diffusamente motivato in fatto dalla Corte d’appello.
Va soggiunto che la realtà non era nella specie costituita
dal solo arresto della donna – al quale i ricorrenti sembrano

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sospensione del relativo giudizio e di subire gli effetti del

riduttivamente

riferire

l’esigenza

di

veridica

rappresentazione, solo a quello conferendo la valenza di
“nucleo essenziale della notizia” – ma più specificamente dai
comportamenti tenuti e dalle decisioni assunte dalla dott.ssa
Boccassini, secondo la Corte di merito fatti oggetto di

criticati sulla base di una falsa rappresentazione dei
presupposti in base ai quali erano stati adottati.
5.- Il ricorso è respinto.

Non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Roma, 23 gennaio 2013

illazioni diffamatorie in quanto o falsi essi stessi o

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