Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4786 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 28/02/2011), n.4786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

BARBIERA ROBERTO & C SAS, in persona del Socio Accomandatario

pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA JACOPONE DA TODI 44

presso lo studio dell’avvocato FAIOLA VALERIA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BONETTI PAOLO, giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 53/2004 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 04/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE SOCIO GIANNA MARIA, che ha

chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero dell’economia e l’agenzia delle entrate impugnano la sentenza della CTR, indicata in epigrafe, che, in parziale accoglimento del gravame di questa, rigettava in parte l’impugnativa della società Barbiera Roberto & C. Sas. avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta INVIM decennale sino al 1992, fondato sulla cessazione dell’uso strumentale del complesso immobiliare.

A sostegno deducono un unico motivo, mentre la contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate stessa, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

Per quanto poi attiene alla posizione dell’agenzia, essa deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.D.P.R. n. 643 del 1972, artt. 6 e 25, comma 1, lett. d), in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che la B. invocava l’esenzione totale dall’imposta a partire dalla data di acquisto degli immobili nel dicembre 1979, e non dalla fine del primo decennio nel 1989. Inoltre il beneficio invocato in sostanza costituisce una sospensione d’imposta, che viene meno allorquando il bene perda la destinazione d’uso strumentale con decorrenza dall’acquisto o dall’ultima tassazione.

La censura si articola in due argomentazioni: A) la prima attiene al vizio di ultrapetizione, che non si configura nella fattispecie, trattandosi di pronuncia inerente al “thema decidendum” ed al “petitum”, dal momento che il giudice di appello sostanzialmente delibava tutta la domanda della contribuente volta al riconoscimento dell’esenzione, che tuttavia non riconosceva per gli anni successivi al primo decennio sino alla cessazione del carattere strumentale degli immobili, e poteva benissimo fare questo. Infatti, com’è noto, il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione -annullamento, bensì tra quelli di impugnazione – merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria. Ne consegue che il giudice, il quale ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve, nè può, limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle parti; e questo è quanto era stato oggetto di delibazione e statuizione da parte del giudice “a quo” (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 1549 del 2007, n. 21221 del 2006).

B) Circa la seconda doglianza va osservato che anch’essa è infondata, dal momento che, come esattamente ritenuto dalla CTR, in tema di IMVIM, in caso di alienazione dei fabbricati dichiarati, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 25, comma 2, lett. d), esenti dall’imposta per decorso del decennio, di cui all’art. 3 del citato decreto, la base imponibile deve essere determinata assumendo come valore iniziale quello corrispondente alla data dell’acquisto e non a quella di cessazione della strumentalità dei beni all’impresa, ovvero dal decorso del decennio, come nella specie, senza che ciò potesse dar luogo a dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. (V. Corte cost., sent. n. 98 del 2003). Più precisamente, l’incremento di valore degli immobili strumentali, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 25, comma 2, lett. d), esenta dall’applicazione dell’imposta per decorso del decennio, deve essere assoggettato all’imposta di cui all’art. citato D.P.R. n. 643 del 1972 nel caso di cessazione della destinazione strumentale dei medesimi, e la base imponibile va determinala assumendo come valore iniziale quello corrispondente alla data di acquisto del bene, ovvero quella del compimento dell’ultimo decennio, posto che la ragione del beneficio concesso dalla disposizione del D.P.R. n. 643 del 1972, comma 2, lett. d), si ricollega strettamente alla destinazione dell’immobile, nel senso che esso, fin quando svolge un ruolo strumentale all’interno dell’azienda, può essere sottratto dal titolare alla tassazione decennale (così da evitare la spinta alla vendita del bene stesso), ma quando esso esco dall’attività d’impresa non v’è ragione perchè il vantaggio economico che il proprietario riceve debba essere sottratto a tassazione. Non v’è, infatti, differenza ontologica tra la vendita di un’unità immobiliare destinata ad usi commerciali rimasta inutilizzata e la vendita del medesimo bene che sia stato utilizzato per la sua destinazione naturale (Cfr. pure Cass. Sentenze n. 6785 del 05/05/2003, n. 7502 del 2002). Peraltro tale convincimento è aderente alla più recente accreditata giurisprudenza di questa Corte, che ormai si è discostata da altre pronunce di segno opposto.

Invero, secondo le medesime (ormai appunto superate) l’incremento di valore, una volta cessata l’utilizzazione strumentale, diveniva si soggetto all’imposta medesima, ma la base imponibile, al compimento del decennio, veniva determinata assumendo come valore iniziale quello corrispondente alla data di cessazione del rapporto di strumentalità (e non alla data dell’acquisto), posto che l’incremento di valore tra l’acquisto ed il compimento del periodo di utilizzazione diretta è esente da INVIM decennale ed è, quindi, insensibile all’applicazione dell’imposta stessa (V. anche Cass. Sentenze n. 4448 del 26/03/2003, n. 8166 del 2002).

Quindi in rapporto alle corrette valutazioni giuridiche della CTR, le doglianze della ricorrente non riescono ad intaccare quelle del giudice del gravame, onde queste vanno condivise, con il conseguente rigetto del ricorso.

Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze; rigetta quello dell’agenzia, e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in complessivi Euro 2.700, 00 (duemilasettecento/00), di cui Euro 200,00 per esborsi, ed Euro 2.500,00 per onorario, oltre a quelle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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