Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4783 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2011, (ud. 30/11/2010, dep. 28/02/2011), n.4783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.r.l. APD, con sede in (OMISSIS), in

persona del liquidatore, elettivamente domiciliata in Roma al Corso

Vittorio Emanuele II n. 187 presso lo studio degli avv. Licata

Antonella e Massimo Giordano insieme con l’avv. Margherita MANTINI

che la rappresenta e difende in forza della “procura” rilasciata a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

il Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma alla Via del Tempio di Giove n. 21 (Avvocatura

Comunale) insieme con l’avv. ONOFRI Luigi che lo rappresenta e

difende in forza della procura rilasciata a margine del

controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 60/14/04 depositata il 16 settembre 2004 dalla

Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 30 novembre 2010

dal Cons. Dr. Michele D’ALONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. APICE

Umberto, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 31 ottobre 2005 al Comune di Roma (depositato il 18 novembre 2005), la s.r.l. APD, in forza di quattro motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 60/14/04 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (depositata il 16 settembre 2004) che aveva recepito l’appello del Comune avverso la decisione (597/57/02) della Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale (“in considerazione del fatto che la richiesta impositiva del Comune …

non teneva conto del numero dei messaggi pubblicitari diffusi da essa ricorrente in relazione ai quali deve essere computata l’imposta così come chiarito dalla legge finanziaria per l’anno 2000”) aveva accolto il suo ricorso.

Nel controricorso notificato il 30 novembre 2304 (depositato il 14 dicembre 2004) il Comune intimato instava per il rigetto dell’impugnazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale premette:

– “la Commissione tributaria provinciale di Roma ha accolto il ricorso della A.P.D. s.r.l. in liquidazione contro la pretesa del Comune di Roma di maggiore impesta di pubblicità dovuta per l’anno 1998 sulle affissioni realizzate dalla stessa, nella considerazione che detto tributo va commisurato al tempo di esposizione del messaggio pubblicitario, come precisato dalla L. n. 388 del 2000, art. 145, comma 56, modificativo del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 3”;

– “il Comune di Roma ha proposto appello rilevando che, per effetto della L. n. 212 del 2000, art. 1 è escluso che le norme tributarie abbiano efficacia retroattiva e che, nella specie, in assenza di una specifica denunzia di cessazione dell’esposizione del messaggio pubblicitario, atteso che il presupposto dell’imposta va individuato nel possesso dell’impianto, prescindendo dall’effettivo utilizzo, appare fondata la pretesa impositiva rapportata all’intera annualità”;

– “l’appellata non si è costituita”.

Tanto premesso la commissione ha accolto l’appello del Comune osservando:

“è pur vero che, come si evince da molte decisioni di merito, è stata ritenuta applicabile la tesi secondo la quale il legislatore ha inteso applicare in ogni caso l’imposta con riguardo all’effettiva durata del messaggio pubblicitario piuttosto che tenendo presente il criterio unico della tariffa annuale, ma non si può non rilevare che, nella fattispecie, la società nè nel corso del giudizio di primo grado nè in questa sede ha saputo fornire alcuna specifica prova in ordine alla conclamata utilizzazione degli spazi pubblicitario temporalmente parziale e, cioè, non superiore al periodo di tre mesi davanti ai giudici di prime cure, si è limitata ad esporre mere argomentazioni giuridiche sull’applicabilità del D.Lgs. n. 567 del 1993, art. 12, ma non ha provato di aver presentato dichiarazione di cessazione dell’utilizzo degli impianti pubblicitari in questione”.

2. La contribuente impugna la decisione per quattro motivi.

A. Con il primo la ricorrente – esposto che “nell’atto di appello, cosìcome negli atti di primo grado, il Comune di Roma è stato rappresentato e difeso dal Dirigente del Servizio AA.PP. che ha emesso gli atti di accertamento oggetto della sentenza impugnata” – denunzia “nullità dell’appello” (“con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado”) assumendo apparire “di tutta evidenza come l’appello fosse del tutto nullo, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado impugnata” per “carenza del potere di rappresentanza in giudizio in capo al firmatario dell’atto” avendo “giustamente e più volte rilevato questa Corte … ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 267 del 2000” che “la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così prevedesse lo statuto comunale” (Cass., trib., 7 giugno 2004, n. 10787 …) e ancora che “la legittimazione a promuovere giudizi in rappresentanza dell’ente Comune compete al Sindaco e, in caso di suo impedimento, al vicesindaco; essa può altresì spettare al Segretario generale, nella sua qualità di dirigente di ufficio dirigenziale generale, peraltro solo in quanto gli sia stata attribuita dal Sindaco o derivi da una norma dello statuto o del regolamento dell’ente locale, non anche invece ai Dirigenti, dipendenti pubblici, giacchè quando ha inteso a costoro attribuire il potere di rappresentare l’ente cui sono preposti la legge lo ha fatto espressamente, mentre nulla prevede con riferimento ad essi il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che riserva in via esclusiva al Sindaco (e al Presidente della Provincia) la rappresentanza giudiziale dell’ente. Nè tale legittimazione può essere desunta dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 – secondo cui ai dirigenti sono attribuiti “la direzione degli uffici e dei servizi” (comma 1) nonchè “tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno” (comma secondo, prima parte) in quanto deve escludersi che essi importino anche il potere di rappresentanza dell’ente; o del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 6 – in base al quale il Comune (così come la Provincia) ha il potere di disciplinare “i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio” -, e pertanto il regime delle autorizzazioni a promuovere o a resistere in giudizio, ma non anche all’individuazione dei soggetti che possono rappresentare (in giudizio) l’ente. Ne consegue che eventuali disposizioni in senso diverso adottate dal regolamento comunale (o provinciale), in quanto in violazione della legge devono essere dal giudice ordinario disapplicate della L. n. 2248 del 1865, ex art. 5″ (Cass. sez. 3^, 10 febbraio 2003, n. 1949 …)”.

B. Con il secondo motivo la società – assunto che “allegate alla memoria illustrativa vi sono le dichiarazioni di pubblicità con le attestazioni dei pagamenti” (“è questa la prova che attesta l’utilizzo temporale e l’avvenuto pagamento dell’imposta”) – contesta l’affermazione del giudice di appello secondo cui essa “società nel corso del giudizio di primo grado nè in questa sede ha saputo fornire prova in ordine alla conclamarla utilizzazione degli spazi pubblicitari temporalmente parziale ..” e denunzia “nullità della sentenza per omessa contraddittoria ed errata valutazione su un punto decisivo della controversia” affermando che “sarebbe stato interessante conoscere la motivazione per la quale le dichiarazioni di pubblicità con relativi bollettini di pagamento allegate alla memoria illustrativa depositata … in primo grado non sono …

considerate una “prova”” tenuto conto che “il D.Lgs. n. 507 del 2093 … dispone all’art. 8, comma 1, che il soggetto passivo è tenuto ad effettuare le dichiarazioni di pubblicità prima di iniziare la diffusione dei messaggi indicando le caratteristiche, la durata della pubblicità e l’ubicazione degli impianti”.

Per la ricorrente “se il giudicante ravvisa la necessità di una dichiarazione di cessazione di utilizzo degli impianti deve essersi avveduto che esiste una dichiarazione di utilizzo”, donde “la contraddittorietà della motivazione”.

C. Con il terzo motivo la contribuente contesta l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale secondo cui essa “non ha prodotto la dichiarazione di cessazione di utilizzo degli impianti” e denunzia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8 ” affermando che “la legge non prevede che venga resa una simile dichiarazione atteso che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 2, ne impone una nuova solo nel caso in cui vi sia variazione di pubblicità”.

Per la ricorrente:

– “non è previsto che sia necessario, ogni volta che si rende la dichiarazione di pubblicità, dichiarare altresì la cessazione di utilizzo degli impianti precedentemente denunciati”;

– “quanto sopra trova la propria ratio nella circostanza che se le dichiarazioni devono contenere l’indicazione della durata della pubblicità è ovvio che gli impianti, decorso lo spazio temporale dichiarato, non sono più utilizzati a meno che l’Ente impositore non dimostri che la dichiarazione è mendace”;

– “nel caso di specie nè in primo nè in secondo grado il Comune ha contestato le dichiarazioni di pubblicità”.

D. Con il quarto (ed ultimo) motivo la ricorrente denunzia che l'”omessa considerazione” dell'”esistenza delle dichiarazioni di pubblicità e dei relativi pagamenti” costituisce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12” (che “recita 1. Per la pubblicità effettuata mediante insegne, cartelli, locandine, targhe, stendardi o qualsiasi altro mezzo non previsto dai successivi articoli, la tariffa dell’imposta per ogni metro quadrato di superficie e per anno solare è la seguente: (… omissis ..); 2. Per le fattispecie pubblicitarie di cui al comma 1 che abbiano durata non superiore a tre mesi si applica per ogni mese o frazione una tarla pari ad un decimo di quella ivi prevista; 3. Per la pubblicità, effettuata mediante affissioni dirette, anche per conto altrui, di manifesti e simili su apposite strutture adibite all’esposizione di tali mezzi si applica l’imposta in base alla superficie complessiva degli impianti nella misura e con le modalità previste dal comma 1”) ed espone:

– “del tutto corretta … appare la liquidazione dell’imposta effettuata da essa società …, atteso che nella specie trattavasi di pubblicità effettuata tramite “affissioni dirette” (ipotesi contemplata nel comma 3), ma di durata non superiore ai tre mesi (ipotesi contemplata nel comma 2)”;

– “la liquidazione effettuata dal Comune sulla base della tariffa ordinaria prevista dal citato art. 12, comma 1, deriva, probabilmente, dall’applicazione, dell’art. 8, lett. c) del Regolamento Comunale (Del C.C. n. 289 del 1994 attuativo del citato D.Lgs. n. 507 del 1993), ma la norma base è, e rimane il disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, secondo cui il presupposto per il pagamento dell’imposta di pubblicità è la presenza del messaggio pubblicitario”;

– “tale disposizione collocata “ad latitudine”, decisamente significativa nel corpo della legge, individua senza ombra di dubbio la natura dell’imposta di pubblicità: ossia la natura di tributo indiretto dovuto sul presupposto del “consumo”;

– “il Comune nella sua memoria di costituzione … pretenderebbe invece di ancorare l’imposta di pubblicità alle concessioni in forze della quali sono stati insellati gli impianti pubblicitari, quasi a voler sostenere che l’imposta di pubblicità sia un corrispettivo per detta concessione” e “sostiene, inoltre, … che siccome l’impianto non è certamente un mezzo continuamente smontabile la sua fissità comporterebbe la permanenza senza soluzione di continuità della pubblicità” (“cioè, secondo tale tesi anche quando la ditta non abbia commissioni, e quindi possibilità di guadagno, dovrebbe comunque corrispondere l’imposta perchè dovuta a fronte del rilascio di un titolo autorizzativo e perchè la stabilità del cartello indurrebbe a ritenere un susseguirsi di affissioni senza soluzione di continuità”);

– “tale “particolare” tesi non appare condivisibile sia perchè in aperto contrasto con il preciso dato normativo, sia perchè in contrasto con elementari principi di diritto tributario”: ” tale assunto è stato denegato i sia dalla giurisprudenza di merito …

sia dalla dottrina … sia dalla prassi (circolare n. 10/E/7/810 del 11 marzo 1994 …) … sia infine, dall’intervento del legislatore medesimo (cfr. L. n. 388 del 2000 la quale stabilisce che al “D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 12, comma 3, le parole: “dal comma 1”, sono sostituite dalle seguenti: “dai commi 1 e 2″, chiarendo, quindi, che l’imposta potrà essere pagata sia ad anno solare che a dichiarazione) il quale, puntualizzando le modalità di pagamento dell’imposta chiarisce, una volta per tutte, e soprattutto in via retroattiva (vedi quanto espresso sul punto nel ricorso introduttivo), il corretto significato da attribuire alle disposizioni in questione sin dalla sua entrata in vigore”.

3. Il ricorso – integrata la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c. – è infondato .

A. Il principio giurisprudenziale richiamato a sostegno del primo motivo di ricorso (riassumibile nell’affermazione secondo cui in materia tributaria “la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se così prevedesse lo statuto comunale”), invero, non è (più) idoneo a sorreggere la censura perchè (cfr., Cass., trib. 3 febbraio 2008 n. 2585 e 22 giugno 2007 n. 14637) l’art. 3 bis (“capacità dell’ente locale di stare in giudizio attraverso il dirigente”) – contenuto nell'”allegato” alla L. 31 maggio 2005, n. 88, (di conversione del D.L. 31 marzo 2005 n. 44, recante disposizioni urgenti in materia di enti locali) -, successivamente intervenuto, ha (1) espressamente “sostituito” il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3, con il seguentè”: “l’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio”, e (2) prescritto (secondo comma) che “la disposizione di cui al comma 1 si applica anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione di quel … decreto”.

B. Logica impone, quindi, di scrutinare il motivo (ultimo) di doglianza relativo alla pretesa “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12”, con il quale la contribuente afferma la correttezza (“del tutto corretta … appare”) della “.liquidazione dell’imposta” come sa essa effettuata perchè “trattatasi di pubblicità effettuata tramite “affissioni dirette” (ipotesi contemplata nel comma 3), ma di durata non superiore i tre mesi (ipotesi contemplata nel comma 2)”.

Sulla doglianza, infatti, va confermato (per carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria).

Il principio più volte affermato da questa sezione (sentenze: 8 ottobre 2007 n. 21049; 30 gennaio 2007 n. 1915; 12 gennaio 2007 n. 552; 1 aprile 2004 n. 6446) secondo cui l’oggetto dell’imposta comunale sulla pubblicità, in base al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 1, 3, 4 e 5, è costituito dai comportamenti pubblicitari, visivi o acustici, realizzati per il tramite di affissione su appositi impianti o di altri mezzi e va riferito non all’attività di diffusione del messaggio ma al mezzo pubblicitario disponibile ed alla relativa potenzialità di uso, con la conseguenza che nel caso, quale quello di specie, di pubblicità per affissione diretta effettuata da società su impianti di proprietà e per conto terzi, deve escludersi, ai sensi dell’art. 12, comma 3, del citato decreto, che, sino all’entrata in vigore (1 gennaio 2001) della modifica apportata a tale disposizione dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 145, comma 56, privo di efficacia retroattiva: cfr., Cass., trib., 7 febbraio 2008 n. 2826: “norma innovativa priva di efficacia retroattiva perchè, di là dell’assenza di una esplicita dichiarazione in tal senso (peraltro, non eludibile nella materia tributaria secondo i principi stabiliti nel cd. statuto del contribuente L. n. 212 del 2000, ex art. 1) essa non interpreta, ma modifica positivamente, attraverso il richiamo all’art. 12, comma 2 il precedente sistema di calcolo dell’imposta in questione”, possa essere applicata la tariffa ridotta contemplata dal comma secondo del citato art. 12, commisurata alla durata non superiore a tre mesi del messaggio pubblicitario.

In particolare va ricordato che siffatto principio è scaturito proprio dall’esito dell’indagine sistematica dell’afferente complesso normativo; nella richiamata sentenza n. 6446 del 1 aprile 2004, infatti, si è univocamente esposto:

“è ben vero che il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 5, comma 1, afferma che la diffusione di messaggi pubblicitari … è soggetta all’imposta … sulla pubblicità, ma si deve tener conto anche del fatto:

– che l’art. 5 è solo una norma integrativa dell’oggetto del tributo rispetto a quello della pubblicità tramite impianti di affissione …;

– che, quando il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 7, regola la quantità del contenuto dell’imposta, assume come parametro per la sua determinazione la “superficie minima della figura geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario indipendentemente dal numero dei messaggi in esso contenuti”, e tra i numeri figura anche lo zero, che corrisponde alla mancata utilizzazione dell’impianto;

– che il D.Lgs 15 novembre 1993, n. 507, art. 8, prescrive che nella dichiarazione del contribuente è riservato un ruolo rilevante alla superficie esposta del mezzo pubblicitario che si intende utilizzare (comma 2);

– che il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 6, comma 1, prevede che “soggetto passivo dell’imposta sulla pubblicità, è colui che dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso”.

Se si tiene conto di tutte queste disposizioni normative, si deve ritenere che, nonostante la formula letteraria adottata dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 5, comma 1, oggetto del tributo sia il mezzo disponibile e non il mezzo disponibile effettivamente utilizzato per la diffusione di messaggi pubblicitari, e, tanto meno, perciò, che oggetto del tributo sia l’attività di diffusione di tali messaggi.

Si consideri, inoltre, che la presunzione di utilizzazione è analoga a tutte quelle presunzioni tributarie che svolgono anche la funzione di disincentivare la mancata utilizzazione di beni economici, il cui uso risponda anche ad esigenze di utilità sociale”.

C. Dalla riscontrata infondatezza della censura testè esaminata discende il necessario assorbimento dei restanti due motivi di ricorso (di contestazione: l’uno, dell’assunto del giudice a quo secondo cui la “società nel corso del giudizio di primo grado nè in questa sede ha saputo fornire prova in ordine alla conclamarla utilizzazione degli spazi pubblicitari temporalmente parziale …”;

l’altro, della necessità di una “dichiarazione di cessazione di utilizzo degli impianti”): l’esame degli stessi, infatti, suppone si verta in ipotesi di “utilizzazione degli spazi pubblicitari temporalmente parziale”, esclusa dalla innanzi accertata giuridica irrilevanza (nello specifico anno di imposta), per la categoria delle affissioni dirette, della mera “utilizzazione degli spazi pubblicitari” in presenza di una disponibilità (non “temporalmente parziale”, comunque non limitata dal provvedimento di concessione) del “mezzo pubblicitario”.

4. Per la sua totale soccombenza la ricorrente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. deve essere condannata a rifondere al Comune le spese processuali del giudizio di Legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe professionali forensi, tenuto contro del valore della controversia e della effettiva attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società a rifondere al Comune le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.200,00 (milleduecento/00), di cui Euro 1.000,00 (mille/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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