Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4783 del 26/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4783 Anno 2013
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: AMATUCCI ALFONSO

SENTENZA

sul ricorso 17815-2007 proposto da:
THERMA S.P.A. 05883260159 in persona del Presidente
del

suo

consiglio

rappresentante

pro

d’amministrazione
tempore

Ing.

e

legale
GIANLUIGI

CASTIGLIONI, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO
w
2013
167

TONIOLO 6, presso lo studio dell’avvocato MORERA
UMBERTO, che la rappresenta e difende unitamente agli
avvocati CERA MARIO, MANSANI LUIGI giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

1

Data pubblicazione: 26/02/2013

BONO

ENERGIA

00757520150

S.P.A.

dell’amministrazione

delegato

in

Ing.

persona
GIUSEPPE

BOSCHETTI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CIRENAICA 15,

presso lo studio dell’avvocato PICARDI

NICOLA, che la rappresenta e difende unitamente agli

giusta delega in atti;

avverso la sentenza n.

controricorrente

631/2007 della CORTE D’APPELLO

di MILANO, depositata

il 06/03/2007,

R.G.N.

4696/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/01/2013 dal Consigliere Dott. ALFONSO
AMATUCCI;
udito l’Avvocato BRUNO CHESI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per
95—L’e
l’inammissibilità in subordin.í>
rigetto
del ricorso;

2

r;\

avvocati BONUOMO NICOLA, CHESI BRUNO, RAPISARDI ALFIO

RITENUTO IN FATTO
l.

Nel giugno del 1989 Bono Energia s.p.a. (in seguito Bono)

e Therma s.p.a. raggiunsero un accordo col quale, elencati i
quattro giudizi tra le stesse pendenti, uno dei quali avente
ad oggetto contraffazione di brevetto, convennero di
“la

Therma s.p.a. dichiara e garantisce che dal l ° settembre 1989
non provvederà alla produzione d alla commercializzazione di
caldaie che possano interferire con il brevetto ING. BONO n.
1158910 e che quindi produrrà e commercializzerà una caldaia
con caratteristiche comunque nuove e diverse da quelle di cui
al brevetto stesso

(clausola di cui al paragrafo 2) e che

“poiché è essenziale e determinante del presente accordo
quanto stabilito al precedente paragrafo 2, il mancato avvera
mento di tale condizione comporterà la risoluzione della
presente transazione, con facoltà delle parti di riprendere i
giudizi o comunque di adottare ogni altra opportuna iniziativa
che riterranno di loro interesse”

(clausola di cui al

paragrafo 6).
2.

Il 27.1.1997 Bono, sostenendo di avere scoperto che

Therma aveva continuato nella produzione e commercializzazione
di caldaie uguali a quelle di cui alla suddetta clausola n. 2,
propose ricorso per descrizione ex artt. 81 e 82 del r.d. n.
1127/1939 e, eseguita la descrizione, con citazione del
27.2.1997 convenne in giudizio Therma innanzi al Tribunale di
Milano chiedendo che la convenuta fosse dichiarata

3

rinunciare a tutte le domande, stabilendo altresì che

inadempiente all’accordo del giugno del 1989, che le fosse
inibita la continuazione della fabbricazione e della vendita
delle caldaie prodotte secondo il citato brevetto Bono e che
la stessa fosse inoltre condannata al risarcimento dei danni
subiti dall’attrice a seguito dell’inadempimento.
si

costituì

e

resistette.

Le

conclusioni

dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio furono nel senso
che le caldaie descritte interferissero col diritto
d’esclusiva dell’attrice.
Con

sentenza

n.

14769

del

27.10.2003

il

Tribunale,

pronunciando solo sull’an debeatur in linea con la richiesta
di Bono, dichiarò l’inadempimento di Therma disponendo che il
giudizio proseguisse per la determinazione del quantum.
3.- La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame di
Therma, cui aveva resistito Bono, con sentenza n. 631,
pubblicata il 6.3.2007, sul preliminare rilievo di fondo che
la riportata clausola n. 6 integrava una clausola risolutiva
espressa e non una condizione risolutiva potestativa.
4.- Avverso detta sentenza Therma ricorre per cassazione
affidandosi a tre motivi, cui Bono resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l.-

Col primo motivo sono denunciate violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 1362 e 1456 c.c. nonché ogni
possibile tipo di vizio della motivazione, per avere la Corte
d’appello, nell’escludere che la clausola n. 6 dell’accordo
transattivo integrasse una condizione risolutiva e nel

4

Therma

ritenere che costituisse invece una clausola risolutiva
espressa, violato la regola ermeneutica secondo la quale per
determinare la comune intenzione delle parti occorre valutare
il loro comportamento complessivo anche posteriore alla
conclusione del contratto. Se lo avesse fatto non avrebbe

di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa.
1.1.-

Il motivo – inammissibile per inottemperanza

all’ultima previsione dell’art. 366
temporis)

bis

(applicabile

ratione

nella parte in cui è denunciato anche il vizio di

cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. – è manifestamente infondato,
avendo Bono s.p.a. agito non per la risoluzione del contratto,
ma per l’adempimento (per il futuro) e per il risarcimento dei
danni, come risulta assolutamente ovvio dalla sua domanda,
volta alla inibizione della produzione e della
commercializzazione da parte di Therma s.p.a. delle caldaie
con caratteristiche assistite dal diritto di privativa di Bono
s.p.a. ed al risarcimento da inadempimento delle obbligazioni
pattiziamente assunte.
Il secondo comma dell’art. 1456 c.c. è del resto chiarissimo
nello stabilire che, quando in contratto sia prevista una
clausola risolutiva espressa, la risoluzione si verifica di
diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che
intende valersi della clausola risolutiva. Il che
evidentemente significa anche che l’interessato ha facoltà di
non avvalersi della clausola risolutiva e dunque di non

5

potuto non rilevare che Bono s.p.a. non aveva mai dichiarato

dichiarare di volersene avvalere, sicché il non averlo fatto
(nella specie, appunto, mai) non è certo suscettibile di
essere considerato sintomatico, sul piano ermeneutico, del
fatto che la clausola non fosse stata in realtà apposta e che
la diversa conclusione del giudice del merito sia, per questo,

2.- Col secondo motivo la sentenza è censurata per violazione

e/o falsa applicazione degli artt. 1353, 1362 e 1456 c.c.,
nonché per ogni possibile tipo di vizio della motivazione, per
avere la Corte d’appello, invece di esaminare le implicazioni
conseguenti alla mancata comunicazione, da parte di Bono, di
volersi avvalere della (supposta) clausola risolutiva
espressa, apoditticamente ritenuto che la qualificazione della
clausola nei termini proposti da Thema s.p.a. (condizione
risolutiva)

non appare compatibile con i comportamenti ed

insieme divergenti interessi che avevano indotto gli
stipulanti a stabilire quella regolamentazione complessiva.
Nel conclusivo quesito di diritto si chiede che la Corte
affermi – posto che anche l’inadempimento di una parte può
essere condizionante dell’efficacia del contratto in senso
risolutivo – “che elemento di distinzione tra i due istituti
deve essere considerata l’automaticità dell’effetto
risolutorio e, dunque, l’esistenza o meno della dichiarazione
del soggetto interessato di volersi avvalere della clausola”.
2.1.- Inammissibile anche qui, per le stesse ragioni esposte

sub

1.1., la censura

di vizio della motivazione (che è

6

erronea in diritto.

peraltro

assai

diffusa,

articolata

ed

analitica),

la

denunciata violazione di legge perpetua lo stesso equivoco che
connota il primo motivo: non v’è dubbio alcuno che condizione
risolutiva e clausola risolutiva espressa,

in ipotesi

correlate all’inadempimento di una parte, operino

diversamente; ma è manifestamente infondato l’assunto che lo
stabilire se si verta nell’uno o nell’altro caso dipenda
dall’avere o no la parte interessata dichiarato di volersi
avvalere della clausola risolutiva, essendo in facoltà della
parte adempiente optare, anziché per la risoluzione, per
l’esecuzione del contratto e, dunque, per l’adempimento e per
il risarcimento dei danni da inadempimento.
3.-

Col terzo motivo è dedotta omessa, insufficiente e/o

contraddittoria motivazione sul fatto decisivo e controverso
relativo alle “pattuizioni di cui alla clausola n. 3 della
transazione

inter partes

e la conseguente alienazione, da

parte di Therma, delle novecento azioni Bono di sua proprietà,
a fronte del corrispettivo simbolico di Lire 1000″ (così il
ricorso, a pag. 22, nella sintesi finale al termine
dell’illustrazione del motivo); fatto che, se considerato,
avrebbe indotto la Corte d’appello a conclusioni diverse da
quella assunta.
3.1.- A pagina. 9, ultimo capoverso della sentenza impugnata,

la Corte d’appello si fa carico degli argomenti addotti
dall’attuale ricorrente osservando testualmente:

7

i

”Non va d’altronde tralasciato di osservare in merito che la
difesa di quest’ultima

(n.d.e.: Therma s.p.a.)

ha ripetute

volte prospettato le ragioni essenziali della definizione
amichevole raggiunta nel 1989 ascrivendo alla società Bono un
preminente interesse ad eliminare un più vasto contenzioso

conversione del proprio brevetto per invenzione industriale in
semplice brevetto per modello d’utilità, mentre l’altra
società si riproponeva – e non v’è motivo per dubitarne – di
non incorrere in una condanna al risarcimento del danno
connesso alla contraffazione del brevetto (anche solo) per
modello d’utilità”.
Tra le ragioni essenziali

prospettate da Therma

non si

annoverava, dunque, secondo la Corte d’appello, la clausola
relativa alla cessione sostanzialmente gratuita di 1.000
azioni.
Che la considerazione di quella pattuizione fosse stata
invece prospettata alla Corte di merito come determinante era
onere della ricorrente Therma affermare e dimostrare in questa
sede (mediante gli opportuni richiami agli atti processuali).
In difetto di tale allegazione va escluso che la motivazione
sia carente per l’omessa considerazione di un fatto
qualificabile come decisivo.
La Corte d’appello ne ha analiticamente e pertinentemente
considerato decisivi altri, come s’è sopra accennato. E non

8

societario suscitato da Therma s.p.a., nonché ad evitare una

era

certo

tenuta

a

valutarli

singolarmente

tutti,

segnatamente se non decisivi.
4.- Il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che
liquida in E 11.200, di cui 11.000 per compensi, oltre agli
accessori di legge.
Roma, 23 gennaio 2013
Il presidente

LA CORTE DI CASSAZIONE

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