Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4782 del 26/02/2010
Cassazione civile sez. I, 26/02/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 26/02/2010), n.4782
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –
Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.D., elettivamente domiciliata in Roma, P. Vescovio 21,
presso l’avv. Manferoce Tommaso, che la rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– ricorrente –
contro
Fallimento Edil Caere Cooperativa di Produzione e Lavoro a r.l. in
persona del curatore;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Roma emesso nel fallimento n.
716/02 in data 9.11.2004.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17.12.2009 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Apice Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
FATTO E DIRITTO
In data 3.3.2004 S.D. veniva revocata dall’incarico di curatore del fallimento Edil Caere cooperativa produzione e lavoro a r.l., e, avendo già ricevuto Euro 8.000 a titolo di acconto, chiedeva un ulteriore acconto sul compenso per l’opera prestata, da calcolare sull’attivo ed il passivo realizzato, dedotto quanto già percepito.
Il Tribunale di Roma, sulla base del parere del nuovo curatore, che si esprimeva favorevolmente con riferimento alla liquidazione del compenso finale, in tal senso interpretata la richiesta del precedente curatore, liquidava a tale titolo la somma di Euro 20.000 al lordo dell’acconto ricevuto, sulla base di un attivo realizzato pari a Euro 117.119,31 e di un passivo accertato di Euro 7.049.821,87.
Avverso il detto provvedimento la S. proponeva ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poi ulteriormente illustrato da memoria, cui non resisteva l’intimato. In particolare con i due motivi di impugnazione la ricorrente denunciava violazione di legge sotto un duplice aspetto, vale a dire: 1) la liquidazione del compenso definitivo del curatore sarebbe stato determinato in modo errato e in violazione del D.M. 28 luglio 1992, n. 570, artt. 1 e 2, L. Fall., art. 39, poichè commisurato all’attivo realizzato e al passivo accertato sino alla data della revoca dall’incarico, senza quindi tener conto degli ulteriori utili che avrebbero potuto essere acquisiti, per effetto delle successive vendite di beni e degli esiti delle azioni giudiziarie nel frattempo intraprese; b) il provvedimento impugnato sarebbe del tutto privo di motivazione, sia con riferimento all’indicazione dei criteri adottati per la determinazione del compenso nell’indicata misura di Euro 20.000, sia in relazione all’omessa considerazione degli utili acquisiti nel corso della procedura successivamente al decreto di revoca dall’incarico di curatore.
Osserva il Collegio che il ricorso è ammissibile, avendo il provvedimento impugnato carattere di definitività (C. 06/17697), e che è fondato il primo motivo, restando assorbito il secondo, poichè, come già indicato da questa Corte (C. 07/26730, C. 00/14517, C. 98/10751, C. 98/5022), ai fini della liquidazione del compenso spettante agli organi della procedura occorre una valutazione unitaria dei dati rilevanti sotto tale aspetto, valutazione che, proprio per questo, può essere compiuta soltanto nella fase di chiusura del fallimento, quando cioè è possibile considerare nell’insieme l’opera svolta dalla pluralità di curatori succedutisi nel tempo ed i relativi risultati, e quindi stabilire, nell’ambito di un compenso riferibile all’intera procedura, la quota spettante a ciascuno di essi.
D’altra parte la correttezza di tale interpretazione si desume anche dalle identiche conclusioni cui è pervenuta la normativa più recente, atteso che la L. Fall., art. 39, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, dispone che in ipotesi di successione di più curatori nell’incarico il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed liquidato, in ogni caso, al termine della procedura, salvi eventuali acconti. Conclusivamente deve dunque ritenersi che il tribunale a torto ha liquidato il compenso definitivo al curatore revocato e che pertanto il decreto di liquidazione deve essere cassato, con rinvio al tribunale in diversa composizione perchè disponga in ordine alla istanza di liquidazione di acconto, in conformità di quanto originariamente richiesto.
Il tribunale provvedere infine anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2010