Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4777 del 26/02/2010

Cassazione civile sez. I, 26/02/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 26/02/2010), n.4777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A. & I. DELLA MORTE S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), subentrata con atto

di fusione all’impresa Costruzioni Ing. Italo Della Morte S.p.a., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DELL’ORSO 74, presso l’avvocato DI MARTINO

PAOLO, che la rappresenta e difende, giusta Procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.N., S.S., S.P., P.C.M. –

FUNZIONARIO DELEGATO C.I.P.E., A.R.I.N. S.P.A.;

– intimati –

e sul ricorso n. 11331/2004 proposto da:

S.N. (c.f. (OMISSIS)), S.S. (c.f.

(OMISSIS)), S.P. (c.f. (OMISSIS)),

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

SCOTTI GALLETTA ANTONIO, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

A. & I. DELLA MORTE S.P.A., A.R.I.N. S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3494/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

15/12/2009 dal Consigliere Dott. GIANCOLA Maria Cristina;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale; assorbimento dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con un primo atto di citazione del 29.03 – 1.04.1996, N., S. e S.P., adivano il Tribunale di Napoli deducendo:

– che erano proprietari di un fondo con annesse unita’ immobiliari, sito in (OMISSIS), in parte assoggettato, con ordinanza CIPE del 15.05.1991, a procedimenti di occupazione e di espropriazione per la costruzione di una condotta idrica sotterranea, al servizio dell’acquedotto napoletano – che per l’esecuzione dell’opera pubblica il CIPE aveva delegato l’Impresa Italo della Morte S.p.A.;

– che successivamente detta Impresa, in base a variante in corso d’opera e su commissione dell’amministrazione concedente, aveva costruito un nuovo tronco viario, lungo 100 mt., onde consentire il collegamento con la via pubblica del compendio rimasto di loro proprieta’ ed altrimenti intercluso;

– che pochi mesi dopo l’ultimazione dei lavori si erano verificati dissesti sul fondo e sui manufatti di supporto della nuova strada, concausati da carenze progettuali esecutive e dalla costruzione da parte della medesima impresa di vasche di raccolta delle acque di scolo da sovrastanti terreni e da lavaggio delle tubazioni dell’acquedotto.

Tanto premesso, gli attori chiedevano che il CIPE e/o l’Impresa Italo della Morte S.p.A. fossero condannati al pagamento delle opere necessarie al ripristino dei manufatti in questione ed alla sistemazione delle aree di confine.

Con altro atto di citazione notificato il 23.05.1997, i germani S. adivano nuovamente il medesimo Tribunale di Napoli, estendendo anche all’ARIN S.p.A. le domande gia’ svolte nei confronti del CIPE e dell’Impresa, sul presupposto che, in base al D.M. 4 novembre 1994, il Prefetto di Napoli aveva trasferito a tale azienda tutte le opere acquedottistiche, tra cui la sostituzione del canale realizzato dall’Impresa.

Con sentenza del 2.08.2000, il Tribunale adito, riunite le cause, riteneva soltanto l’Impresa Italo della Morte S.p.A. responsabile dei dissesti denunciati dai S. e la condannava al pagamento in loro favore della somma di L. 15.000.000 e delle spese processuali;

rigettava, invece, le medesime domande svolte nei confronti del CIPE e dell’ARIN, e condannava gli attori al pagamento delle spese processuali in favore di quest’ultima societa’.

La sentenza di primo grado veniva impugnata in via principale dalla societa’ A & I. Della Morte S.p.A. (incorporante per fusione la S.p.A. Italo della Morte) ed in via incidentale dai germani S..

Con sentenza del 17.11 – 5.12.2003, la Corte di appello di Napoli, nel contraddittorio di tutte le parti, respingeva l’appello principale della societa’ A & I. Della Morte ed in parziale accoglimento del gravame incidentale dei S., condannava la societa’ a corrispondere a quest’ultimi anche gli interessi legali sull’importo liquidato dal primo giudice e compensava per la meta’ le spese processuali tra i S. e l’Arin. La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro ed in sintesi.

quanto ai motivi dell’appello principale:

a) che, dal contenuto dell’atto introduttivo, correlando la relativa parte assertiva con quella petitoria, emergeva che i S. avevano proposto domande di risarcimento danni da responsabilita’ aquiliana e non domande di garanzia per difformita’ e vizi dell’opera appaltata, per cui doveva essere disattesa la censura della societa’ Della Morte avverso il rigetto dell’eccezione circa il loro difetto di legittimazione attiva per estraneita’ al contratto d’appalto da lei concluso con la P.A..

b) che la societa’ Della Morte, quale concessionaria dei lavori di costruzione dell’opera pubblica, doveva direttamente rispondere dei danni cagionati a terzi e, dunque, era dotata di legittimazione passiva rispetto alle domande svolte dai S.;

c) che dalla CTU i danni lamentati dai S. risultavano dipesi non da mancata manutenzione, attivita’ che gli attori si erano obbligati a prestare in base ad altra convenzione da loro stipulata con il CIPE, ma dalla difformita’ dal progetto delle eseguite opere strutturali di sostegno quanto ai motivi dell’appello incidentale dei S.;

a) che doveva essere accolta la domanda d’interessi compensativi da calcolarsi per il periodo successivo alla data della prima decisione sulla somma di Euro 7.747,00 (pari a vecchie L. 15.000.000) ed invece per il periodo precedente e con decorrenza dal settembre 1991, sull’indicata somma capitale devalutata a questa data (epoca intermedia tra il maggio 1991 ed il dicembre dello stesso anno) ed annualmente rivalutata secondo gli indici Istat, esclusi l’anatocismo e la rivalutazione del credito;

b) che limitatamente fondata era anche la censura inerente al regime delle spese di primo grado relativo al rapporto processuale intercorso tra gli appellanti e l’ARIN S.p.A.;

c) che l’appello condizionato proposto dai S. nei confronti del CIPE doveva ritenersi assorbito.

Avverso questa sentenza, notificata il 29.01.2004, la societa’ A & I. Della Morte S.p.A. ha proposto ricorso per Cassazione notificato a mezzo posta il 27 – 31.03.2004 a N., S. e S. P., all’ARIN – Azienda Risorse Idriche Napoletane S.p.A. ed il 25.03.2004 alla P.C.M. – Funzionario Delegato CIPE, affidato a 5 motivi ed illustrato da memoria. N., S. e S. P. hanno resistito con controricorso notificato il 4.05.2004 alla societa’ A & I. Della Morte S.p.A, il 3.05.2004 alla P.C.M. ed il 7.05.2004 all’ARIN, nonche’ proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi e depositato memoria. Le altre parti intimate non hanno svolto attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve essere preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c,.

la riunione dei ricorsi principale ed incidentale, proposti avverso la medesima sentenza. A sostegno del ricorso principale la societa’ A & I. Della Morte S.p.A. denunzia:

1. “Illegittimita’ della sentenza nella parte in cui ha qualificato la domanda attorea come diretta al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c.: illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 1667, 1668 e 2043 c.c.;

illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – Assorbente vizio va intravisto nella parte in cui la Corte a quo ha qualificato la domanda azionata dagli attori come pretesa risarcitoria ex art. 2043 c.c.”.

Sostiene che la Corte distrettuale, violando il giudicato interno, ha illegittimamente qualificato la domanda dei S. come d’indole risarcitoria mutando, nonostante che sul punto non vi fosse stato gravame, la diversa qualificazione ritenuta dal primo giudice, il quale aveva chiaramente inquadrato le pretese degli attori come dirette a fare valere la garanzia di pretesi difetti di progettazione e costruzione.

2. “Illegittimita’ della sentenza nella parte in cui ha dichiarato la sussistenza della legittimazione attiva in capo ai Sigg.ri S.:

illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 100 c.p.c. e agli artt. 1667, 1668 e 2043 c.c. – La sentenza impugnata risulta viziata, inoltre, nella parte in cui ha dichiarato la sussistenza della legittimazione attiva ad causarti in capo ai Sigg.ri S.”.

La ricorrente censura di nuovo la conferma da parte della Corte distrettuale della legittimazione attiva dei S., assumendo che tale conclusione e’ derivata dall’illegittimo per quanto detto sub 1, inquadramento d’ufficio, della domanda introduttiva come d’indole risarcitoria, quando invece, se non fosse stata modificata la pregressa qualificazione, gli attori, non essendo stati parti del contratto d’appalto che il (OMISSIS), ai sensi del titolo 8^ della L. n. 219 de 1981, lei aveva concluso soltanto con la P.A., sarebbero stati privi di legittimazione attiva rispetto alle azioni di garanzia esperibili esclusivamente dal committente, in base agli artt. 1667 e 1668 c.c..

3. “Illegittimita’ della sentenza nella parte in cui ha dichiarato la legittimazione passiva esclusiva del Consorzio Ascosa – Ulteriore motivo di gravame va sollevato avverso il capo della sentenza con cui la Corte a quo ha affermato la sussistenza della legittimazione passiva esclusiva della odierna ricorrente sulla sua assunta “qualifica di concessionario dell’opera pubblica dalla cui esecuzione sono derivati i danni lamentati in libello dai sigg.ri S.”.

Premesso che mero lapsus calami appare il riferimento al Consorzio Ascosa, la ricorrente censura la conferma della sua legittimazione passiva rispetto alla domanda svolta dai S., correlata alla sua qualifica di concessionario dell’opera pubblica, e piu’ specificamente:

3/A. “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, 4 e 5 in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4;

omessa ed insufficiente motivazione” Sostiene che la Corte di merito non ha dato risposta ai suoi dettagliati ed articolati rilievi secondo cui nelle disposizioni di cui al titolo 8^ della L. n. 865 del 1971 non era possibile rinvenire la fonte costitutiva di un assunto trasferimento di funzioni e poteri pubblici e secondo cui erano applicabili le disposizioni codificate in materia di appalto.

3/B. “Illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (omessa ed insufficiente motivazione); illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

violazione e falsa applicazione di tutti i principi in tema di concessioni di costruzione e di appalto; illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, 4 e 5 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e all’art. 2697 c.c.;

illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. di cui al Titolo 8^ L. n. 219 del 1981”.

Sostiene l’inconferenza dei principi in tema di concessione di opera pubblica, anche nella forma di sola costruzione, e l’erroneita’ della qualificazione del rapporto come concessione in senso proprio traslativa di poteri, che sostiene affidata al mero dato terminologico, assistita da un percorso argomentativo illegittimo, avulso dalle specifiche problematiche attinenti la materia delle concessioni, non confortata e semmai smentita dalla documentazione in atti, per la quale il rapporto si sostanziava in un mero contratto d’appalto, ed ancora non desumibile dalle disposizioni di cui al titolo 8^ L. n. 219 del 1981, segnatamente l’art. 81, ed anzi con queste in contrasto, sicche’ ne risulta un’interpretazione non in linea con i criteri ermeneutici di cui all’art. 12 preleggi.

3/C. “Illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 1667 e 1668 c.c.”.

Si duole che la Corte di merito non si sia pronunciata sulla prospettata questione secondo cui in base alle rubricate norme, l’accettazione delle opere senza riserve da parte dell’appaltante nonche’ l’esecuzione e l’approvazione senza contestazioni del collaudo impedivano di individuare sue responsabilita’ nell’esecuzione dei lavori appaltati, con riguardo a difetti ben visibili e riconoscibili gia’ al momento dell’accettazione dell’opera e da denunciare entro termini di decadenza.

I primi tre motivi del ricorso principale, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario, non hanno pregio.

Infondata si rivela la censura con cui la societa’ Della Morte sostiene che la Corte distrettuale nel ricondurre la domanda svolta dai S. all’ambito della responsabilita’ aquiliana, ex art. 2043 c.c. ha illegittimamente variato la qualificazione giuridica alla stessa impressa dal primo giudice. Gia’ il trascritto passo della sentenza di primo grado, attenendo soltanto al petitum ed ai fatti posti a fondamento della domanda introduttiva, non offre alcun conforto alla prospettata tesi del mutamento di inquadramento giuridico, smentita anche dal tenore del primo motivo dell’appello principale proposto dalla medesima societa’. A questa sfavorevole conclusione consegue non solo il rigetto di tutti gli ulteriori profili di doglianza, ivi compresi quelli che ineriscono alla legittimazione attiva e passiva delle parti, che presuppongono la riconduzione del rapporto processuale intercorrente tra gli attori e la societa’ Della Morte, alla codificata garanzia contrattuale dovuta dall’appaltatore, dai giudici di merito negata, ma anche l’inammissibilita’ con riguardo all’attuato inquadramento della vicenda controversa nell’ambito della responsabilita’ extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., delle censure involgenti la questione della qualificazione della convenzione intercorsa tra la P.A. e la ricorrente societa’, per l’affidamento dei lavori di costruzione dell’opera idraulica e della strada di collegamento;

quand’anche,infatti, tale convenzione avesse avuto natura non di concessione ma di appalto, la societa’ non sarebbe stata esonerata da responsabilita’ da illecito aquiliano in danno dei S., poiche’ anche l’appaltatore – esecutore risponde direttamente dei danni causati ai terzi nella materiale costruzione dell’opera pubblica (in tema, cfr. Cass., SU, 200724397; Cass. 2002149059, 196701218).

4. “Sull’illegittimita’ della sentenza nella parte in cui ha imputato i dissesti alla odierna ricorrente: illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e 5 (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione); illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 2043 e 1227 c.c. – Ulteriore motivo di gravame va sollevato avverso il capo della sentenza con cui sono state imputate alla odierna ricorrente le cause dei dissesti lamentati dai sigg.ri S., tale conclusione essendo smentita dalle recepite, solo ipotetiche affermazioni del CTU, ed adottata senza tenere conto dei suoi rilievi critici, e della dipendenza dei dissesti anche da carente manutenzione dell’opera, addebitatale ai S., il che avrebbe pure giustificato la riduzione dell’entita’ del ristoro.

Il motivo in tutte le sue articolazioni non ha pregio.

Qualora il giudice condivida i risultati della consulenza tecnica d’ufficio, non e’ tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata. Inoltre, in tema di responsabilita’ civile extracontrattuale, il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno civile e’ regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in base al quale un evento e’ da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonche’ dal criterio della cosiddetta causalita’ adeguata, sulla scorta del quale, all’interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione “ex ante” -del tutto inverosimili e rispetto ai quali l’antecedente si ponga in rapporto di sequenza possibile, alla stregua di un criterio necessariamente probabilistico, cui i giudici di merito appaiono essersi ineccepibilmente attenuti con specifico riferimento all’individuata causa dei verificati cedimenti strutturali dell’opera viaria, non implausibilmente ritenuta da sola sufficiente a provocare l’evento (cfr. tra le numerose altre, Cass. 200915895).

Inoltre, il controllo di legittimita’ compiuto dalla Corte di Cassazione non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma consiste nella verifica sotto il profilo formale e della correttezza giuridica dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello in sede di legittimita’, ragione per cui l’esattezza delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice di secondo grado, alle quali lo stesso giudice abbia aderito, non puo’ essere utilmente contestata, in sede di ricorso per Cassazione, mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal consulente di parte e disattese, in quanto tale contrapposizione non serve, di per se’, ad evidenziare alcun errore della consulenza recepita dalla sentenza impugnata, ma solo la diversita’ dei giudizi espressi dagli esperti.

5. “Sull’illegittimita’ della sentenza nella parte in cui ha liquidato gli interessi: illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 112 e 345 c.p.c.; illegittimita’ della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Omessa motivazione) – Ulteriore motivo di gravame va sollevato avverso il capo della sentenza con cui sono stati liquidati ai sigg.ri S. gli interessi sulla minor somma, devalutata al settembre 1991 ed annualmente rivalutata secondo gli indici Istat, stante la mancanza di tale domanda nell’atto introduttivo del giudizio” e, comunque, l’immotivata fissazione della data di loro decorrenza.

Il motivo non e’ fondato.

Gli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento da fatto illecito, costituendo una componente del risarcimento del danno, possono essere attribuiti anche in assenza di espressa domanda della parte danneggiata, in quanto, mirando a scongiurare il pregiudizio che le deriva dal ritardato conseguimento dell’equivalente monetario del danno, costituiscono una componente del danno stesso e nascono dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, contemporaneamente e inscindibilmente (cfr. tra le altre, Cass. 199900977; 200104970; 200701087).

Inoltre, la fissazione della data di decorrenza degli interessi in questione e’ evidentemente avvenuta in aderenza al tempo, rimasto incontestato, considerato per la liquidazione della somma su cui dovevano essere calcolati, e, dunque, a quella dell’epoca dell’illecito. A sostegno del ricorso incidentale i S. deducono:

1. “Violazione dell’art. 196 c.p.c. ed omessa motivazione su punti decisivi (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

Si dolgono che in appello sia stata immotivatamente confermata l’entita’ del risarcimento correlato agli oneri di spesa per il ripristino dei luoghi, liquidato dal primo giudice in aderenza alle indicazioni della CTU, senza dare rilievo alla possibilita’, espressa dal loro perito di parte, di acquisire preventivi di spesa, nonche’ alle documentate critiche tecniche.

Il motivo non ha pregio sia per la medesima ragione, inerente alla sufficienza della motivazione nel caso di rinvio alle condivise risultanze della CTU, gia’ esposta in relazione al quarto motivo del ricorso principale, e sia perche’ per il resto si sostanzia in inammissibili generiche critiche e rilievi di errori valutativi in ordine agli elementi assunti, da cui non e’ dato desumere illogicita’ o carenze motivazionali decisive.

2. “Violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)” condizionato nei confronti del CIPE. Il motivo deve ritenersi assorbito, essendo stato espressamente condizionato all’accoglimento della censura della societa’ Della Morte inerente al sostenuto suo difetto di legittimazione passiva, evenienza non avveratasi. Conclusivamente i ricorsi riuniti devono essere disattesi.

La reciproca soccombenza legittima la compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimita’, sostenute dalle parti costituite.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa tra le parti costituite le spese del giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2010

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