Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4772 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 4772 Anno 2018
Presidente: DIDONE ANTONIO
Relatore: CENICCOLA ALDO

sul ricorso n. 4606\2012 proposto da
NARDELLI Mauro (CF NRDMRA57P22H501K), rapp.to e difeso per
procura a margine del ricorso dall’avv. Angelo Romano, elettivamente
domiciliato in Roma alla v. Paolo Emilio n. 71
– ricorrente contro
FALLIMENTO OROP s.p.a. (PI 01001020765), in persona del curatore,
rapp.to e difeso per procura a margine del controricorso dall’avv.
Giovanni Rotondano, elettivamente domiciliato in Roma alla v. Ombrone
n. 14 presso lo studio dell’avv. Giuseppe Caputi
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 299/2011 depositata il 1.12.2011 della Corte di
Appello di Potenza;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
28 novembre 2017 dal relatore dr. Aldo Ceniccola.

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Data pubblicazione: 28/02/2018

Rilevato che:
con sentenza n. 299 del 2011 la Corte di Appello di Potenza rigettava
l’appello proposto da Nardelli Mauro avverso la sentenza con la quale il
Tribunale di Potenza aveva rigettato l’opposizione proposta contro il
decreto ingiuntivo che lo condannava al pagamento, in favore della
curatela del Fallimento della Drop s.p.a., di £. 203.291.665, oltre

dal curatore del Fallimento della Momofil s.p.a. in favore della Orop
s.p.a. poi fallita;
disatteso il rilievo dell’appellante circa la carenza di autorizzazione del
g.d. alla proposizione della domanda, la Corte rilevava che la questione
sollevata dall’appellante, già nel corso del giudizio di prime cure e
concernente il difetto di legittimazione passiva, si risolveva, nella
sostanza, nella contestazione della pretesa della curatela attrice ad
ottenere la restituzione delle somme oggetto di appropriazione, pretesa
non superata dalla documentazione esibita in giudizio dal convenuto in
quanto priva di un’idonea valenza probatoria: gravando, infatti, sul
Nardelli l’onere di dimostrare che il denaro corrisposto alla fallita dal
curatore del fallimento della Memofil s.p.a. era stato utilizzato sia per
pagare gli emolumenti in favore dei dipendenti della società sia gli
importi dovuti alla Fesco L.d.t., a fronte di un finanziamento da
quest’ultima concesso, tali circostanze, solo affermate dall’appellante,
avrebbero dovuto essere o compiutamente documentate oppure
confermate in sede testimoniale dai soggetti che erano indicati quali
destinatari delle somme in argomento, laddove il Nardelli si era limitato
a produrre in giudizio, a parte alcuni documenti inutilizzabili in quanto
depositati oltre i termini di cui all’art. 184 c.p.c., solo la copia
dell’estratto del libro giornale, privo di numerazione progressiva e della
vidimazione obbligatoria;
avverso tale sentenza Nardelli Mauro propone ricorso per cassazione
affidato a cinque motivi; resiste la curatela mediante controricorso.

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interessi e spese, conseguente all’appropriazione di denaro corrisposto

Considerato che:
con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art.
158 c.p.c., per violazione dell’art. 51 c.p.c., avendo un componente del
collegio giudicante già conosciuto della vicenda in oggetto mediante
l’adozione del decreto che disponeva il giudizio nel procedimento penale
n.r.g. 1028/97 della Procura di Potenza a carico dello stesso Nardelli

con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.
31 I.fall. e dell’art. 182 c.p.c., nonché l’insufficiente motivazione in
ordine all’eccezione del difetto di procura del difensore del fallimento,
mancando agli atti un’autorizzazione del g.d. tale da abilitare il curatore
a proporre la domanda monitoria e la domanda riconvenzionale spiegata
nel corso del giudizio di opposizione;
con il terzo motivo lamenta l’insufficiente motivazione in ordine
all’eccezione di carenza di legittimazione passiva dell’opponente, avendo
la Corte di Appello trascurato di esaminare tutte le circostanze,
confermate dai documenti prodotti anche nel corso del giudizio di
appello, idonee a dimostrare come le somme, incassate dal ricorrente
non a titolo personale ma quale legale rapp.te della società poi fallita,
fossero state in realtà destinate alla copertura dei debiti sociali;
con il quarto motivo il ricorrente si duole della insufficienza e
contraddittorietà della motivazione in ordine alle eccezioni di carenza di
prova scritta e di infondatezza della pretesa, essendo evidente, al
contrario, come il decreto ingiuntivo fosse stato emesso in assoluta
carenza di prova scritta; la Corte avrebbe inoltre trascurato di
considerare come gli stessi documenti prodotti dall’appellante e
dichiarati inutilizzabili, ma necessari per dimostrare come le somme
fossero in realtà state destinate al pagamento di debiti sociali, fossero
entrati nella disponibilità del ricorrente solo in corso di causa e fossero
utili e rilevanti ai fini dell’accertamento della verità dei fatti;
con il quinto motivo il ricorrente si duole dell’omessa motivazione in
ordine alle eccezioni ex art. 67 I.fall. e della contraddittorietà della

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Mauro;

motivazione della sentenza, essendo da un lato pacifico che il
procedimento monitorio non è utilizzabile per esercitare l’azione
revocatoria ex art. 67 I.fall. e dall’altro evidente che, anche nell’ambito
dell’opposizione a decreto ingiuntivo, doveva essere la curatela a
dimostrare che le somme incassate non erano state riversate nelle
casse sociali;

infondato;
la norma che nel caso di specie si assume violata, infatti, prevede
l’obbligo di astensione del giudice che abbia conosciuto della causa in
altro grado del processo, circostanza del tutto estranea al caso in
esame, avendo il componente del collegio conosciuto dei fatti di causa
in un processo del tutto distinto da quello in oggetto: come già statuito
da questa Corte, infatti,

“la circostanza che il giudice abbia già

conosciuto della causa, in un processo distinto, non comporta obbligo di
astensione, a differenza del caso in cui il giudice stesso abbia esercitato
le sue funzioni in altro grado dello stesso processo (art. 51 n. 4 c.p.c.) e
comunque non può essere dedotta come ragione di nullità della
sentenza, atteso che, a fronte dell’eventuale inosservanza dell’obbligo di
astensione, unico rimedio consentito alle parti è quello della
ricusazione” (v. Cass. n. 4642 del 1983);
la Corte di merito ha successivamente avuto modo di ricordare che “il
potere di ricusazione costituisce un onere per la parte, la quale, se non
lo esercita entro il termine fissato dall’art. 52 cod. proc. civ., non ha
mezzi processuali per far valere il difetto di capacità del giudice, sicché,
in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice
dell’obbligo di astenersi non può essere fatta valere in sede di
impugnazione come motivo di nullità della sentenza” (Cass. n. 26223
del 2014);
il secondo motivo, concernente l’asserita violazione dell’art. 25 n. 6 e
dell’art. 31, co. 2, I.fall., è infondato;

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il primo motivo concernente l’asserita violazione dell’art. 51 n. 4 c.p.c. è

come statuito da questa Corte, infatti, “l’autorizzazione a promuovere
un’azione giudiziaria, conferita dal giudice delegato ex artt. 25, comma
1, n. 6 e 31, legge fa/I., al curatore del fallimento, si estende, senza
bisogno di specifica menzione, a tutte le possibili pretese ed istanze
strumentalmente pertinenti al conseguimento dell’obiettivo del giudizio
cui si riferisce l’autorizzazione e l’eventuale limitazione di quest’ultima,

esercitata, costituisce una questione interpretativa di un atto di natura
processuale, deducibile in sede di legittimità soltanto qualora sia stata
proposta nel giudizio di merito; ne consegue che, ove ciò sia accaduto
ed il giudice di merito si sia pronunciato, il mezzo impugnatorio
consentito è quello dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
negli stretti limiti in cui è consentito il sindacato di legittimità sulla
motivazione” (Cass. n. 10652 del 2011); contrariamente, nel caso in
esame, il ricorrente, lungi dal censurare la motivazione addotta dal
giudice di merito, si è limitato a ribadire la necessità della specifica
autorizzazione anche riguardo alla costituzione nel giudizio di
opposizione (considerata, invece, dalla Corte implicita
nell’autorizzazione ad agire per il recupero del credito);
il terzo motivo è infondato. Il ricorrente evidenzia nuovamente gli
argomenti, già rappresentati innanzi al giudice del merito, attraverso i
quali si dovrebbe ricavare che le somme, da lui incassate sebbene per
conto della società, sarebbero state destinate al pagamento di alcuni
debiti della società (debiti verso i dipendenti ed un finanziamento);
si tratta di questioni concernenti il merito e già ampiamente e
condivisibilmente affrontate dalla Corte che, dopo aver rimarcato la
natura restitutoria dell’azione intrapresa dalla curatela, ha poi posto a
carico del ricorrente l’onere di dimostrare di aver destinato le somme
all’estinzione delle obbligazioni gravanti sulla Orop s.p.a. (onere non
assolto a cagione dell’inidoneità dei documenti prodotti);
il quarto motivo, concernente l’inidoneità dei documenti prodotti dalla
curatela a giustificare l’emissione del decreto ingiuntivo, è infondato;

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in rapporto alla maggiore latitudine dell’azione effettivamente

al di là della circostanza che la curatela pose a base del ricorso
monitorio alcuni assegni versati dalla curatela del fallimento della
Momofil s.p.a., costituenti prova scritta del credito, va in ogni caso
evidenziato che, come già rimarcato dalla Corte di Appello,
“l’opposizione a decreto ingiuntivo, anche quando è proposta allo scopo
di sostenere la illegittimità del ricorso alla procedura sommaria, instaura

ricorrente con la richiesta – che assume veste di domanda – del decreto
di ingiunzione, ed il relativo giudizio, anche quando il decreto sia
revocato sul presupposto che non poteva essere concesso, si conclude
con una pronuncia di merito sulla dedotta pretesa” (Cass. n. 19560 del
2009), onde, a fronte della verifica della fondatezza della pretesa
sostanziale vantata dall’opposto, come operata dal Tribunale, la
denuncia concernente la mancanza dei presupposti per l’emanazione del
decreto ingiuntivo perde ogni autonomo significato, essendo comunque
destinata ad essere assorbita dalla pronuncia del Tribunale di
accoglimento della pretesa fatta valere dalla curatela;
il quinto motivo è infondato: la fattispecie prospettata dalla curatela con
l’atto introduttivo del giudizio, concernente l’appropriazione, ad opera
dell’amministratore, di somme in realtà destinate alla società da lui
amministrata, è infatti del tutto estranea a quella tipica presa in
considerazione dall’art. 67 I.fall. che, in una prospettiva del tutto
differente, disciplina la sorte degli atti dispositivi compiuti verso terzi e
giuridicamente riferibili alla fallita;
le considerazioni che precedono impongono dunque il rigetto del
ricorso; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e
vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; pone le spese del giudizio di legittimità a
carico del ricorrente, liquidandole in C 5.600 (di cui C 200 per esborsi)
oltre accessori come per legge e contributo spese generali.

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comunque un giudizio di merito sul credito vantato e fatto valere dal

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