Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4769 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. I, 14/02/2022, (ud. 04/02/2022, dep. 14/02/2022), n.4769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.A. (nato (OMISSIS)), S.G.,

M.A., S.A. (nato (OMISSIS)), S.M.G.,

S.C. E S.M., elettivamente domiciliati in Roma, via

Angelo Poliziano76, presso lo studio dell’avvocato Melchiorri

Manuela, rappresentati e difesi dall’avvocato Acampora Daniele, per

procura in atti;

– ricorrente –

contro

BANCO DI NAPOLI S.P.A., elettivamente domiciliata in Roma, via di

Villa Grazioli 15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto,

che la rappresenta e difende per procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1877 della Corte d’appello di Napoli,

depositata il 2 maggio 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO

MAURO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. – S.A. (nato (OMISSIS)), S.G., M.A., S.A. (nato (OMISSIS)), S.M.G., S.C. e S.M., ex soci della disciolta società S. S.r.l., ricorrono per un mezzo, nei confronti del Banco di Napoli S.p.A., contro la sentenza del 20 maggio 2017, con cui la Corte d’appello di Napoli, provvedendo in parziale riforma di sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, ha condannato la banca al pagamento, in favore della società poi disciolta, della somma di Euro 20.350,78, oltre accessori, in luogo di quella di Euro 43.470,15, oltre accessori, portata dalla sentenza di primo grado.

2. – Ha osservato la Corte territoriale che la domanda originariamente proposta dalla società attrice in primo grado, avente ad oggetto la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori inseriti in un contratto di conto corrente, non era stata oggetto di precisazioni o modificazioni entro i termini di cui all’art. 183 c.p.c. sicché il Tribunale non poteva, come invece aveva fatto, attraverso il rilievo ufficioso di ulteriori nullità contrattuali concernenti la misura degli interessi, spese e commissione di massimo scoperto, condannare la banca convenuta alla restituzione di una somma maggiore di quella richiesta.

3. – Il Banco di Napoli S.p.A. resiste con controricorso, deducendo l’inammissibilità del ricorso per difetto dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 e 6 nonché la sua infondatezza.

Le parti hanno depositato memoria.

RILEVATO CHE:

4. – L’unico mezzo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1325 c.c., n. 3, artt. 1346,1418 e 1419 c.c. nonché art. 112 c.p.c. in materia di rilevabilità d’ufficio della nullità delle clausole contrattuali per indeterminatezza e/o in determinabilità dell’oggetto, anche alla luce della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte numero 14828 del 2012.

Sostengono in buona sostanza i ricorrenti che bene il giudice di primo grado, quanto quello d’appello, avrebbero potuto e dovuto rilevare le ulteriori nullità che affliggevano il contratto di conto corrente, oltre a quella dedotta nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, avente ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

4. – Il ricorso è inammissibile sotto due distinti profili.

4.1. – Come eccepito espressamente dalla società controricorrente, il ricorso difetta del requisito previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, consistente nella specifica indicazione degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda.

Esso, difatti, si basa essenzialmente sulla relazione di consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, dalla quale sarebbero emersi gli ulteriori profili di nullità accertati dal primo giudice, ma oltre a non effettuarne la “localizzazione”, e cioè a non specificare dove, nell’incarto processuale, la consulenza tecnica sarebbe collocata, non ne individua nemmeno il contenuto, trascrivendone soltanto alcuni brani, dai quali non riesce a comprendersi in qual modo ed entro quali eventuali limiti l’ausiliare, e di qui il Tribunale, possa aver fatto applicazione, a quanto pare, dell’art. 117, comma 6 del testo unico bancario, secondo ciò che si apprende alla pagina 12 del ricorso, ad un contratto di conto corrente stipulato il 16 marzo 1988 (Cass. 31 dicembre 2019, n. 34740, tra le tante).

4.2. – Al di là di quanto precede, il ricorso è inammissibile perché l’unico motivo spiegato non coglie la ratio decidendi.

Difatti il giudice di appello ha riformato la sentenza di primo grado per il fatto che il Tribunale aveva condannato la banca a restituire una somma superiore a quella che la società originaria attrice aveva chiesto: il che non ha assolutamente nulla a che vedere con la questione, agitata invece nel ricorso, della rilevabilità d’ufficio delle nullità negoziali.

Nell’attuale assetto normativo, come interpretato a livello giurisprudenziale, lo spirare del termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, costituisce il termine ultimo per precisare o modificare la domanda originariamente proposta, fino all’estremo della modificazione di essa riguardo anche ad entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio (Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310). Dopo di che, al di là di talune eccezioni che qui non rilevano, e che consentono di dare ingresso a domande nuove finanche in appello, non v’e’ spazio per l’introduzione in giudizio di nuove domande, quale, in particolare, la domanda di condanna della controparte al pagamento di ulteriori somme non richieste in precedenza, e per un titolo diverso.

Ne discende che non occorre neppure interrogarsi se, nell’ipotesi considerata, rimanesse spazio per l’eccezione e rilevazione di ulteriori nullità negoziali, rispetto a quelle inizialmente dedotte, tema riguardo al quale lo stato dell’arte è peraltro rappresentato non dalle decisioni citate dai ricorrenti, bensì da Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26243, potendosi semmai evidenziare, in argomento, che il principio secondo cui il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante può trovare applicazione solo se il rilievo d’ufficio della diversa nullità sia basato su fatti già ritualmente introdotti, o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo (Cass. 23 novembre 2021, n. 36353): con la precisazione che nella specie non è dato sapere quando e come sarebbero emersi i dati fattuali rilevati dal consulente tecnico a fondamento della sua ricostruzione dei rapporti di dare ed avere tra le parti.

Quanto qui rileva, infatti, è semplicemente che la Corte d’appello non ha detto che il primo giudice non avrebbe potuto rilevare nullità negoziali non dedotte, o che non potesse farlo dopo lo spirare dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., ma ha affermato una cosa ben diversa, ed evidentemente ineccepibile: e cioè che il primo giudice non poteva attribuire alla società attrice una somma superiore a quella richiesta, nel che si era sostanziata la palese violazione da parte sua, rilevata dalla Corte d’appello, del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; affermazione, quella del giudice di merito, come si diceva scontata, tant’e’ che, pure in presenza di una nullità che giustifichi la ripetizione dell’indebito, il giudice può accogliere la domanda nei limiti del domandato, ma non può riconoscere neanche gli interessi sulla somma richiesta, se una domanda in tal senso non c’e’ (tra le tante Cass. 20 aprile 1970, n. 1137).

5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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