Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4767 del 26/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 4767 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 5757-2009 proposto da:
ALFANI DOMENICO nato a SAN GENNARO VESUVIANO il
23/03/1952, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
ODERISI DA GUBBIO 18, presso UFFICIO LEGALE CSDC,
rappresentato e difeso dagli avvocati AMBROSIO
GIUSEPPE, GIUSEPPE DE LIGUORI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2012
contro

4523

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’ UNIVERSITA’ E DELLA
RICERCA 80185250588, in persona del Ministro pro
tempore,

rappresentato

e

difeso

dall’AVVOCATURA

Data pubblicazione: 26/02/2013

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in
ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 2096/2008 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 22/05/2008 R.G.N. 7491/2005;

udienza del 19/12/2012 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato VARONE STEFANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

1. Con il ricorso per cassazione si chiede l’annullamento della sentenza di appello
che ha negato il diritto di parte ricorrente al riconoscimento integrale
dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza da parte del
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR).
2. La medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980 e
Cass. 14 ottobre 2011, n. 21282, cui si rinvia per una motivazione più analitica.
In estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.
3. La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale
amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti
locali al Ministero in base all’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124.
4. Tale norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente,
l’applicazione che della stessa venne data dal decreto del Ministro della
pubblica istruzione 5 aprile 2001, che ‘recepì’ l’accordo stipulato tra l’ARAN e
i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le
controversie giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su
di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito
in decreto ministeriale. La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene
con percorsi argomentativi diversi (ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n.
3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonché 27 settembre 2005, n. 18829; Da ultimo,
sul punto, cfr. Cass., 14 marzo 2012, n. 4045).
5. Intervenne il legislatore, dettando il comma 218 dell’art. 1 della legge n. 266
del 2005 (finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo
sindacale e del decreto ministeriale. Il legislatore elevò, quindi, a rango di
legge la previsione dell’autonomia collettiva.
6. Si sostenne, da un lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e,
dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto
molteplici profili. Entrambe le posizioni sono state giudicate non fondate.
L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8
agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007).
L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi
(Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009). Per tali
motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato, sono stati respinti
(cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).
7. E’ poi intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione)
con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10, Scattolon), emessa
su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della
direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE.
8. La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La
prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dall’art.
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Ragioni della decisione

Udienza del 19 dicembre 2012

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8 della legge 124 del 1999, costituisca un ‘trasferimento d’impresa’ ai sensi
della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori.
La soluzione è affermativa (“La riassunzione, da parte di una pubblica autorità
di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità,
addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in
particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un
trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977,
77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto
personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in
qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto
Stato membro”).
9. Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: -se la
continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1 della 77/187 deve essere
interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati
presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni
effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del
cedente (seconda questione); -se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono
al cessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore
presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati
nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere
economico (terza questione).
10.11 dispositivo della decisione è: “quando un trasferimento ai sensi della
direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del
contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni
retributive previste da questo contratto sono collegate segnatament
all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasfer
subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente a
trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato
riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a
quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della
determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo.
È compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in
questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento
retributivo”.
11.11 giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a
causa del mancato riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso
l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un ‘peggioramento
retributivo’.

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12.In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di
trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al
trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma
anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui
l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a
favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il
cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni
di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle
concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte
sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono
attenersi allo ‘scopo della direttiva’, consistente “nell’impedire che i lavoratori
coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole
per il solo fatto del trasferimento” (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si
precisa che la direttiva “ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori
siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di
lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano
precedentemente”).
13. Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si
è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio
deve osservare i seguenti criteri.
a. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le
condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore
trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa “posizione sfavorevole rispetto a
quella di cui godevano prima del trasferimento”. Idem nn. 82 e 83). Al
contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del
trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).
b. Quanto alle modalità, si deve trattare di ‘peggioramento retributivo
sostanziale’ (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere
‘globale’ (n. 76: “condizioni globalmente meno favorevoli”; n. 82: “posizione
globalmente sfavorevole”), quindi non limitato allo specifico istituto.
c. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere
fatto ‘all’atto del trasferimento’ (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: “all’atto
della determinazione della loro posizione retributiva di partenza”).
14.La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla
conformità della disciplina italiana e specificamente del comma 218 dell’art. 1
della finanziaria 2006, all’art. 6, n. 2 TUE in combinato disposto con gli artt. 6
della CEDU e 46, 47 e 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di
Lisbona.
15.La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo (sentenza Agrati), ha statuito che “vista la risposta

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data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la
normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa
principale, violi i principi” di cui alle norme su indicate.
16.In sintesi, pertanto, la Corte di giustizia ha ritenuto che: si verte nell’ambito del
diritto dell’Unione europea; di conseguenza, la normativa nazionale in esame
deve essere interpretata alla luce del diritto dell’Unione europea;
l’interpretazione orientata alla luce del diritto europeo comporta che il
passaggio alle dipendenze dello Stato non può determinare per il lavoratore
condizioni meno favorevoli; la relativa verifica spetta al giudice nazionale;
ulteriore conseguenza di questa impostazione è l’assorbimento del problema
della conformità della norma in questione all’art. 6 del TUE in combinato
disposto con le norme della CEDU e della Carta di Nizza, come recepite nel
Trattato di Lisbona, problema esaminato dalla sentenza Agrati della CEDU,
precedente alla sentenza della Corte di giustizia e da quest’ultima considerata.
17.La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea incide sul presente
giudizio. In base agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, il
giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di
dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di
effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto
costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui
ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr, per tutte,
Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del
1995 nonché, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del
2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei
confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via
pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norm
europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n.
389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonché, sull’onere di interpretazione conforme
al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).
18.Tutto ciò implica che la decisione della presente controversia deve avvenire
sulla base della suindicata interpretazione della normativa nazionale orientata
dal diritto europeo, come si è già messo in evidenza nelle sentenze nn. 20980 e
21282 del 2011, nonché n. 12051 del 2012.
19.L’interpretazione della norma che regola la materia in senso conforme al diritto
europeo, esclude la possibilità di disapplicarla o di sottoporla nuovamente al
giudizio della Corte di giustizia dell’Unione europea, che si è espressa, su tutti
i profili della sua compatibilità con il diritto europeo, compreso quello, posto
con il quarto quesito dal Tribunale di Venezia, valutato dalla CGUE
considerando espressamente anche il giudizio e gli argomenti formulati dalla
Corte EDU nella sentenza Agrati. La pronuncia della CGUE si colloca in
ambiente normativo già caratterizzato dall’entrata in vigore del Trattato di

PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, anche
per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre 2012.

Lisbona ed è stata seguita dalla sentenza 24 aprile 2012, nella causa C-571.10,
Servet Kamberaj c. Istituto per l’edilizia sociale della provincia autonoma di
Bolzano e altri, che si è espressa sul rapporto tra norme nazionali e
convenzione europea affermando: “il rinvio operato dall’art. 6, par. 3, TUE alla
CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di
diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni
di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con
essa”. Analogamente, la Corte costituzionale italiana ha escluso che l’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona abbia comportato un mutamento della
collocazione delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti (Corte cost.
n. 80 del 2011, Cass. sez. un., n. 9595 del 2012), sicché il giudice comune non
ha il potere di disapplicare direttamente norme interne ritenendole contrastanti
con la convenzione. Il rimedio in questi casi è costituito dal giudizio di
legittimità costituzionale.
20.Nel caso in esame non è ammissibile una reiterazione della questione di
legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in
relazione ai vincoli derivanti dalla CEDU. La Corte costituzionale italiana, su
sollecitazione di questa Corte di cassazione, si è già espressa sulla specifica
questione con la decisione n. 311 del 2009, che, sebbene antecedente alla
sentenza Agrati, considera i medesimi problemi, prendendo posizione non solo
sulla sussistenza nel caso in esame dei ‘motivi imperativi di interesse
generale’, ma anche, più in generale, sulla competenza a valutarli. Peraltro,
rispetto al momento in cui è stata esaminata dalla Corte costituzionale, la
questione si è fortemente attenuata anche in termini di rilevanza, in
conseguenza della interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea
fornita dalla Corte di giustizia.
21.Tale interpretazione comporta, nel caso in esame, l’accoglimento del ricorso di
parte ricorrente con rinvio al giudice di merito, il quale dovrà verificare, in
concreto, il rispetto della normativa come interpretata dalla Corte di giustizia
europea.

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