Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4761 del 26/02/2010

Cassazione civile sez. I, 26/02/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 26/02/2010), n.4761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3529-2005 proposto da:

BANCA POPOLARE DI CROTONE S.C.A.R.L. (C.F. (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso l’avvocato BERNARDI GIUSEPPE, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, C.NE NOMENTANA

154, presso l’avvocato TODARELLO EMILIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato DI BARTOLO ANTONIO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 539/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/11/2009 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

preliminarmente la Corte dispone la riunione dei due ricorsi;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato FRANCESCO PAOLO FIORE, per

delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo che ha concluso per il rigetto dei due ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’avv. M.C., con atto notificato il 11.3.1996, citava innanzi al Tribunale di Crotone la S.p.a. Banca Popolare di Crotone e rappresentava che, con sentenza del Tribunale di Crotone del 9.1.90 confermata dalla Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza del 5.11.91 e dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza del 22.2.95, era stata definitivamente dichiarata l’illegittimità della delibera di destituzione di esso attore dal Consiglio di Amministrazione dell’istituto di credito convenuto e condannato quest’ultimo al risarcimento dei danni conseguenti da liquidare in separato giudizio.

Sulle base di questa premessa ,deduceva che, a seguito della predetta decisione, gli sarebbero spettate le seguenti voci di danno: a) danno patrimoniale da mancata percezione di emolumenti connessi alla carica di membro del C.D.A. per il triennio 1987/1990, aumentato per la mancata conferma per il triennio successivo; b) danno patrimoniale derivato dall’interruzione del rapporto professionale fra la società convenuta ed esso attore; c) danno patrimoniale derivante dalle spese legali affrontate nei tre gradi del giudizio presupposto; d) danno patrimoniale indiretto conseguente alla perdita di clientela ed alla mancata acquisizione di nuova; e) danno alla reputazione professionale ed all’onore.

Si costituiva in giudizio la Banca Popolare di Crotone contestando le richieste avanzate da controparte e chiedendone il rigetto.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 658 del 24.8.2000, rigettava la domanda dell’attore.

Avverso detta decisione proponeva appello il M. deducendo: che erroneamente il primo giudice non aveva disposto la richiesta esibizione dei verbali delle riunioni del C.D.A. ritenendo che l’attore avrebbe dovuto autonomamente provare il danno derivante dalla mancata percezione degli emolumenti spettanti quale membro del C.D. A.; che ingiustamente erano state negate tutte le ulteriori voci di danno richieste.

Si costituiva la banca convenuta contestando i diversi motivi di appello.

La Corte d’appello, con provvedimento del 9/13.11.2001, ordinava l’esibizione di copia autentica dei verbali delle sedute del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Soci per il periodo afferente al triennio 1987/1990 e, con successiva sentenza, accoglieva l’appello e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la Banca popolare di Crotone al risarcimento dei danni in favore dell’appellante per l’importo di Euro 22.672,42, oltre rivalutazione ed interessi, a titolo di mancata percezione degli emolumenti relativi alla partecipazione alle sedute del consiglio di amministrazione nel triennio 1987-1990.

Confermava per il resto la sentenza impugnata in riferimento al rigetto delle ulteriori voci di danno richieste.

Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione la Banca popolare di Crotone sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso il M. che ha altresì proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, la banca ricorrente assume che la liquidazione del danno riconosciuto sia stata effettuata erroneamente poichè, nel caso di specie, non si trattava di danno derivante da inadempimento contrattuale, bensì di danno derivante da una delibera assembleare nulla per il quale si risponde a titolo di responsabilità precontrattuale, con la conseguenza che il danno liquidato non doveva essere quello costituito dalla lesione dell’interesse positivo, bensì solo quello dell’interesse negativo.

Con il secondo motivo di ricorso contesta la compensazione delle spese di giudizio.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale il M. si duole del mancato accoglimento delle ulteriori voci di danno richieste in giudizio.

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti.

Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.

Va premesso che risulta dalla sentenza impugnata nonchè dalla stessa narrativa del ricorso che nella sentenza della Corte d’appello, emessa nel giudizio sull’an debendi e confermata dalla sentenza di questa Suprema Corte del 22.2.95, si era stabilito che il danno patrimoniale subito dal M. doveva essere determinato, tra l’altro, in base alla mancata percezione di emolumenti connessi alla carica di membro del C.d.A. della Banca ricorrente per il triennio 1987-1990 a seguito della illegittima delibera di decadenza dalla carica stessa pronunciata nei suoi confronti dalla banca.

Va, inoltre, rammentato che il tribunale di Crotone aveva nel primo grado di giudizio rigettato la domanda in questione in quanto non ne risultava provato il quantum mentre la domanda stessa è stata accolta dalla impugnata sentenza della Corte d’appello perchè la prova in questione è stata fornita nel giudizio di secondo grado.

Fatte queste premesse, si osserva che la sentenza di questa Corte 9040/95, emessa tra le parti nel giudizio sull’an debeatur, ha rilevato ” il carattere vincolato e non discrezionale dell’attività demandata al consiglio d’amministrazione, che … non costituisce espressione di un apprezzamento e di una valutazione, ma si pone come verifica oggettiva dei requisiti di legge, nell’ambito di un’attività rigorosamente segnata dalle condizioni e dai limiti della norma, senza margini di discrezionalità.” In tal senso ha ritenuto la sussistenza di un danno risarcibile, “vertendosi non nell’ipotesi di erroneo esercizio di un’attività discrezionale, ma bensì di uso “contra legem” di un’attività vincolata, priva di margini di discrezionalità”.

La sentenza in esame ha poi ulteriormente rilevato che ” sotto l’aspetto della qualificazione del comportamento produttivo di danno, la sentenza impugnata ha osservato come il carattere antigiuridico dell’operato del consiglio d’amministrazione sia sempre stato fatto valere dal M., con riferimento alla violazione di legge perpetrata nei suoi confronti, frutto di un comportamento senz’altro definibile come colposo: e tale va indubbiamente considerato il comportamento dei componenti del consiglio d’amministrazione, avuto riguardo al particolare grado di diligenza e professionalità doverosamente richiesto nello svolgimento del delicato compito loro demandato, nella verifica del possesso dei requisiti di legge da parte degli amministratori nominati dall’assemblea. Quanto all’effettiva sussistenza del danno, esattamente la sentenza impugnata ha posto in rilievo la sicura configurabilità quanto meno del danno patrimoniale derivato dalla mancata percezione degli emolumenti connessi alla carica sociale, osservando come tale circostanza di per sè giustificasse la pronuncia di condanna generica, che postula soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di danno”. Si evince dunque con tutta certezza dalla esaminata sentenza che si è ormai fondato il giudicato sul fatto che l’illecito commesso dalla Banca tramite i componenti del consiglio di amministrazione non si riferisce in alcun modo ad alcuna fase precontrattuale ma è consistito nella violazione di un preciso obbligo di corretta valutazione dei requisiti di legge per rivestire la carica di amministratori. Non mette qui conto definire la natura di siffatto illecito se extracontrattuale o contrattuale; ciò che è sufficiente è l’accertamento della circostanza che si è formato il giudicato sul fatto che l’illecito in questione non riveste carattere precontrattuale e che pertanto la doglianza proposta sotto tale profilo non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.

Manifestamente infondato è il secondo motivo del ricorso principale, poichè il M. è in realtà risultato vincitore nel giudizio , anche se le sue domande non sono state accolte nella totalità, onde una sua condanna alle spese risulterebbe contra legem, in violazione dell’art. 91 c.p.c. che esclude che le spese di giudizio possano essere poste a carico della parte vittoriosa.

Il ricorso incidentale è inammissibile.

E’ giurisprudenza costante di questa Corte che il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 cod. proc. civ. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza. (da ultimo Cass. 18421/09).

Il motivo del ricorso incidentale si limita in modo del tutto astratto generico a dolersi del mancati riconoscimento delle ulteriori voci di danno, ma non avanza alcuna censura specifica alla motivazione della Corte d’Appello onde il motivo deve ritenersi del tutto privo di specificità e, come tale, privo dei requisiti di ingresso in questa fase di legittimità. In conclusione entrambi i ricorsi vanno respinti. In ragione della reciproca soccombenza si compensano per la metà le spese di giudizio di detta fase che vengono per la restante metà poste a carico della banca ricorrente, soccombente sostanziale, e che sono liquidate come da dispositivo.

PQM

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa per la metà le spese del presente giudizio e condanna la banca ricorrente al pagamento della restante metà che viene liquidata in Euro 900,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2010

 

 

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