Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 476 del 14/01/2010

Cassazione civile sez. II, 14/01/2010, (ud. 04/12/2009, dep. 14/01/2010), n.476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA AREZZO 38, presso lo studio dell’avvocato MESSINA MAURIZIO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CASTELLI TULLIO;

– ricorrente –

contro

A.F. c.f. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, P.LE FLAMINIO 9, presso lo studio dell’avvocato FOTI CARLO

SEBASTIANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PERUGINI LUCA;

– controricorrente –

e contro

ALER- AZIENDA LOMBARDA PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE BRESCIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 804/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 01/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

04/12/2009 dal Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio;

udito l’Avvocato Antonio MATONTI con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MESSINA Maurizio, difensore della ricorrente che ha

chiesto di riportarsi agli atti depositati;

udito l’Avvocato FOTI Carlo difensore del resistente che ha chiesto

di riportarsi anch’egli agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.M. conveniva in giudizio A.F. e l’Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale di Brescia (ALER) per sentir dichiarare l’inefficacia del trasferimento, effettuato dalla seconda al primo con atto (OMISSIS), di un immobile ad uso abitativo e per sentir dichiarare la sua proprieta’ sul detto immobile o, in subordine, sulla quota della meta’ con diritto di uso dell’intero in virtu’ di quanto disposto dalla sentenza pronunciata in sede di separazione giudiziale dal coniuge convenuto. Assumeva l’attrice che l’acquisto era avvenuto dopo il matrimonio contratto in regime di comunione dei beni per cui aveva diritto alla meta’ della proprieta’ del bene, mentre l’altra meta’ le spettava in virtu’ dell’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione e in ragione del pagamento dei ratei di mutuo effettuati dal (OMISSIS).

L’Aler resisteva alla domanda sostenendo la correttezza del proprio operato.

A.F., costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda deducendone l’infondatezza in fatto e in diritto.

L’adito tribunale di Brescia rigettava la domanda con sentenza 9/1/2002 avverso la quale la C. proponeva gravame che la corte di appello di Brescia, con sentenza 1/10/2004, rigettava osservando:

che la casa in questione, come era pacifico, era stata venduta dall’Aler all’ A. con atto notarile all’esito dell’iter burocratico che aveva individuato l’acquirente tra i soggetti aventi diritto a tale acquisto; che la domanda della C. presupponeva la pronuncia di nullita’ del detto atto notarile nonche’ l’allegazione di un titolo tale da giustificare l’invocata declaratoria dell’avvenuto conseguimento da parte di essa appellante della proprieta’ dell’immobile; che sotto il primo profilo la C. si era limitata a sostenere l’inefficacia della vendita in quanto in violazione della comunione legale e dei suoi diritti sull’immobile omettendo di considerare che la comunione legale si era sciolta con la separazione pronunciata prima della stipulazione dell’atto di vendita; che l’Aler non aveva disatteso alcun diritto della C. del quale fosse a conoscenza ed a lei opponibile; che non vi era quindi luogo alla invocata declaratoria di inefficacia e, di conseguenza, non vi era luogo alla declaratoria dell’avvenuto acquisto da parte dell’appellante in virtu’ di un non indicato titolo in ipotesi prevalente rispetto all’atto stipulato dagli appellati;

che tali considerazioni erano di per se’ assorbenti; che erano comunque infondate le altre osservazioni della C.; che la previsione della L.R. Lombardia n. 91 del 1983, art. 14 – secondo cui “in caso di separazione giudiziale tra i coniugi……

all’assegnatario subentra nell’assegnazione il coniuge, se il diritto di abitare nell’alloggio sia stato dal giudice attribuito a quest’ultimo” – pur non limitando il proprio ambito di applicazione alla sola assegnazione dell’immobile in locazione, disciplinava gli effetti sul rapporto in corso della pronuncia del giudice del matrimonio attributiva ad uno dei coniugi del “diritto di abitare nell’immobile”; che la norma regionale aveva la funzione di rendere opponibile all’Aler la statuizione resa dal giudice del matrimonio con conseguente sostituzione del coniuge assegnatario nella posizione di titolare di diritti e degli obblighi nascenti da quel contratto nella prospettiva di consentire in concreto l’esercizio del riconosciuto diritto di abitare; che l’attribuzione di tale diritto non si poteva risolvere nell’attribuzione di qualcosa in piu’ quale il diritto a diventare proprietario di un immobile sul quale era stata riconosciuta solo una attribuzione di contenuto minore quale il diritto di abitarlo; che la L. n. 392 del 1978, art. 6 si riferiva alle locazioni stipulate a norma di detta legge e non a quelle aventi ad oggetto alloggi di edilizia popolare; che la domanda subordinata di attribuzione della quota di meta’ indivisa della proprieta’ dell’immobile presupponeva il verificarsi dell’effetto traslativo della proprieta’ al momento della delibera dell’Aler avente ad oggetto la cessione degli alloggi agli assegnatari individuati nella graduatoria, laddove detta delibera costituiva semplicemente un atto interno della procedura volta alla successiva stipulazione di atto idoneo a trasferire all’ A. il diritto; che il R.D. n. 1165 del 1938, art. 229 non poteva essere invocato nel caso di specie in quanto disciplinante situazione giuridica e formale del tutto diversa, con esclusione quindi di qualsiasi sospetto di incostituzionalita’ della norma; che infine la tesi secondo cui della comunione entrerebbero a far parte anche crediti e diritti di obbligazione non aveva supporto normativo o giurisprudenziale, ne’ si ravvisavano profili di incostituzionalita’ diversi da quelli gia’ disattesi dalla giurisprudenza.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Brescia e’ stata chiesta da C.M. con ricorso affidato a due motivi illustrati da memoria. A.F. ha resistito con controricorso. L’intimata Aler non ha svolto attivita’ difensiva in sede di legittimita’.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la C. denuncia violazione della L.R. Lombardia n. 91 del 1983, art. 14 nonche’ vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello ha errato nel limitare la portata degli effetti della detta norma regionale al semplice “diritto di abitare” mentre gli stessi devono ritenersi estesi anche al diritto di proprieta’ in quanto a tale interpretazione conduce la semplice lettura della norma la quale afferma che si verifica una sostituzione del coniuge all’assegnatario e tale subentro non puo’ riferirsi solo al diritto di abitare ma ai crediti tutti derivanti dall’assegnazione, ivi compreso quello di avere l’intestazione dell’immobile. Diversamente opinando l’ A., pur non essendo piu’ assegnatario, diverrebbe proprietario senza aver alcun titolo idoneo. Ne consegue che era esatta la domanda di essa ricorrente volta alla dichiarazione di inefficacia dell’atto di compravendita stipulato dalla Aler e dall’ A. ed al riconoscimento del suo diritto di proprieta’ sull’intero immobile. D’altra parte essa ricorrente sin dal (OMISSIS) ha personalmente pagato per intero le rate di mutuo. Tale adempimento della controprestazione, unitamente alla sua sostituzione nell’assegnazione, conferivano ad essa C. il pieno diritto di avere il trasferimento a proprio favore della proprieta’ dell’immobile. Ha quindi errato la corte di merito nel ritenere regolare il contratto di compravendita stipulato dall’Aler e dall’ A., che, invece era in contrasto con il citato L.R. Lombardia n. 91 del 1983, art. 14 sia sotto il profilo della carenza di assegnatario in capo all’ A., sia sotto quello della sussistenza di tale qualita’ in capo ad essa ricorrente.

Il motivo e’ inammissibile.

Occorre premettere che – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – la C., con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ha chiesto in via principale (senza far alcun riferimento alla L.R. Lombardia n. 91 del 1983, art. 14) la pronuncia di inefficacia dell’atto (OMISSIS) di trasferimento dell’immobile in questione dall’Aler all’ A. e la dichiarazione della proprieta’ di detto immobile in capo ad essa istante e, in via subordinata, la dichiarazione della proprieta’ del bene per la meta’.

A sostegno della domanda principale la C. ha dedotto che il trasferimento in favore dell’ A. era avvenuto con atto successivo al matrimonio contratto con quest’ultimo con il regime di comunione di beni e che la vendita dell’immobile doveva essere dichiarata inefficace “in quanto in violazione della comunione legale e dei diritti dell’attrice sull’immobile” (pagina 10 sentenza impugnata).

La corte di appello, con la prima parte della sentenza impugnata, ha ritenuto infondata la detta tesi della C. in quanto:

a) l’attrice non aveva richiesto l’accertamento e la declaratoria del proprio diritto a subentrare nella posizione dell’ A.;

b) la C. aveva chiesto “tout-court sentenza dichiarativa della di lei proprieta’ sull’immobile in questione” (pagina 9 sentenza impugnata);

c) la richiesta di inefficacia dell’atto di trasferimento non poteva essere accolta posto che il richiamo a tal fine alla comunione legale non era pertinente perche’ la detta comunione si era sciolta con la precedente pronuncia di separazione;

d) la venditrice Aler “non risultava aver disatteso alcun diritto della C. del quale fosse a conoscenza e a lei opponibile”.

Quindi la corte di appello – dopo aver rilevato che l’immobile in questione era stato venduto all’ A. con regolare atto notarile e che la domanda dell’attrice presupponeva la pronuncia di nullita’ del contratto Aler – A. nonche’ l’allegazione di un titolo a sostegno dell’acquisto della proprieta’ del bene da parte dell’istante – ha ritenuto infondata la domanda principale della C. non essendovi luogo “alla invocata declaratoria di inefficacia” e “alla declaratoria dell’avvenuto acquisto da parte dell’appellante, in virtu’ di non peraltro indicato titolo in ipotesi prevalente rispetto all’atto di acquisto stipulato da A. e la ALER” (pagina 11 sentenza impugnata).

La corte di appello ha concluso questa prima parte della sentenza impugnata affermando che le considerazioni ivi svolte erano “di per se’ assorbenti” (con riferimento alla domanda principale proposta dalla C.) ma che valeva “la pena di rispondere anche alle altre osservazioni dell’appellante”.

Da quanto precede discende quindi che tutte gli altri argomenti sviluppati dalla corte di appello nella seconda parte della sentenza impugnata devono ritenersi svolti solo per mera completezza di motivazione in quanto esclusivamente aggiuntivi e rafforzativi volti a confermare un convincimento gia’ autonomamente raggiunto in base ad altri elementi in fatto e in diritto idonei da soli a reggere le raggiunte conclusioni. Si tratta quindi di argomenti privi del carattere della decisivita’ sussistendo altra ratio decidendi sufficiente a reggere la decisione impugnata indipendentemente dalla fondatezza o meno delle altre rationes decidendi.

Va di conseguenza applicato il principio pacifico secondo cui le affermazioni “ad abundantiam” contenute nella motivazione della sentenza, consistenti in argomentazioni rafforzative di quella contenente la premessa logica della statuizione contenuta nel dispositivo, vanno considerate di regola superflue quindi giuridicamente irrilevanti ai fini della censurabilita’ qualora l’argomentazione rafforzata sia di per se’ sufficiente a giustificare la pronuncia adottata, ma possono anche consistere in statuizioni autonome (cioe’ in un sillogismo completo) qualora, risolvendosi in un “posterius” logico di quella contenuta nel dispositivo, siano destinate a divenire operative nelle ipotesi di erroneita’ di questa;

in tale ultima ipotesi sorge per la parte soccombente l’interesse e l’onere all’impugnazione al fine di evitare la formazione del giudicato sulle anzidette statuizioni.

Tanto promesso va rilevato che la C. con il primo motivo di ricorso (relativo alla domanda principale) non ha articolato alcuna specifica censura avverso la riportata prima parte della sentenza impugnata e agli argomenti ivi sviluppati – non contenenti alcun riferimento o richiamo alla L.R. Lombardia n. 91 del 1983, art. 14 – ed al termine della quale la corte di appello ha affermato che le considerazioni svolte erano assorbenti rispetto alle altre censure mosse dall’appellante alla pronuncia di primo grado.

I riportati passaggi logici dalla prima parte dell’impugnata sentenza non hanno formato oggetto di specifiche censure nel ricorso che la C. ha articolato in due motivi relativi solo agli argomenti sviluppati dalla corte di appello nella seconda parte della detta pronuncia, parte autonoma ed indipendente rispetto alla prima idonea da sola a sorreggere la decisione.

In definitiva la domanda principale proposta dalla C. e’ stata rigettata dalla corte di appello con due autonome ragioni giuridiche (sviluppate, rispettivamente, nella prima e nella seconda parte della sentenza impugnata) ciascuna delle quali logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata.

Va pertanto accolta – in relazione al primo motivo di ricorso basato essenzialmente sull’asserita erronea interpretazione del citato L.R. Lombardia n. 91 del 1983, art. 14 non richiamato dalla corte di appello nella prima parte della sentenza impugnata – l’eccezione preliminare sollevata dal resistente A. in merito all’inammissibilita’ del ricorso per non aver la C. mosso censure alla detta prima parte della sentenza impugnata con la quale la corte di appello ha ritenuto – prima di affrontare i singoli motivi di gravame sviluppati nell’atto di appello – infondate le domande della appellante per essersi questa limitata a sostenere l’inefficacia della vendita in favore del marito (in quanto in violazione della comunione legale e dei diritti di essa istante) invocando sentenza dichiarativa della sua proprieta’ sull’immobile in questione senza chiedere l’accertamento e la declaratoria del proprio diritto a subentrare nella posizione del coniuge.

A fondamento della inammissibilita’ del primo motivo di ricorso soccorre il principio costantemente ripetuto da questa Corte secondo cui nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su piu’ ragioni, tutte autonomamente idonee a sorregger-la, e’ necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso sia accolto nella sua interezza, affinche’ si compia lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale mira alla cassazione della sentenza, ossia di tutte le ragioni che autonomamente la sorreggono.

E’ sufficiente, pertanto, che anche una sola delle ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola di esse, perche’ il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, l’esame delle censure che investono una ulteriore ratio decidendi”, giacche’ pur se esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.

Con il secondo motivo – articolato in piu’ censure – la ricorrente denuncia violazione degli artt. 177 e 1326 c.c., del R.D. n. 1165 del 1938, art. 229 nonche’ vizi di motivazione, lamentando l’errore commesso dalla corte di appello nel disattendere i tre profili prospettati da essa C. e cioe’:

1) che l’effetto traslativo della proprieta’ e’ da ritenere avvenuto il (OMISSIS);

2) che comunque e’ applicabile il R.D. n. 1165 del 1938, art. 229;

3) che l’art. 177 c.c. va applicato anche all’assegnazione dell’alloggio.

Sul primo punto la corte di appello non ha considerato che l’Aler con la Delib. 7 aprile 1989 ha inteso cedere gli alloggi agli assegnatari indicati. L’effetto reale si e’ prodotto a seguito di tale delibera – che non costituisce un mero atto interno – e dell’accettazione dell’assegnazione da parte dei de-stinatari tanto che il successivo atto notarile rappresenta una pura formalizzazione del contratto (gia’ concluso) all’avvenuto pagamento integrale del prezzo.

Sul secondo punto la corte di merito ha negato l’applicabilita’ del R.D. n. 1165 del 1938, art. 229 affermando che tale norma riguarderebbe il caso di soci di cooperativa e non quello di specie.

La corte si e’ limitata ad una semplice affermazione di diversita’ tra le due ipotesi omettendo qualsiasi motivazione circa quanto dedotto da essa C.. Lo stato di socio di cooperativa e’ una situazione imprescindibile di qualsiasi assegnazione di alloggio da parte di cooperativa edilizia proprio in virtu’ della ratio sottesa alla particolare normativa dettata in materia. Nella specie gli alloggi in questione sono stati costruiti dalla Aler: e’ quindi evidente che i soggetti che prenotano l’alloggio presso la Aler non sono formalmente soci, ma di fatto rivestono il medesimo status di soggetti soci di cooperativa edilizia costituita per l’assegnazione di determinati alloggi. Stante l’identita’ di ratio il citato art. 229 deve ritenersi applicabile anche ai soggetti assegnatari di alloggi presso la Aler altrimenti la norma sarebbe incostituzionale per violazione dell’art. 3 Cost..

Sul terzo punto, ad avviso della ricorrente, deve essere ribadito che l’acquisto ricade nella comunione legale ex art. 177 c.c., lett. a) pur qualificando la prenotazione e/o l’assegnazione dell’alloggio come atto ad effetti meramente obbligatori. E’ infatti errata l’interpretazione data alla citata norma dalla giurisprudenza di legittimita’ che esclude dalla comunione legale i crediti ed i contratti ad effetti obbligatori. La detta interpretazione rende la norma incostituzionale per contrasto con gli artt. 2, 3 e 29 Cost.

posto che l’ordinamento non ammette un diverso trattamento di situazioni identiche.

Essa ricorrente, pur avendo contribuito all’assegnazione dell’alloggio e al pagamento integrale del mutuo, e’ rimasta con nulla in mano. La corte di appello ha pertanto errato nell’identificare la data di acquisizione della proprieta’ dell’alloggio con conseguente violazione dell’art. 177 c.c. per non aver ritenuto essa C. proprietaria per il 50% dell’immobile in questione quale coniuge in regime di comunione legale dei beni al momento dell’acquisizione da parte del coniuge della proprieta’ di tale immobile.

Il motivo – al contrario di quanto sostenuto dal resistente – e’ ammissibile in quanto relativo alla domanda subordinata proposta dalla C. (volta all’attribuzione della quota di meta’ indivisa della proprieta’ dell’immobile) che non ha formato oggetto di esame e valutazione nella prima parte della sentenza impugnata concernente la domanda principale e che la corte di appello ha rigettato con argomenti autonomi e diversi da quelli posti a base del rigetto di detta domanda principale.

Il motivo e’ pero’ infondato.

In relazione alla prima delle tre censure articolate nel motivo in esame e’ sufficiente osservare che la Delib. 7 aprile 1989 del Consiglio di Amministrazione dell’IACP (ora Aril) costituisce un atto facente parte del complesso procedimento volto al successivo trasferimento (con atto notarile) del diritto di proprieta’ dell’immobile assegnato all’ A.. Tale atto – il cui specifico contenuto non e’ stato neanche riportato in ricorso come non e’ stato riportato il contenuto preciso dell’asserito atto di accettazione della delibera di assegnazione – non puo’ di certo ritenersi idoneo a consentire di ravvisare concluso, a seguito dell’accettazione, un contratto di trasferimento della proprieta’ dell’immobile in questione. Non risulta – al contrario di quanto sostenuto dalla C. – raggiunto un completo e definitivo accordo delle parti su tutti gli elementi necessari per ritenere perfezionato e concluso un contratto di alienazione di un bene immobile.

Con riferimento alla seconda censura concernente l’asserita violazione del R.D. n. 1165 del 1938, art. 229 va rilevato che tale norma – indipendentemente dalla sua interpretazione e dalla sua portata circa il definitivo ed irreversibile trasferimento della proprieta’ degli immobili a favore dei soci delle cooperative costituite per la costruzione di case popolari ed economiche – non e’ applicabile, come correttamente ed ineccepibilmente posto in evidenza dalla corte di appello nella sentenza impugnata, alla fattispecie in esame del tutto diversa da quelle alle quali sono interessate le dette cooperative. Diverse sono poi le procedure per l’assegnazione in locazione e poi in proprieta’ degli alloggi. L’ A. e la C. – come i soggetti inseriti nella graduatoria ed assegnatari di alloggi a seguito di bando di concorso a norma della L. n. 457 del 1978 – non sono soci dell’Aler che ha costruito gli immobili in questione. Peraltro nella stessa L.R. Lombardia n. 91 del 1983 – sopra citata e richiamata dalla stessa C. a sostegno del primo motivo di ricorso – all’art. 1, comma 4, n. 1, esclude dall’applicazione della legge “gli alloggi realizzati dalle cooperative edilizie per i propri soci”.

Dalla rilevata ed evidente diversita’ tra le fattispecie disciplinate dal R.D. n. 1165 del 1938, art. 222 e quelle scaturenti dalla positiva partecipazione al menzionato bando di concorso, deriva la manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale del citato art. 222 sollevata dalla ricorrente con riferimento all’art. 3 Cost. dovendosi escludere la violazione del principio di eguaglianza trovando giustificazione la diversita’ di disciplina nelle peculiari e differenti situazioni di fatto.

L’infondatezza dei numerosi argomenti posti a base della terza censura sopra riportata – relativa all’applicabilita’ dell’art. 177 c.c. anche all’assegnazione dell’alloggio – emerge con immediatezza dai seguenti principi che questa Corte piu’ volte ha avuto modo di affermare e che il Collegio condivide e ribadisce in quanto non smentiti dalle opposte e per nulla convincenti osservazioni della ricorrente:

– qualora un coniuge si renda assegnatario e cessionario, con pagamento rateizzato del prezzo e conseguente riserva di proprieta’ in favore dell’ente cedente, di alloggio dell’edilizia residenziale pubblica, la data dell’acquisto di tale immobile, anche al fine di stabilire se esso ricada nella comunione legale dei beni con l’altro coniuge (art. 177 c.c., comma 1, lett. a) va individuata in base al contratto privatistico di trasferimento del diritto dominicale (sentenze 560/1990; 4827/1987);

– la comunione legale tra i coniugi cui all’art. 177 c.c. riguarda gli acquisti, cioe’ gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprieta’ della “res” o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali rispetto all’acquisizione della “res”, non sono suscettibili di cadere in comunione, con la conseguenza che, nel caso di contratto preliminare stipulato da uno solo dei coniugi, nessun diritto puo’ accampare l’altro coniuge il quale non e’ neppure legittimato a proporre domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. (sentenze 1548/08; 1363/1999; 987/95;

9513/91);

– in tema di imposta sulle successioni, il saldo attivo di un conto corrente bancario intestato al “de cuius”, va tassato per intero, anche se il defunto era in regime di comunione legale con il coniuge, atteso che la comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, cioe’ gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprieta’ della “res” o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una “res”, non sono suscettibili di cadere in comunione (sentenza 4959/03);

– il coniuge, in regime di comunione legale, che non ha partecipato al preliminare di acquisto di un bene, contrattato soltanto dall’altro coniuge, non e’ legittimato ad agire o contraddire nel giudizio avente ad oggetto detto contratto, perche’ gli effetti che ne derivano sono personali ed obbligatori, ed in quanto tali limitati alla sfera giuridica del contraente (sentenza 12554/00);

– in tema di assegnazione di alloggi di cooperative edilizie a contributo statale, il momento determinativo dell’acquisto della titolarita’ dell’immobile da parte del singolo socio, onde stabilire se il bene ricada, o meno, nella comunione legale tra coniugi, e’ quello della stipula del contratto di trasferimento del diritto dominicale, poiche’ solo con la conclusione di tale negozio il socio acquista, irrevocabilmente, la proprieta’ dell’alloggio, mentre la semplice qualita’ di socio, e la correlata “prenotazione”, in tale veste, dell’alloggio, si pongono come vicende riconducibili soltanto a diritti di credito nei confronti della cooperativa (inidonei, come tali, a formare oggetto della “communio incidens” familiare). Anche nell’ipotesi in cui l’acquisto del diritto alla quota in seno alla cooperativa da parte del socio risulti effetto di trasmissione “iure haereditario” da parte di altro socio defunto (nella specie, il padre), tale vicenda assume rilievo esclusivamente sotto il profilo della legittimazione soggettiva nei confronti dell’ente, senza spiegare alcuna influenza ai fini della esatta individuazione, “quoad tempus”, dell’effetto traslativo relativo all’immobile (sentenza 4757/1998);

– la comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, cioe’ gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprieta’ della “res” o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi le semplici situazioni obbligatorie, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una “res”. Ne consegue che nel caso di alloggio di cooperativa edilizia a contributo statale il momento rilevante, al fine di stabilire l’acquisto della titolarita’ dell’immobile e, quindi, di verificare se esso ricada nella comunione legale, va individuato in quello della stipulazione, da parte del socio, del contratto di mutuo individuale, poiche’ soltanto con la stipulazione di detto contratto il socio acquista irrevocabilmente la proprieta’ dell’alloggio, assumendo la veste di mutuatario dell’ente erogatore del mutuo (sentenza 12382/05);

– e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 177 c.c., lett. a), nella parte in cui non prevede che l’assegnazione in godimento di alloggio di cooperativa in favore di uno dei coniugi prima del passaggio di proprieta’ ricada in comunione, con riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost.; infatti, da un lato l’omessa previsione non incide su diritti fondamentali o sulla liberta’ e l’uguaglianza dei coniugi mentre dall’altro rientra nella discrezionalita’ del legislatore disciplinare i contenuti della comunione legale tra coniugi in relazione alle ritenute esigenze sociali (sentenza 10863/1999).

In definitiva il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi – in considerazione, tra l’altro, della natura della controversia e delle questioni trattate nonche’ della posizione delle parti per compensare tra le parti costituite le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa per intero tra le parti costituite le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010

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