Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4759 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 14/02/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 14/02/2022), n.4759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16174-2020 proposto da:

C.C., rappresentata e difesa in proprio e domiciliata

presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di LECCO, depositata il 21/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2022 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Lecco ha rigettato l’opposizione proposta da C.C. avverso il provvedimento di liquidazione del compenso a lei spettante a fronte dell’attività professionale resa in favore di soggetto difeso di ufficio. Il Tribunale riteneva corretta la determinazione del compenso operata dal Giudice di Pace, che aveva applicato i valori medi di tariffa, riducendoli del 50% a sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 12, ed operando poi l’ulteriore riduzione prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106 bis.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.C., affidandosi a tre motivi.

Il Ministero, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “PROPOSTA DI DEFINIZIONE EX ART. 380-BIS C.P.C..

RIGETTO del ricorso.

Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Lecco rigettava l’opposizione proposta dalla C. avverso il provvedimento con cui il Giudice di Pace di Lecco aveva liquidato il compenso dovuto al difensore di ufficio di imputato dichiarato irreperibile, ritenendo corretta la determinazione operata dal primo giudice, con applicazione dei valori medi della tariffa, ridotti del 50% in forza del D.M. n. 55 del 2014, art. 12, ed ulteriormente ridotti di 1/3 per effetto della disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106-bis.

C.C. invoca la cassazione di detta ordinanza affidandosi a tre motivi, suscettibili di trattazione unitaria, con i quali censura la decisione del giudice di merito nella parte in cui essa, mediante l’applicazione in sequenza delle due riduzioni di cui anzidetto, ha di fatto determinato il compenso in misura inferiore al minimo di tariffa, espressamente divenuto inderogabile in forza del combinato disposto di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 12, e della nuova L. professionale forense n. 217 del 2012, art. 13, comma 6.

Ad avviso della ricorrente, i minimi di tariffa, di cui l’attuale formulazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 12, stabilisce l’inderogabilità, si applicano anche alle liquidazioni giudiziali dei compensi dell’avvocato, in forza della clausola di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 13, al richiamato comma 6.

La tesi è infondata, posto che la liquidazione del compenso dovuto al difensore di ufficio di imputato irreperibile, analogamente a quello da riconoscere al difensore della persona ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non deve superare il valore medio della tariffa, e quindi -nel sistema attualmente in vigore- il valore indicato dalla tariffa per lo scaglione in concreto applicabile, né può essere ridotto al di sotto del minimo (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 31404 del 02/12/2019, Rv. 656257; conf. Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 26643 del 12/12/2011, Rv. 620034). Nel caso di specie, il Tribunale ha dato atto che il Giudice di Pace aveva determinato il compenso in misura del tutto coerente con i principi appena richiamati, applicando il valore della tariffa in vigore e riducendolo del 50%, corrispondente alla massima decurtazione ammessa dalla tariffa medesima. La successiva applicazione della ulteriore decurtazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106-bis, non costituisce violazione del minimo tariffario, da un lato in quanto si tratta di disposizione speciale, applicabile soltanto alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, e dall’altro lato in quanto, per detta specifica ipotesi, si ravvisano le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo, che avevano condotto questa Corte a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9808 del 23/04/2013, Rv. 626252; Corte Cost. n. 350 del 2005, n. 201 del 2006, n. 270 del 2012). Anche in questo caso, infatti, si configura un moderato sacrificio delle aspettative economiche del professionista, che da un lato non ne svilisce il ruolo, posto che la riduzione prevista dall’art. 106-bis, in esame non riduce il compenso ad un valore meramente simbolico, né determinato a prescindere dalla valutazione della natura, contenuto e pregio dell’attività, e dall’altro lato si giustifica alla luce della tutela dell’interesse generale di cui anzidetto.

Ne’ viene dedotta, nel ricorso in esame, alcuna illecita applicazione retroattiva del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106-bis, introdotto nell’ordinamento dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 606, lett. b) (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 3534 del 11/02/2021, Rv. 660326).

Infine, non si configura alcun contrasto con l’ordinanza n. 6686/2019 di questa Corte, richiamata nel terzo motivo del ricorso, perché in quel caso è stata cassata l’ordinanza con cui il giudice di merito, dopo aver affermato l’applicabilità delle tariffe di cui al D.M. n. 127 del 2004, aveva ridotto i compensi ad un terzo del minimo tariffario, in virtù dell’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006 (il quale, al contrario, dispone che “il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale”), peraltro in relazione ad attività già esaurita all’atto dell’entrata in vigore della predetta normativa”.

Il Collegio condivide la proposta del Relatore.

Con la memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha contestato la proposta del relatore, insistendo nel richiamo dell’ordinanza n. 6686/2019 di questa Corte, e proponendo una lettura delle norme secondo la quale il valore minimo inderogabile che il giudice non può valicare non sarebbe quello previsto dalla tariffa professionale in vigore, e dunque dal D.M. n. 55 del 2014, bensì quello risultante dall’applicazione di tutte le decurtazioni ammesse, ivi inclusa quella di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 106 bis. Il Collegio non condivide simile argomentazione, poiché essa equivarrebbe a svuotare di contenuto pratico l’abbattimento specificamente previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, in funzione delle esigenze – richiamate dalla giurisprudenza indicata nella proposta – di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo. Ne’ può sostenersi che il precedente invocato dalla ricorrente militi a favore della tesi dalla medesima proposta, poiché questa Corte, in quell’occasione, si è limitata ad affermare l’inderogabilità dei minimi tariffari: principio, quest’ultimo, che non viene assolutamente revocato in dubbio dal provvedimento impugnato, il quale ha confermato la liquidazione del compenso nel rispetto del minimo previsto dalla vigente tariffa professionale.

Il ricorso va quindi rigettato, in coerenza con la proposta del relatore.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.

Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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