Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4758 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4758 Anno 2018
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: LUCIOTTI LUCIO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27566-2016 R.G. proposto da:

EURO LEGAL SERVICE s.r.I., in persona del legale rappresentante,
Ivano Negro, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Ferrajoli e Giuseppe
Fischioni, ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale del secondo
difensore, in Roma, via della Giuliana, n. 32;

– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma,
alla via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

Data pubblicazione: 28/02/2018

avverso la sentenza n. 4707/49/2016 della Commissione tributaria
regionale della LOMBARDIA, depositata il 16/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 25/01/2018 dal Consigliere dott. Lucio

Luciarri.

— che in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di
accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno di imposta 2006, con
cui l’amministrazione finanziaria contestava alla Euro Legal Service s.r.l.
l’utilizzo di tre fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, con la
sentenza in epigrafe indicata la Commissione tributaria regionale della
Lombardia rigettava l’appello proposto dalla società contribuente avverso
la sentenza della CTP che aveva a sua volta rigettato il ricorso da quella
proposto avvero il predetto atto impositivo, condividendo, con i giudici di
primo grado, la sussistenza sub specie dei presupposti legittimanti il
raddoppio dei termini di accertamento;
— che per la cassazione della sentenza di appello ricorre con due
motivi la società contribuente, cui replica l’intimata con controricorso;
—che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod.
proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con
modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), risulta regolarmente
costituito il contraddittorio;
— che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con
motivazione semplificata;

CONSIDERATO
—che con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa
applicazione degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, 57 d.P.R. n. 633 del
1972, 2, d.lgs. n. 128 del 2015 e 1, commi 130 e 132 della legge n. 208 del
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RILEVATO

2015, sostenendo che la CTR aveva errato a ritenere raddoppiati i termini
di accertamento dell’amministrazione finanziaria, perché nella particolare
fattispecie, in cui, prima della data di notifica dell’avviso di accertamento
era entrata in vigore la legge di delega fiscale n. 23 del 2014, attuata dal
d.lgs. n. 128 del 2015, entrato però in vigore il 5/08/2015 con efficacia dal

conoscenza dell’intenzione del Legislatore di voler recepire l’orientamento
giurisprudenziale più garantista che prevede l’applicazione del raddoppio
dei termini solo in presenza di effettiva presentazione della denuncia
penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p. ed entro il termine previsto per la
scadenza ordinaria dell’accertamento» (ricorso, pag. 12); sostiene, altresì,
che il mancato recepimento, nella legge di stabilità del 2016 (legge n. 208
del 2015) della c.d. clausola di salvaguardia contenuta nel terzo comma
dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, rendeva applicabile la nuova disciplina
anche ai periodi di imposta antecedenti all’entrata in vigore di tale decreto;
— con il secondo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza
per carenza assoluta di motivazione in violazione e falsa applicazione degli
artt. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, 132 cod. proc. civ., 118 disp.
att. cod. proc. civ. e 111, comma 6, Cost.;
— che va esaminato, per priorità logica, tale ultimo mezzo di
cassazione, che è infondato e va rigettato;
—che, invero, in tema di nullità della sentenza per carenza assoluta di
motivazione, nella giurisprudenza di questa Corte, a seguito dell’intervento
nomofilattico delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016) è
ormai acquisito il principio secondo cui «ricorre il vizio di omessa
motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto
assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta
di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio
convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita
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1° gennaio 2016, l’amministrazione finanziaria «era certamente già a

disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni
controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n.
1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 e n. 17467 del 2017); ipotesi,
queste, che non ricorrono nel caso in esame, avendo la CTR dato
ampiamente conto in motivazione del proprio ragionamento decisorio,

apparente, specie se si considera che, diversamente da quanto sembra
ritenere parte ricorrente, è noto che «al fine di assolvere l’onere di
adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad
esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente
che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi
ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente
incompatibili con esse» (Cass. n. 25509 del 2014);
—che il primo motivo di ricorso è parzialmente fondato, nei limiti di
cui appresso si dirà;
— che, quanto alla questione del raddoppio dei termini di
accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul valore
aggiunto, le argomentazioni svolte dalla ricorrente nel motivo in esame in
ordine alla retroattività della disciplina introdotta dalle riforme succedutesi
in materia si pongono in insanabile contrasto con la giurisprudenza di
questa Corte secondo cui «In tema di accertamento tributario, i termini
previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R.
n. 633 del 1972 per VIVA, nella versione applicabile “ratione temporis”,
sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere
l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia
archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro
stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247,
«senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi
d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già
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con la conseguenza che la motivazione non può considerarsi meramente

notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132,
della 1. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che
richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli
effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n.
26037 del 2016) — che nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di

bensì di un nuovo terinine di decadenza», applicabile in ipotesi di
sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla
discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere
accertato dal giudice; che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità
di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla
intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio
dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p.,
mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di
una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale,
anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e
procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n.
9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.), che su tale assetto nessun effetto spiegava
la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini
prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a
132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di
accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla
data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame,
in cui gli atti impositivi risultano notificati in data 23/05/2011 – si applica
la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato
modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente
salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in
vigore del predetto decreto;

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precisare che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta,

— che, pertanto, ai fini IRPEF ed IVA il motivo di ricorso è
infondato, mentre è fondato per quanto riguarda l’IRAP, alla luce del
principio per cui «non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano
previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può
operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale

26311 del 2017, n. 23629 del 2017)
— che, conclusivamente, va rigettato il secondo motivo di ricorso ed
accolto il primo, limitatamente all’IRAP, e la sentenza cassata, in relazione
al motivo accolto, senza rinvio, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, con accoglimento dell’originario ricorso della
contribuente limitatamente all’IRAP e con compensazione delle spese
processuali di tutti i gradi e fasi di giudizio, stante la reciproca
soccombenza;
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione,
rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo
accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della
contribuente limitatamente all’IRAP e compensa le spese processuali.

applicabile ratione ternporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016 n.

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