Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4756 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4756 Anno 2018
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: LUCIOTTI LUCIO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16317-2016 R.G. proposto da:

SIDERURGICA LATINA MARTIN

s.p.a., in persona

dell’amministratore unico e legale rappresentante, ing. Giulio Cataldi,
rappresentata e difesa dall’avv. prof. Livia SALVINI, presso il cui studio
legale in Roma, al viale Giuseppe Mazzini, n. 11, è elettivamente
domiciliata;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma,
alla via dei Portoghesi n. 12;
– resistente –


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Data pubblicazione: 28/02/2018

avverso la sentenza n. 7153/40/2015 della Commissione tributaria
regionale del LAZIO, Sezione staccata di LATINA, depositata il
29/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

RILEVATO
— che in controversia relativa ad impugnazione di due avvisi di
accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per gli anni di imposta 2002 e
2003, emessi dall’amministrazione finanziaria sulla base delle risultanze di
un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. da cui emergeva,
tra l’altro, l’emissione da parte della Siderurgica Latina Martin s.p.a. di
fatture per operazioni inesistenti, con la sentenza in epigrafe indicata la
Commissione tributaria laziale rigettava l’appello proposto dalla società
contribuente avverso la sentenza della CTP che aveva a sua volta rigettato
il ricorso proposto dalla società contribuente avvero il predetto atto
impositivo, condividendo, con quelli di primo grado, la sussistenza sub
specie dei presupposti legittimanti il raddoppio dei termini di accertamento;
— che per la cassazione della sentenza di appello ricorre con un unico
motivo, strutturato in tre diversi censure, la società contribuente, cui non
ha replicato l’intimata che ha depositato istanza di partecipazione
all’eventuale udienza pubblica di discussione;
— che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis
cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito
con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), risulta
regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente
ha depositato memoria con richiesta di rimessione della causa alla pubblica
udienza;

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partecipata del 25/01/2018 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

— che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con
motivazione semplificata;

CONSIDERATO
— che con il motivo di ricorso, articolato in tre diversi profili di
censura, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3,

3, d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, commi 1 e 3, d.P.R. n. 633 del 1972,
sostenendo che la CTR aveva errato a ritenere raddoppiati i tetinini di
accertamento dell’amministrazione finanziaria in relazione a tutte le
imposte oggetto di accertamento, perché nella particolare fattispecie, in
cui la notizia di reato era stata acquisita dalla competente Procura della
Repubblica che successivamente aveva compulsato la G.d.F. per gli
accertamenti tributari, mancava una denuncia per ipotesi di reato di natura
fiscale (primo profilo di censura), mancava una segnalazione di notizia di
reato da parte dell’amministrazione finanziaria in cui è ricompresa la
G.d.F. (secondo profilo di censura) e la notitia crininis non era stata
trasmessa entro l’ordinario termine di accertamento che, con riferimento
all’anno di imposta 2004, scadeva il 31/12/2009 (terzo profilo di censura);
— che le predette censure, tutte incentrate sulla questione del
raddoppio dei tetinini di accertamento, sono infondate, ponendosi in
insanabile contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 16728
del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016) secondo cui «In tema di
accertamento tributario, i tetinini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600
del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per VIVA, nella
versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di
seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di
denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini
di decadenza»; principio giurisprudenziale ispirato a quello di fonte
costituzionale di cui a Corte cost., sentenza 25 luglio 2011, n. 247;
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cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 43, commi 1 e

—che nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di precisare
che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un
nuovo tetniine di decadenza», applicabile sulla base della mera sussistenza
di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla
discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere

configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione,
né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né
l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405
c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva
emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del
giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio
penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio
2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.; conf. Cass. n. 9322 del 2017, n.
26037 del 2016); in pratica, il terzo comma dell’art. 57 d.P.R. n. 600 del
1973 «prevede, quale unica condizione per il raddoppio dei termini, la
sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal
momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo
adempimento» (Corte cost. citata);
—che, pertanto, quello che assume rilevanza ai fini del raddoppio dei
termini di accertamento è la circostanza che le violazioni tributarie
accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti, restando del tutto

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indifferente il soggetto da cui scaturisce la noti ia criminis, la data in cui
viene effettuata la comunicazione di notizia di reato e, persino, la sua
stessa presentazione; il che rende “decidibile” l’odierno ricorso con rito
camerale a mente degli artt. 375 e 380-bis cod. proc. civ., senza la necessità
della celebrazione della pubblica udienza, pur sollecitata dalla ricorrente;
—che, però, il raddoppio dei termini di accertamento non opera con
riferimento all’IRAP, che è imposta che pure viene qui in rilievo, e ciò alla
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accertato dal giudice; il raddoppio, quindi, non è escluso dalla

stregua del principio per cui «non essendo l’IRAP un’imposta per la quale
siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non
può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento
quale applicabile ratione ternporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016 n.
26311 del 2017, n. 23629 del 2017);

ripresa a tassazione ai fini IVA e IRES e rigettato quanto alla ripresa a fini
IRAP; la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto, con accoglimento dell’originario
ricorso della contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini
IRAP e rigetto nel resto e con compensazione integrale delle spese
processuali di tutti i gradi e fasi del giudizio stante la reciproca
soccombenza ed il consolidarsi della giurisprudenza di legittimità
successivamente all’instaurazione dei giudizi di merito;

P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza
impugnata e, decidendo nel merito, in parziale accoglimento dell’originario
ricorso del contribuente, annulla gli atti impositivi limitatamente alla
ripresa fiscale ai fini dell’IRAP, compensando le spese processuali.

— che, in estrema sintesi, il ricorso va accolto limitatamente alla

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