Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4756 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 14/02/2022, (ud. 22/12/2021, dep. 14/02/2022), n.4756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5243-2020 proposto da:

Q.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LORENZO TRUCCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI NOVARA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1085/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 26/06/2019 R.G.N. 376/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2021 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Torino ha respinto l’appello proposto da Q.A., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. Il richiedente aveva allegato di essersi convertito alla religione sciita e di essere fuggito dal Pakistan per sottrarsi alle persecuzioni e alle violenze perpetrate nei suoi confronti da esponenti della comunità sunnita; che il padre, dopo essersi convertito alla religione sciita, era stato ucciso da musulmani sunniti ed egli stesso era stato aggredito da un gruppo di musulmani sunniti in occasione di una manifestazione organizzata a seguito della morte del padre.

3. La Corte d’appello ha giudicato le censure del ricorrente inidonee a demolire la ratio decidendi posta dal tribunale a fondamento della valutazione di non credibilità del racconto e alla base del rigetto della domanda di protezione sussidiaria; ha richiamato il rapporto pubblicato nel 2019 sul sito viaggiaresicuri.it e il rapporto Easo 2018 sul Pakistan, rilevando come gli stessi descrivessero una situazione difficile nelle zone al confine con l’India e l’Afghanistan, ma non estesa alla regione di provenienza del richiedente, il Punjab; ha parimenti ritenuto infondate le censure in tema di protezione umanitaria sul rilievo che il richiedente non avesse contrastato l’affermazione del primo giudice di essere un migrante economico e di essere entrato illegalmente in Italia e, inoltre, per la mancanza di allegazioni su fatti avvenuti nel paese d’origine tali da supportare la richiesta protezione umanitaria.

4. Avverso tale sentenza il richiedente la protezione ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. Col primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, anche in relazione alla mancata audizione del ricorrente e alla totale mancanza di motivazione sul punto.

7. Il ricorrente censura anzitutto la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte d’appello ha, da un lato, ritenuto superflua l’audizione richiesta dal ricorrente e, dall’altro, dato peso a profili di non credibilità che sarebbe stato possibile chiarire in sede di audizione.

8. Denuncia poi il contrasto della decisione con l’elaborazione giurisprudenziale Europea secondo cui “l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della situazione personale” (sentenza Corte Giustizia UE, causa C-465/07, Elgafaji) ed in ragione della rilevanza che la medesima giurisprudenza attribuisce ad un alto grado di violenza Data pubblicazione 14/02/2022 indiscriminata indipendente da un vero e proprio conflitto (sentenza Corte Giustizia UE, causa C-285/12). Sostiene, anche in base ai report citati nei ricorsi di primo e secondo grado, che le attuali condizioni del Pakistan sono caratterizzate da una generalizzata instabilità e da violenze continue, a sfondo politico e sociale, che colpiscono anche la popolazione civile, producendo devastazioni e violenze indiscriminate; ciò soprattutto nella zona di provenienza del ricorrente e senza che le autorità locali intervengano a protezione della popolazione; i rapporti di Amnesty International, di Human Rights Watch oltre a numerose altre ONG relazionano su frequenti violazioni dei diritti umani. In caso di rientro nel paese di origine, il ricorrente potrebbe subire gravi conseguenze apparendo integrato il rischio di “danno grave” richiesto dalle disposizioni invocate.

9. Il motivo di ricorso è inammissibile con riguardo al profilo di censura che investe la motivazione sulla mancata audizione del richiedente.

10. Secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento al procedimento di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (v. Data pubblicazione 14/02/2022 Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”; v. anche Cass. n. 2760 del 2021; n. 25312 del 2020).

11. Nel caso di specie, il motivo di ricorso non trascrive né illustra in modo specifico il contenuto dell’istanza di audizione formulata nel giudizio di appello, sicché non è possibile valutare se la stessa fosse corredata della necessaria indicazione dei fatti dedotti a fondamento e dei profili di credibilità del racconto non approfonditi nelle precedenti fasi di giudizio; non può quindi affermarsi la contraddittorietà della motivazione di rigetto dell’istanza ove manchino elementi atti a dimostrare che la richiesta di audizione fosse munita dei necessari requisiti di specificità.

12. E’ invece fondata la censura sul mancato adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria da parte dei giudici di appello, in relazione alla domanda di protezione sussidiaria.

13. In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti aggiornate in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (v. Cass. n. 9230 del 2020; n. 11312 del 202019; n. 13897 del 2019; n. 11312 del 2019; n. 11096 del 2019).

14. Il dovere di cooperazione istruttoria rappresenta infatti una peculiarità processuale del giudizio di protezione internazionale, cui il giudice di merito deve adempiere d’ufficio, fondando la propria decisione su fonti informative attendibili (e cioè riconducibili a quanto predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), idonee allo scopo informativo rispetto alla vicenda narrata ed aggiornate alla data della decisione, in ragione della rapida mutevolezza delle condizioni sociopolitiche, economiche, climatiche e sanitarie dei paesi di provenienza dei richiedenti asilo (v. Cass. n. 26481 del 2021).

15. Alla luce del dovere di approfondimento istruttorio, non può ritenersi corretta e adeguata la decisione del giudice del merito che, nel respingere la richiesta di protezione, si limiti a fornire indicazioni generiche e approssimative sulla situazione del Paese interessato dalla domanda del richiedente, citando peraltro il sito Viaggiare sicuri il cui scopo coincide solo in parte con quello delle fonti di informazione utilizzabili nei procedimenti di protezione internazionale (Ord. Cass. n. 19980 del 2021), oppure definendo non difficile la situazione di un determinato territorio o regione, senza fondare tale giudizio su dati e riferimenti specifici e documentati.

16. L’assolvimento del dovere di cooperazione istruttoria comporta, invece, l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate rispetto al tempo della decisione e la necessità di riportare, nel contesto della motivazione svolta, le fonti di informazione utilizzate a fondamento e giustificazione del convincimento espresso dal giudice e tali requisiti difettano del tutto nella sentenza impugnata.

17. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, in relazione all’art. 10 Cost., comma 3, per avere la sentenza impugnata giudicato inconferente, ai fini della protezione umanitaria, l’elemento della integrazione del richiedente nel paese di accoglienza.

18. Nel ricorso si evidenzia la sproporzione esistente tra le condizioni che il richiedente troverebbe in Pakistan, di mancata tutela delle libertà democratiche, ed i rilevanti elementi di integrazione sul territorio italiano, rafforzati da una stabile attività lavorativa, alle dipendenze del prestigioso Hotel des Iles Borromees, sito nelle (OMISSIS) sul (OMISSIS).

19. La censura è fondata, atteso che la motivazione adottata dai giudici di appello non appare conforme ai principi enunciati in sede di legittimità (v. Cass. n. 4455 del 2018; Cass. S.U. n. 29459 del 2019; v. anche Cass. n. 20124 del 2021; n. 3580 del 2021) e recentemente ribaditi dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24413 del 2021.

20. Quest’ultima pronuncia – dopo aver posto l’accento sullo stretto collegamento tra il permesso di soggiorno per motivi umanitari (oggi per protezione speciale) e il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU (oggi espressamente riconosciuto dal D.L. n. 130 del 2020, convertito dalla L. n. 175 del 2020, qui non applicabile stesso decreto, ex art. 15) – ha sottolineato che il fondamento più profondo dell’istituto è rinvenibile negli artt. 2 e 3 Cost., che tutelano la persona “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e predicano la “pari dignità sociale” di ogni persona (anche straniera, come chiarito dalla Corte costituzionale fin dagli anni ‘60, cfr., fra le tante, C. Cost. n. 120/1967). Pertanto, “alla luce di tali disposizioni costituzionali…va individuato il senso e la tecnica della comparazione da effettuare tra ciò che il richiedente lascia in Italia e ciò che egli troverà nel suo Paese di origine, dovendo cioè valutarsi, nel giudizio sulla vulnerabilità, non solo il rischio di danni futuri – legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel Paese di origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita”.

21. Le Sezioni Unite hanno altresì precisato che la valutazione comparativa, in base alla normativa del T.U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, “dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia…”.

22. La medesima sentenza nell’individuare, tra gli indici socialmente rilevanti del livello di integrazione effettiva del richiedente nel nostro Paese, la titolarità di un rapporto di lavoro, ha fatto esplicito riferimento ai rapporti a tempo determinato, secondo la ragione pratica della maggiore diffusione di tale forma di accesso al mercato del lavoro.

23. Da tali premesse, di principio e di metodo, discende che il giudizio di valutazione comparativa demandato al giudice, di fronte ad una domanda di protezione umanitaria, esige una analisi ricostruttiva complessa della condizione di vulnerabilità esistente nel Paese di provenienza e di ciò che il richiedente ha realizzato, nel tempo di permanenza in Italia, creando relazioni di vita privata, di carattere sociale e lavorativo, secondo quello che il concreto meccanismo del mercato del lavoro, così come delle locazioni abitative e dei rapporti sociali, consente di ottenere in un determinato momento storico.

24. La decisione impugnata si discosta sensibilmente dai principi appena richiamati in quanto, pur dando atto del “costante impegno di integrazione, consistente nella frequentazione di corsi di lingua italiana e nello svolgimento di un tirocinio formativo retribuito sin da marzo 2017” e poi prorogato sino a luglio 2019, svaluta apoditticamente il profilo dell’integrazione sociale e lavorativa (nel ricorso in cassazione è allegato lo svolgimento di attività lavorativa presso l’Hotel des Iles Borromees, sul (OMISSIS)), così vanificandone il rilievo ai fini di un corretto giudizio di comparazione e, peraltro, nega l’esistenza di una condizione di vulnerabilità nel Paese di provenienza in assenza della doverosa indagine tramite fonti informative attuali e attendibili.

25. Si è ulteriormente precisato che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, che non è direttamente condizionata dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente. Inoltre, che il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la situazione del domanda di protezione internazionale sub specie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile (v. Cass. n. 32237 del 2021).

26. La sentenza impugnata, che ha negato la protezione internazionale e umanitaria senza il rispetto del dovere di cooperazione istruttoria come sopra descritto e senza svolgere, secondo i dettami di questa Corte, il giudizio di comparazione tra i presupposti della protezione umanitaria, deve essere cassata, con rinvio della causa alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che, nel procedere ad un nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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